19/07/13

Marco Fulvi. La mostra al Palazzo Pretorio di San Sepolcro (Firenze). “Icone 2013”, dal 20 al 28 luglio.

La scelta del ritratto è un esercizio amoroso, nel talento della conoscenza. 

Nel caso di Marco Fulvi è l’immergersi nella storia, vista nel suo momento irripetibile, di chi passa con noi sulla scena del mondo, compagno di strada, amico, conoscente o sconosciuto la cui immagine è stata intercettata nel respiro della sua esistenza. 
Marco dipinge visi come corolle tratteggiate al millesimo, basta guardare la foggia dei capelli, la curva del mento, il lago degli occhi. Un’infinita attenzione. Il desiderio di essere parte della sagoma umana che gli sta davanti, o di riconoscerla nei tratti comuni: un sopracciglio, l’arco delle labbra, l’orecchio, in una meditazione che si fa attimo e corpo, presente che sfuma nell’istante successivo, nel quadro magicamente coevi. 
Ricreare la vita partendo da un’immagine è un dono che ogni volta qui scaturisce, e tratteggiare le linee perché l’immagine sia propriamente quella,
non un centimetro più piccola, non un sfumatura di colore in più, è una forma di amore silenzioso per la “figura” e per la pittura in sé, che qui si fa idioma, si dirama in storia, si va approfondendo, sfacendosi nei tratti minimi, esagerandosi nella fissità, come in un dato comune consegnato ogni volta a una memoria millimetrata, che è il tramite per un microcosmo ordinatissimo che siamo chiamati a “riconoscere”, a incontrare. 
Immerso nell’unico colore dello sfondo, il volto prende corpo e luce dalla fisiognomica ogni volta inedita, per cui abbiamo il piacere di ritrovare magari un amico assorto nella sua posa incontrovertibile, in unicità con se stesso tanto da diventare icona della sua storia, contemporaneo a chi guarda per lo scroscio dei capelli o il tratto della veste, captato in un sorriso che quasi lo trascende, lo “strania”, oppure in un suo silenzio perplesso, dove forse si disegnano gli ultimi momenti prima che la posa si realizzi, e dall’atmosfera d’insieme scocchi il richiamo felice che ci induce a sostare lungamente, in una domanda che sa già d’amicizia.



Enrica Loggi

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