11/02/25

FORT BALLARIN

     Ne avevamo bisogno: a Nord, dopo l’abbattimento delle 2 tribune-“tappo”, la città era troppo scoperta. Non come a Sud, dove siamo abbastanza ben difesi dalla cementificata Torre sul Porto della Riserva Naturalistica Sentina e dalla (perfino ristoratrice…) Caserma Guelfa con relativa torre di vedetta a Porto d’Ascoli. E ad Ovest, dove la Torre dei Gualtieri (lu Campanò) del Paese Alto fa ancora paura agli indiani Sioux, che se con Coda Chiazzata o Nuvola Rossa provano ad attaccarci anche da Est, (dal mare, mica dal Mississipi…) - annegherebbero tutti. Insomma a Nord proprio ci voleva, questo forte fortissimo FORT BALLARIN inchiodato a morte sul “prato” dell’indimenticato disperato stadio Ballarin. Ma non è un altro “tappo”, peggio di quelli tolti?

Senonchè da alcuni mesi FORT BALLARIN cresce brutto e gonfio, lentamente, a singhiozzo, con continui ripensamenti sul progetto, sui costi, sui contenuti, sui tempi… E il popolo mormora, i nostalgici tifosi della Samb minacciano invasioni nei Consigli Comunali Aperti, i giornali velinano quello che trovano. 

Mentre FORT BALLARIN ha già suo un record: è il primo tutto di cemento armato come il Pentagono, non di bel legno come FORT APACHE. Ha pure quel fossato tutt’intorno che bastano 50 mm/hr di pioggia per riempirlo e renderlo invalicabile - con le bombe d’acqua arrivano i coccodrilli! Servirà quindi aggiungere un ponte levatoio come alla Rocca Costanza di Pesaro, o fisso come alla Rocca Roveresca di Senigallia. Qui di cemento, ovvio. Altre spese. 

     Certo che il famoso archistar parmense CANALI è deluso e depresso, alla sua età mica va bene... Se dal Comune partono spesso a trovarlo in pellegrinaggio, ogni volta lo deludono con obiezioni e rocambolesche varianti al suo progetto originario, che era stato pure approvato a mugugni, bestemmie e servile entusiasmo. Gli hanno spazzato via pure i laghetti dai fondi specchiati, le corroboranti cascatelle, il campetto di bocce, i cespuglietti autoctoni, i vialetti ad angoli acuti…

     Chissà però se l’archistar reagirà meglio, quando dopo Carnevale i nostri Spazzafumi torneranno da lui in missione (ancora mascherati) ad informarlo che per farsi perdonare, sul desertificato spiazzo a nord di FORT BALLARIN, giusto adiacente alla rotatoria, riserveranno un grandissimo piazzale attrezzato per i pullman CANALI BUS 


PGC - 10 febbraio 2025

05/02/25

TALIS FILIUS, TALIS PATER

 TALIS FILIUS, TALIS PATER
 [si chiamano pure uguale…]
 
 
“Giornate epiche” nella Laguna di Venezia.

Circola trionfale un video (non più clandestino) in cui il prode primogenito di Donald Trump (47 anni, la creatura) dentro una “botte da caccia” spara assatanato con un simil-cannone a forma di fucile* a tutto quello che vola: a comuni anatre stanziali ma anche a una specie protetta a rischio d’estinzione, l’Anatra Casarsa (Tadorna ferruginea). 


Una strage. 


E’ successo in un’Area Protetta privata, con tutti i permessi, anche dell’Assessore alla Caccia. Tutto tutto regolare! Hai voglia adesso a fare interrogazioni e denunce.



Ma il bello è quanto altro il padre, Donald senior, già stimato professionista in materia, stia ancora imparando dal figlio Donald junior!

Guardate come fa il Presidente, che al mondo vede solo “anatre da impallinare”. 


TALIS FILIUS, TALIS PATER.

Allora invitiamoli subito, i due TRUMP, alla Riserva Sentina di San Benedetto. Potrebbero liberamente scatenarsi a sparare (e spararsi!) come alla guerra. 

Tanto anche qua, con l’aria che tira, permessi regionali e autorizzazioni di ogni genere non mancherebbero. BANG-BANG.

 

*probabilmente BERETTA, in omaggio all’Italia…

 
PGC - 4 febbraio 2025
 

 

 

 

04/02/25

IL CARNEVALE DI POE

 

“POE” 

Regia e Coreografia      Lenka Vagnerová

Musica                 Ivan Archer


Národní Divadlo (Teatro Nazionale) - Laterna Magika


Praga    26.01.2025 



Tutto ciò che vediamo, o che ci par di vedere
non è ch’un sogno dentro un sogno.


[E.A.Poe, 1849]


 

“Il dolore ha molti volti. La miseria del mondo assume molte forme” scriveva Edgard Allan Poe e il suo genio allucinato estraeva da quel dolore le immagini di un mondo capovolto e folle, quasi scena teatrale in cui ogni cosa è possibile. Universo diviso tra orrore, misticismo, sogno, umorismo, quello di Poe: che ricreato per il Laterna Magika del Teatro Nazionale dalla coreografa e regista di teatro-danza Lenka Vagnerová, si trasforma in gigantesco carnevale, sorta di teatro totale che coinvolge attori, ballerini, maschere, performer, oggetti di scena; fatto di danza, canto, parole, musica. 

Quest’ultima, nelle sonorità create da Ivan Archer con la stratificazione degli strumenti e i suoni speciali,  aderisce ipnoticamente al mondo visionario di Poe trasferendone sul piano musicale in ugual misura il lirismo, la sofferenza, la follia. 

 

E sono i racconti Il pozzo e il pendolo, Hop Frog, La maschera della morte rossa, interconnessi dalla struttura drammaturgica e raccordati da audaci soluzioni scenografiche, a fare dell’universo onirico, poetico, ammaliante dell’autore uno spettacolo iperbolico e sorprendente, inquietante e labirintico. 


Vi trionfa la forza evocatrice dello scrittore che seppe scandagliare ogni angolo, luminoso e oscuro, della psiche umana; riconoscervi la bellezza, contemplare con occhio assorto il potere e il male nelle sue infinite ramificazioni, prendersi gioco del demoniaco, sentire la poesia dove più la paura, la povertà, il dolore aggrediscono la dignità umana. 

Vi riversava intera  la sua esperienza di vita, la percezione del volto oscuro delle cose, la coscienza della morte come elemento costitutivo della vita e dell’amore, lo stigma di un'esistenza vissuta controcorrente (così come bambino nuotò per 6 miglia controcorrente nel fiume James a Richmond). 

Quell’universo dolente e profondamente intimo racchiudeva in sé gli interrogativi eterni dell’uomo, e quello che Dino Campana chiamerà più tardi il panorama scheletrico del mondo.

 

Su questa scena le storie, non narrate bensì evocate, si dipanano in un caleidoscopio di immagini di assoluta oniricità, di soluzioni visive eccentriche, di fantastici oggetti di scena in un flusso continuo di azioni che materializzano pensieri, emozioni, deliri di una creazione letteraria tuttavia lucidissima, che della mente umana ha scandagliato tutte le profondità, anche quelle che non vorremmo vedere, che non avremmo mai visto; che seppe scrivere con uguale profondità  di filosofia e di Dio, di morte e di vita…

 

Ecco allora, in questa produzione che unisce danza e drammatizzazione, l’enorme pendolo del racconto omonimo, con la sua lama tagliente simile al braccio di una torre mineraria, attraversare ritmicamente il palco per fermarsi ora a destra ora a sinistra

Ecco i corvi disseminati sulla scena far da contorno alla figura dello stesso Poe emergente da un tappeto di libri e di carte. 

Ecco nello straniante Hop frog i surreali deformi costumi dei cortigiani, quasi a voler renderne visibile esteriormente la deformità interiore (costumi che sadicamente si incendieranno – ma qui è solo vento – proprio come, se è vera la storia, in quel “ballo delle lucciole” del 1393 in cui i costumi del re francese Carlo VI presero fuoco).

Ecco la danza degli Inquisitori, terrificanti nell’immobilità facciale e nelle pettorine bianche emergenti dalla scena buia; ecco i topi (meccanici, vivaddio) invadere la scena; ecco i ballerini spostarsi meccanicamente su carrucole fissate ai piedi in una rigidità robotica che accresce l’orrore.


C’è la farsa e c’è il dramma, ci sono le atmosfere gotiche  e la poesia, in questo allucinato carnevale da cui emerge la forza creativa di un gigante della letteratura. 

Ci sono i fantasmi sinistri che ne popolarono l’immaginario esistenziale,  c'è il suo universo letterario alla ricerca costante della perfezione; c'è il lato oscuro di una sensibilità accesa tanto segnata dalla perdita e dalla paura quanto attratta dalla bellezza e dalla poesia (Ch.Baudelaire trovava, nella sua, “qualcosa di profondo e luccicante come il sogno, di misterioso e perfetto come il cristallo”).

 

Un mondo interiore tormentato e immaginifico, un messaggio universale che promanava dalla cognizione del dolore tanto quanto dallo slancio vitale che a quella si accompagnava: tutto questo si è fatto spazio a lungo oggi sulla scena, e con l’amorevole devozione che si deve ai grandi ha materializzato qui, per noi, il  genio ammaliante e unico di questa “lanterna magica”, il fantasma lunare di Poe. 

 

 
Sara Di Giuseppe - 3 febbraio 2025

01/02/25

AL RITMO DEL CUORE

 “bpm”
[beats per minute]

Coreografie:
Artza di Eyal Dadon – Bohemian Gravity di Yemi A.D. – Bill di Sharon Eyal e Gai Behar

Solisti e Corpo di Ballo del Teatro Nazionale di Praga

Teatro Nazionale - Praga - 25 gennaio 2025 h18


Battiti per minuto - beats per minute - è la misura del tempo, così nella musica come nel movimento e nella frequenza cardiaca.

Due coreografi cechi e un israeliano, e un trittico coreografico che al centro ha l’uomo, il suo cuore pulsante che tutto determina, che stabilisce il ritmo del corpo e il corpo a sua volta influenza il ritmo del cuore, della musica, della danza: tutto questo è qui, nella danza che si fa messaggio critico sullo stato della nostra umanità, sullo scontro degli opposti che è oggetto primario della scena e la scena è il mondo, teatro delle contraddizioni nel quale da sempre confliggono natura e cultura, istinti e regole sociali, libertà individuale e ordine gerarchico. 

 

Che sia l’animale interiore, ingabbiato da regole e confini sociali, evocato in “Artza” - espressione ebraica del comando perentorio che viene dato al cane - in cui il vocabolario della danza si fa metafora di una società voyeuristica che rifiuta l’animalità ma ne è al tempo stesso attratta; che sia “Bohemian Gravity” evocante nel sottotitolo - Searching for Freedom - quella ricerca di libertà nel labirinto esistenziale che è sfida illusoria e spesso perduta, proprio come il tentativo di contrastare la forza di gravità che ci riconduce ogni volta a terra; che sia l’ipnotico “Bill”, in cui l’uniformità dei corpi fasciati da costumi identici, spersonalizzati fino all’estremo da lenti incolori che accentuano l’astrazione degli sguardi: l’intero trittico è esso stesso metafora, nella diversità delle parti, della belligeranza tra forze uguali e contrarie - natura e società, individuo e massa, diversità e omologazione - che definisce ontologicamente la natura umana.


In ciascuno dei tre elementi la danza dispiega un vocabolario di movimento di rara forza evocatrice: ora dilata lo spazio scenico, come in Gravity, dominato da cerchi concentrici che  paiono voler attrarre i danzatori nella propria orbita luminosa come corpi cosmici e i corpi disegnano arabeschi di moto che sembrano spingerli al di sopra della materia salvo esserne respinti dalla propria ineluttabilità corporea; ora lo restringe claustrofobicamente evocando in Artza le gabbie della nostra ferinità interiore e dell’umano soggiacere all’artificiosità degli schemi, alla ferocia delle gerarchie; ora infine lo spazio stesso sembra ritrarsi e scomparire, in Bill, in una dimensione astratta e atemporale fatta di corpi robotizzati, uguali e ugualmente indistinti.


È soprattutto in Bill, nella stratificazione ipnotica di ripetizioni, che la danza riproduce il secolare dissidio tra coscienza individuale e maschere sociali: nel gruppo umano uniforme e indistinto la ripetizione degli schemi di movimento, l’alternarsi di fluidità ed elementi robotici, il linguaggio musicale duro e minimalista affidato al ritmo di musica techno, tutto questo disegna un unicum indifferenziato di individui (…Stesso tempismo, stessa forma, stessa idea, stesso stile… e al tempo stesso assoluta differenza, sottolinea la coreografa Sharon Eyal) e chiama in causa il ruolo del singolo nella massa, le relazioni di quello con la società, quell’imposta uniformità che solo in apparenza è armonia. 

 

E sono allora lo scatto del corpo, l’interruzione del moto, la deviazione dalla traiettoria, ad indicare lo strappo nella rete, l’anello che non tiene; e l’astrazione di una danza sofisticata, quasi asettica, cede alla concretezza e al peso di una materia umana che superando contraddizioni e paradossi pulsa da milioni di anni al ritmo del cuore. 

Nell'intensità del tessuto musicale che appoggia ed esalta la fisicità dei danzatori, emergono la perfezione di una tecnica rigorosa ed un'espressività attoriale con cui ogni interprete contribuisce a disegnare l’immaginario confine tra mondo interiore e mondo esterno, 

Così che possiamo ricordare a noi stessi, quale che sia il mondo che ci contiene e ci ingabbia, che sempre è  il ritmo del nostro cuore la misura vera e autentica del vivere.

 


 
Sara Di Giuseppe - 31 gennaio 2025

18/01/25

Giuseppe Piscopo e il "Ritratto Sonoro"

Da Napoli Giuseppe Piscopo, artista nonché storico e prezioso collaboratore di UT, ci informa di questa sua partecipazione, su invito, per un evento dal contenuto davvero originale. E lui ne crea un'opera altrettanto unica con il suo amato cartone e qualche tocco di colore.

A commento della stessa nel suo blog scrive così:

La musica è la connessione, la magia di un'idea, è l'unione degli strumenti che si incastrano tra loro formando una dolce armonia di colori e di suoni

http://giuseppepiscopo.blogspot.com/

* * *

Prove per un concerto. Un'opera per il concorso "Ritratto Sonoro"

Mercoledì 4 dicembre 2024 mi trovo a villa Pignatelli per l'evento “Settimana di musica d'insieme 2024”. Fuori il cielo è grigio ma non piove. In questa location neoclassica, tra poco, Giovanni Sollima con la Scarlatti Baroque Sinfonietta inizieranno le prove per il concerto che si terrà in serata. Si accordano gli strumenti, le note risuonano tra l'orecchio che stuzzica la mia mente e le colonne neo doriche di questo affascinante luogo. Ora immagino segni e vibrazioni e sono pronto ad incollarle sul mio blocco di disegno. 

Cominciano le prove e migliora anche il mio umore. Osservo gli archetti andare su e giù, l'arpeggio sul basso. Ascolto le scale di un clavicembalo che mi riporta in un viaggio immaginario a ritroso nel tempo. La punta della mia matita si muove nella scia di una sonata, in fa maggiore, per violoncello. Vengo catturato dal suono sublime di questo strumento che si espande in sala grazie al virtuosismo di Giovanni Sollima. I fogli su cui disegno diventano uno spartito, i segni grafici sostituiscono le note e definiscono le mie emozioni visive. È uscito anche il sole, la mattinata si protrae e pare non finire mai. Alla fine l'immagine sonora si completa. Sono uscito con un solo pensiero: "La musica è il vero ritratto dei sentimenti”.

Collage sonoro in Sol(lima) 
[ collage di carta, cartone, quotidiani e acrilico su telaio di legno ]

Foto, opera e testi di Giuseppe Piscopo - 7 gennaio 2025 

-----------------------------

"RITRATTO SONORO, LA MOSTRA"  
Vernissage 18 gennaio 2025 I ore 12:30 


A partire dal concorso "Ritratto Sonoro" della Fondazione Valenzi ETS e dell'Associazione Alessandro Scarlatti, in collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Napoli, si inaugura sabato 18 gennaio alle ore 12:30 "Ritratto sonoro, la Mostra".
Le opere saranno esposte nella sala Litza Cittanova Valenzi del Maschio Angioino dal 18 al 31 gennaio 2025. La mostra sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle 17 e consiste in 18 opere pittoriche di vari artisti accompagnate dai bozzetti preparatori realizzati durante le prove aperte al pubblico, tenutesi a Villa Pignatelli nella "Settimana di Musica d'Insieme". Saranno presenti per l'Associazione Alessandro Scarlatti il Presidente Oreste de Divitiis e il Direttore Tommaso Rossi, per l'Accademia di Belle Arti Olga Scotto di Vettimo.


 


 

16/01/25

UN UOMO E ALTRI ANIMALI

“BESTIARIO PROSSIMO”

mostra personale di CESARE D’ANTONIO

San Benedetto del Tronto — Palazzina Azzurra    dal 7 dicembre '24 al 19 gennaio '25

      Pensiamo subito a quel lontano illuminante libro di Brunella Gasperini, “UNA DONNA E ALTRI ANIMALI” (1978), nello scorrere il pieghevole in cui Cesare D’Antonio presenta la sua mostra “BESTIARIO PROSSIMO” soffermandosi a lungo sull’affascinante esplorazione del legame tra l’umanità e il regno animale

Attraverso le svariate tecniche artistiche che gli sono congeniali, ma con rinnovati ironia critica, sguardo prismatico, passione ambientale e leggerezza, l’autore rappresenta un mondo visionario - tra il reale e il fantastico - di animali allegoricamente modificati o troppo umanizzati. [meno cani e gatti, ormai fuori concorso…].


     Contrariamente ai bestiari medioevali che raccontavano gli avventurosi incanti di quando uomini e animali convivevano democraticamente, D’Antonio agli animali già stravolti dai troppi nostri agenti inquinanti trasforma pure il nome (conservandoceli però bizzarri e simpatici). 

Quelli rimasti all’apparenza uguali, come per es. i “pinguini del Capo”, li mette in fila come soldatini dietro al loro vanitoso comandante dal rosso e caldo piumino di marca; poi tra quelli atavicamente gregari, le pecore in gregge, voilà l’unica pecora-nera, la bastian contraria: a somiglianza del solitario e raro umano che coraggioso e “mai sotto dettatura” si ribella al tran tran del branco. Certo, difficile che l’uomo ce la faccia… ma anche la pecora.


     Mostra affascinante, urgente e profondamente didattica, come le indimenticabili di Gianluigi Capriotti, anche quelle con gli animali protagonisti. 

E’ con mostre come questa, che la Palazzina Azzurra si fa quasi perdonare certi imbarazzanti eventi tipo la recente “Prospettiva Van Orton”, che ce la sequestrò - per 7 mesi, quasi 3 stagioni! e a pagamento! - imponendoci il NIENT pompato dal marketing. 

Ma quanta fatica andarci, nella Palazzina sprofondata nell’ingiustificato buio cosmico, isolata dalle invalicabili labirintiche barriere dei lavori sul lungomare. 

Solo le 50 abusive anatre dell’Albula son venute al volo quando gli pareva, pure fuori orario! Abituate libere - eppur quasi in cattività - ad essere guardate più da sfaccendati umani che dalle loro simili, in Palazzina si son divertite un sacco con animali strani o mai visti, con un uomo che li ha portati, e ancora con altri uomini e altri animali.  

 

PGC - 15 gennaio 2025

07/01/25

Per Alfonso Vacchi era sempre il 25 Aprile

 
Caro Giorgio, non ho conosciuto la persona ma sottoscrivo quanto hai scritto (letto con grave malinconia). Firmo il tuo appello! 

Se mai un giorno la piazzetta sarà onorata dal suo nome, quel giorno ci sarò. 
Un saluto affettuoso, Eugenio

06/01/25

R I S E R V A T O V E S C O V O

Quando arrivano (sonnacchiosi, come tutte le domeniche) i contrattuali Vigili armati della Polizia Locale dell’Unione Montana Monti Azzurri (sic) di San Ginesio -MC e trovano davanti al Duomo quella santa (ma loro non lo sanno) Peugeot azzurra parcheggiata di traverso nel posto riservato ai portatori di handicap (!) e ai motocicli - cartello segnaletico messo a cazzo (alla ripana), strisce gialle e bianche a terra scolorite (alla ripana), ma è chiarissimo che quel divieto c’è lì da sempre! - non gli par vero di mollarle come minimo una multona da 330 a 990 euro, oltre a far le obbligatorie misurazioni di tasso alcolico e droghe e a sequestrargli la patente, a uno che parcheggia tutto di traverso dove non deve. 

Ma sembra che qualcuno della piazza gridi “aho’… la Peugeot è del Vescovo… sta là, là dentro al Duomo! Coosa? Azz! I due vigili si fanno pallidi, si guardano, guardano l’auto blu, pensano! Ma uno di loro non si perde d’animo, con sprezzo del pericolo entra in Duomo, ne esce, scribacchia con grafia incerta da scuola elementare:             

RISERVATO

VESCOVO

su un foglietto che mette sotto il tergicristallo della sacra Peugeot, si guarda intorno, poi salta nell’auto che lo aspetta col motore acceso e tela! (A Roma dicono se so’ ddati). Non so se dopo sia arrivato un portatore di handicap che non ha potuto parcheggiare nel posto a lui riservato ma cristianamente rubato dal Vescovo.

Cose che succedono a Ripa e nel mondo al contrari.
 
PGC - 5 gennaio 2025


 

03/01/25

TEATRO È: UN TAPPETO IRANIANO

TEATRLABORATORIUM AIKOT 27

VERFREMDUNGSEFFEKT TESTIMONIAL

Rassegna di teatro poesia musica canto orchestra

A cura di Vincenzo Di Bonaventura e Teatro Aoidos

============

 

DON CHISCIOTTE

di

Miguel de Cervantes 

 

Riscrittura scenica 

di e con 

Vincenzo Di Bonaventura 

 

OSPITALE DELLE ASSOCIAZIONI

GROTTAMMARE ALTA  -  28 - 29 dicembre 2024



TEATRO È : UN TAPPETO IRANIANO

  “…E il teatro non è soltanto i suoi spettacoli; non è soltanto una forma artistica, ma una forma di essere e di reagire. È tradizione e invenzione di tradizione”.

       (Eugenio Barba)


      “Sono uno stradarolo” dice di sé Di Bonaventura, perché “appartengo alla vecchia categoria dei teatranti che migrano”, nella più pura tradizione della Commedia dell’Arte, “il più bel teatro del mondo”. 

 

      Con lui anche il romanzo può farsi teatro di strada, e ogni luogo può per lui essere teatro e palcoscenico. Oggi, al centro del palco-che-non-c’è, è un tappeto iraniano (da “una delle civiltà più antiche della storia umana, e nella quale sicuramente sono nati i primi teatri e i primi culti ad essi connessi”*) l’oggetto scenico che perimetra l’azione teatrale e simbolicamente scandisce i ruoli cangianti dell’unico soggetto-attore. 

L’essere alternatamente sopra il parallelepipedo che il tappeto ricopre e lo scendere da questo codifica rispettivamente l’entrata dell’attore nel personaggio e l’uscita da questo e l’interazione con i presenti.


      Ed ecco allora il teatro divenire atto totale, vivere nello Spazio Vuoto - alla Peter Brook - nel quale ciò che conta è l’umano e il rapporto alchemico di questo col pubblico; ecco l’attore superare il teatro accademico e “mortale”, eccolo farsi giullare alla maniera di Dario Fo, reinventare il testo e sovvertirne il linguaggio; eccolo sdoppiarsi ed essere ora il Cavaliere dalla Triste Figura con la sua lingua paludata e aulica, ora il fido scudiero Sancio dal travolgente eloquio abruzzese-forse-rosetano. Ecco la scena diventare laboratorio linguistico e ricreare codici espressivi popolari e antichi, di rara efficacia; pari, per pathos e forza drammatica -  Vincenzo dixit - alla lingua dei tragici greci.

 

       Si è dotato di katana, il nostro Di Bonaventura, per meglio seminare terrore e distruzione intorno: perché è questo che dovrà fare il nobile Don Chisciotte, così appassionato di libri di cavalleria da consumare in quella lettura giorni interi cosicchè sia per il non dormire sia per il troppo leggere gli si seccò il cervello e finì per perdere la ragione.

 

“Partì un bel mattino di luglio 

Per conquistare il bello, il vero, il giusto”

(Nazim Hikmet)

 

È struggente, la follia di questo "cavaliere invincibile degli assetati" autoproclamatosi cavaliere errante, venturiero e prigioniero della vezzosa senza pari Dulcinea del Toboso; comico e insieme commovente il suo scambiare la modesta locanda per un avito maniero, le avventuriere di strada per nobili pulzelle, i mulini a vento per trenta o quaranta giganti e io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita cominciare ad arricchirmi colle loro spoglie. Comico il suo trasfigurare la figlia de lu purcare – così nel dialetto di Sancio – cioè la nerboruta contadina Aldonza di petto e lombi possenti, per la soave Dulcinea del Toboso, che merita d’essere signora dell’universo intero …

 

      Gli fanno da contraltare Sancio e la sua ruvida concretezza, e quel suo dialetto che è ogni volta eruzione  incontenibile: di lamenti per il padrone ridotto a mal partito; di frizzi e lazzi per l’abbaglio che gli fa vedere Dulcinea nella muscolosa Aldonza; di umana pietà per quell’amore allucinato, per quella lettera a Dulcinea che il cavaliere gli affiderà: che la consegni, e solo se la risposta sarà diversa da quella sperata, allora impazzirò davvero, e come tale non sarò più capace di sentire affanni

 

Ma è oltre la comicità giullaresca, el ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, antieroe così lontano dall’eroismo dei poemi medievali (Ha un’anima trasparente dice di lui il buon Sancio, e Dostoevskij vi si ispirerà per “L’Idiota”) scagliato in una modernità in cui la fede nell’agire umano ha lasciato il posto all’incertezza e al disinganno.

 

Ariémecene a la casa!, “Torniamocene a casa!”, è il lamento costante di Sancio: capace, benché villano e credulone di misurare la distanza tra la realtà e la promessa folle del suo padrone “che in un girar di mano lo rendesse signore di un'isola, ed egli ve lo lascerebbe governatore”; vorrebbe ricondurre entro i confini del reale il sogno smarrito del cavaliere, gli ricorda che i cavalieri antichi impazzivano per un motivo, ma Don Chisciotte sa che non v’è né merito né grazia in un cavaliere errante se impazzisce per qualche giusto motivo: il sublime si è impazzare senza un perché al mondo. 

 

E lo sgangherato hidalgo - “poeta, folle, mendicante” - nel microcosmo isolato e visionario che lo ingabbia diviene metafora universale di ogni ricerca di libertà percepita come “follia”; di ogni guerra, combattuta lancia in resta e già in partenza perduta, contro i muri alti delle convenzioni, delle ipocrisie, dei poteri consolidati. E il suo impazzare è forse l’illusione che addita “la maglia rotta nella rete”, il volo verso la libertà sempre pagato a caro prezzo.

 

=============

 

 

“….ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati

tu continuerai a vivere come una fiamma

nel tuo pesante guscio di ferro

   e Dulcinea

sarà ogni giorno più bella”

 

(Nazim Hikmet, Don Chisciotte, 1947)

 

==============

 

*Valeria Ianniello – “Viaggio nel teatro iraniano moderno

                                    fra tradizione e invenzione di tradizione”, 2015

 

Sara Di Giuseppe - 31 dicembre 2024