28/07/20

Tracciati RAPidi - Roberto Chessa


presentano

con
Tracciati RAPidi

opere
Roberto Chessa

a cura di
Nikla Cingolani

Roberto Chessa, Intergalactic mind, 2020 – acrilico su tela, 80 x 100 cm
  

Inaugurazione sabato 1° agosto 2020 - ore 17.00 
Sala Ipogei "Galleria Marconi"
Monsampolo del Tronto

INGRESSO LIBERO
La mostra termina il 30 settembre 2020


A Monsampolo del Tronto riparte l’Arte contemporanea. Sabato 1° agosto 2020 alle 17.00, Sala Ipogei “Galleria Marconi” propone “Tracciati RAPidi”, mostra personale di Roberto Chessa. La mostra, a cura di Nikla Cingolani, è organizzata dal Comune di Monsampolo del Tronto da Galleria Marconi e da Marche Centro d'Arte
Il giorno dell’inaugurazione Roberto Chessa farà una performance pittorica in diretta su un pannello di m 3,00 x 1,20.
La mostra si conclude il 30 settembre 2020

Durante la mostra sarà possibile vedere anche le opere di Giovanni Alfano e Josephine Sassu ospitate nel Museo della Cripta e le sculture di Franco Anzelmo nello spazio adiacente la Galleria.

Nel corso dell’inaugurazione l’artista svolgerà una live performance pittorica su una grande superficie. Roberto Chessa proviene, infatti, dal mondo culturale dell’Hip Hop che va dalla musica rap all’arte dei graffiti, dalla breakdance alla Street Art.
Come scrive nel testo critico la curatrice Nikla Cingolani “Oggi Chessa è un pittore ma, pur essendo passato dalla strada allo studio, è ancora un b-boy e un writer che non ha abbandonato del tutto la voglia di segnare il territorio con i suoi tag, e continua a ballare insegnando la breakdance ai ragazzi. La sua arte, perciò, ha uno stretto legame con questa particolare urban dance in cui caratteristiche come improvvisazione, ritmo, controllo, equilibrio e velocità nei movimenti, corrispondono alle qualità che mette in campo quando dipinge…Chessa definisce le sue opere “Intuizioni Geometriche” e come tali sono libere espressioni, frutto di un’evoluzione dal grande potere espressivo, in tensione tra istinto e controllo creativo. I soggetti, solidi e compatti, si sviluppano come strutture geometriche colorate e interconnesse a blocchi poligonali delineati con tratti spigolosi ed essenziali.


L'iniziativa rientra nello sviluppo del progetto del Sistema Museale Piceno teso alla valorizzazione del più vasto comprensorio comunale ed in particolare del vecchio incasato, dei suoi musei e della rete dei 58 musei del territorio piceno sostenuta dal BIM Tronto.
Sala Ipogei “Galleria Marconi”, chesi trova in via Fratelli Kennedy nel borgo di Monsampolo del Tronto, nasce come ideale prosecuzione dell’esperienza ventennale della Galleria Marconi di Cupra Marittima, e per non disperdere la qualità della ricerca artistica e culturale portata avanti in tanti anni di lavoro del suo direttore artistico Franco Marconi.

“L’emergenza Covid ha rimesso in discussione molte cose e ha reso necessario ripensare il modo nel quale si propone arte. Nel giro di pochi giorni tutto si è fermato per mesi, mettendo in evidenza tutta l fragilità umana e il suo sistema di vita. Mi occupo da anni di arte e in questa occasione vivrò un vernissage diverso. In questo periodo per me la cosa più difficile da affrontare è stata l’impossibilità di abbracciare le persone a cui voglio bene. Spero che presto tutto questo passi presto, per tutti. Tracciati RAPidi è il quarto appuntamento che è ospitato dentro Sala Ipogei “Galleria Marconi”. Voglio ringraziare ancora una volta il sostegno e la fiducia del Comune di Monsampolo del Tronto, del Sindaco Massimo Narcisi e di Mario Plebani, di Marche Centro d’Arte e di Lino Rosetti, insostituibile nella sua attività e come amico. Voglio mandare loro un abbraccio, perché è un gesto che dà fiducia e speranza nel domani, voglio abbracciare tutti i miei amici, quelli vicini, ma anche quelli che sono nelle zone del mondo che ora sono in emergenza Covid. Voglio mandare un abbraccio a tutti. Ripartiamo dall’arte e dalla cultura, perché è un buon modo per marcare quanto di positivo hanno gli esseri umani.” (Franco Marconi)


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Informazioni per una visita in sicurezza
Per poter garantire la miglior tutela dei visitatori ed evitare al massimo il rischio di contagio, il Comune di Monsampolo del Tronto ha attivato le necessarie misure di sicurezza per il contenimento del COVID-19
L’accesso e la permanenza all’interno di tutte le sedi dell’Istituzione è facilitato dalla presenza di alcuni ausili, quali una segnaletica specifica, anche direzionale, e cartelli informativi

Si riportano di seguito alcune informazioni utili alla visita:
- chiunque accede ai musei civici e mostre dovrà obbligatoriamente indossare la mascherina, anche per i bambini di età superiore a 6 anni e devono igienizzare le mani con il gel disinfettante
- durante la visita, per l’intero periodo di permanenza all’interno della struttura è necessario mantenere sempre la distanza di sicurezza interpersonale evitando affollamenti
- per l’accesso alle sale espositive è previsto un numero massimo di persone, secondo slot calcolati su metrature e logistica degli spazi
- all’interno del Museo la visita potrà essere svolta sempre lungo il percorso indicato dalla segnaletica e/o dal personale del museo

Si ricorda inoltre che all’interno dei Musei Civici
- sono a disposizione i gel igienizzanti
- nelle sale espositive della mostra temporanea l’accesso è consentito ad un massimo di 6 visitatori contemporaneamente
- eventuale materiale cartaceo (depliant, mappe ecc…) non deve essere abbandonato negli spazi museali; si pregano i visitatori di conservarlo o gettarlo negli appositi cestini
- non è possibile utilizzare il guardaroba; i visitatori sono pertanto pregati di presentarsi con il minimo di accessori personali, evitando bagagli, nonché zaini e borse voluminosi


Tracciati RAPidi
Info e Contatti
artista: Roberto Chessa
curatrice: Nikla Cingolani

comunicazione: Dario Ciferri
fotografia: Catia Panciera
allestimenti: Pasquale Fanelli – Sabatino Polce

dal 1° agosto al 30 settembre 2019

Orari e modalità di prenotazione:
VISITE SOLO SU PRENOTAZIONE
Per l’inaugurazione (all’aperto) si dovranno rispettare le distanze di sicurezza ed evitare assembramenti sarà opportuno prevedere degli scaglionamenti (massimo 20 persone per volta), nella sala massimo 6 visitatori per volta.

ORARI:
10,00 – 13,00 / 16,00 – 19,00
Il martedì dalle 21,00 alle 24,00 passeggiata per il borgo con visita al Museo della cripta, chiesa Maria Ss. Assunta e Sala ipogei galleria MARCONI Mostra “Tracciati rapidi”

Punto informativo e prenotazioni: Museo della Cripta, Chiesa Maria Ss. Assunta, Tel. 377 1500858

Spazi Ipogei Galleria Marconi
Via Fratelli Kennedy
63077 Monsampolo del Tronto
e-mail galleriamarconi@outlook.it

26/07/20

Per il 40° de "Il Flauto Magico", Sala da tè - 1980/2020


Quattro amici al Flauto Magico          
          

          Eravamo quattro amici al bar*          
          che volevano cambiare il mondo
          destinati a qualche cosa in più
          che a una donna e un impiego in banca
          Si parlava con profondità di anarchia e di libertà
          Tra un bicchiere di vino ed un caffè
          tiravi fuori i tuoi perché
          e proponevi i tuoi farò…  …                  *Gino Paoli, 1991


          Così Settimio, Maurizio e Rossella, e io
          giusto 40 anni fa ci mettemmo in testa di aprire una Sala da Tè.
          Noi, per niente del ramo (ma Rossella era brava a fare i dolci)
          Con poche lire, ma tante idee.
          Inventammo tutto, e copiammo pure, ma nei bistrot di Parigi
          Imparammo il tè. Insegnammo il tè.
                    Solo uno di noi è ancora qua.
                    Ma noialtri tre gli siamo sempre vicino.
                    Quarant’anni non bastano per separarsi.


Domenica 26 luglio 2020                        giorgio

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Non solo tè


Noi tutti invecchiamo aggiungendo al medagliere della vita i segni della battaglia. Sommiamo cicatrici, perdiamo fili e fili dalla testa, tonicità e forza dei nostri muscoli, lucidità di pensiero. Ma certi luoghi non invecchiano mai. Anzi, aumentano di fascino, e più avanzano negli anni maggiore diventa il loro carisma.

Entrano a far parte della nostra memoria. Luoghi di incontri a volte speciali che vedono scorrere vite, generazioni. Loro sì che cambiano! Forse nelle mode, nel portamento, ma non nella formula dell'incontro. Chi ci trova una fine, chi un inizio, ma quasi tutti ci trovano un rifugio di convivialità in sana e corroborante amicizia.

Quarant'anni fa non conoscevo quasi nessuno della mia città, oltre a pochi compagni di studi e di passioni. Alcuni erano fuori come spesso lo ero io. Per nulla vivevo queste strade e di certo non ho prestato caso alla Sala da tè che apriva. Lei nasceva quando per me il tè era una bevanda sconosciuta. Ancora adesso lo è.
Non conoscevo i loro fondatori, e per lunghissimo tempo non c'ho messo piede. Se l'ho fatto un giorno è per l'ospitalità offerta alla nostra rivista UT. Una scoperta vera. Indimenticabili serate a discutere di cose più o meno di senso. Temi, suoni e voci che solo lì abbiamo espresso, in simbiosi e in armonia con le calde pareti del Flauto.

Grazie alla sala da tè Il Flauto Magico di via Custoza ho riscoperto il punch al mandarino, della buona birra e dell'ottimo vino accompagnati dalle note di Tamino.

Grazie anche a Maurizio, Rossella, Marisa, Clara, Giorgio e Settimio… oltre ai tanti che vi fanno capolino.


Francesco (detto Frank) - 26 luglio 2020
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https://www.facebook.com/Il-flauto-Magico-207377399346701/?ref=page_internal



22/07/20

La "dismisura"

 Autoctophonia Festival 2020
Teatro - Danza - Recital    [8 luglio - 30 agosto]
Memorial Leonardo Alecci

A cura di
TEATRLABORATORIUMAIKOT27
con
Vincenzo Di Bonaventura


Martinsicuro – Parco La Pineta


“EDIPO”
18 Luglio 2020   h 21.30
 

LA DISMISURA

 “Oh razza dei mortali
  Quanto simile sei
  Nella tua vita al nulla”
        [Sofocle, Edipo re – circa 425 a.C.]


       Torna ad essere attore-solista, Di Bonaventura, nella serata dedicata all’Edipo sofocleo. Attrezzi di scena, il palco in legno di larice e una sedia in plastica blu, modello bar-stazione, serigrafata Pepsi Cola: non per sedersi, quando mai una sedia serve a quello… funge invece da tamburo, sostituisce il fido djembè e la percussione accompagna gli stasimi del Coro (se un mister Pepsi vedesse, Vincenzo sarebbe milionario).

        Si fa in quattro e oltre, l’attore-solista, per la tragedia che avrà forma abbreviata a causa - in questa sera di luglio - del “freddo taciturno di un dicembre ascoso e passeggero” (Di B.): ed è Edipo e Tiresia, è Creonte ed è Giocasta, è lo sciamano e il pastore, ed è il Coro.
        Demolisce, Di Bonaventura, il teatro declamatorio qual è per eccellenza quello classico, fino a introdurre nel Prologo, quale antefatto, la contorta grottesca maschera dello sciamano (il mago, l’indovino, il sacerdote…): in giullaresca mescolanza di onomatopee e dialetti simil-meridionali, questi prescrive ai popolani ciò che è necessario perché si allontani la peste che sta decimando la loro città, come anche la vicina Tebe: occorre il sacrificio, occorre il "capro espiatorio". E il sacrificio si compie, la città è dunque libera.
 
       Ma non lo è Tebe, devastata ancora dal morbo, e attende la salvezza dal suo re, da Edipo sapiente e saggio, che già la liberò in passato dalla sanguinaria Sfinge.
      “La mia anima piange per tutta la città, per me stesso, per voi parimenti …”. E la salvezza è possibile, è nel responso inequivocabile di Apollo Pizio: occorre cercare e punire chi uccise il vecchio re Laio, sul cui trono siede ora Edipo, e l'espiazione scioglierà il maleficio che causa la pestilenza. Il cieco indovino Tiresia, chiamato su proposta di Creonte, aiuterà anzi ad abbreviare i tempi, lui certo svelerà tempestivamente il colpevole.

      Ma Tiresia è reticente: sa e non vuol dire - “Ahimè ahimè, terribile cosa è il sapere, se non giova a colui che sa!” - si esprime per enigmi, suscita la collera di Edipo, è accusato di complottare con Creonte.
Dovrà infine cedere e parlare “… Sei tu l’empio che contamina questo paese” e, incalzato, ribadire: “Dico che l’assassino di Laio, che cerchi di scoprire, sei tu” .
      
      Ha in sè i meccanismi di una modernissima detective’s story questa “tragedia perfetta”, che vede Edipo al tempo stesso investigatore e colpevole. Ed è tragedia dell’ira, dove ciascuno rigetta da sé la colpa, rabbiosamente scagliandola sull’altro; solo l’elemento femminile, e in quanto tale il più dotato, la tragica Giocasta, saprà ricomporre gli animi e riportarli alla ragione.

     Nel percorso a ritroso verso la verità, nella volontà generosa e leale di far luce risalendo ogni gradino dell’oscura sua origine, Edipo - il più infelice degli uomini - scoprirà che il vaticinio antico s’è compiuto inesorabile e s’è beffato dei miserevoli destini umani; e saprà di essere lui stesso l’empio, causa ignara e involontaria del maleficio tebano.
       Uccisore del proprio padre, figlio e marito della propria madre, padre e fratello dei suoi stessi figli, egli condanna sè stesso a vivere accecato ed esule [Luce, ch’io ti veda per l’ultima volta, perché io nacqui da chi non dovevo, mi congiunsi con chi non dovevo, chi non dovevo uccisi].

      È dunque la dismisura - superbia, tracotanza, hybris - che oltraggiando gli dei e le leggi naturali genera la catastrofe; nella tragedia sofoclea solo l’espiazione - del parricidio e dell’incesto - guarirà la città dalla peste.

     C’è, nel nostro oggi contaminato, un Edipo che espiando la colpa liberi noi, come Tebe, dal morbo che ci sovrasta? No certo. Né sciamani giungeranno danzando a prescrivere sacrifici: perchè la dismisura appartiene a tutti noi, è cifra del nostro presente globale dissonante e distopico, in fuga dalla ragione, e porta con sé il male più estremo.
      Né ci salveranno i narcisismi patologici, gli europei litigi da cortile, nè alcuna tragica Giocasta verrà a chieder loro “Perchè mai, infelici, suscitate una contesa che non ha senso? Non vi vergognate, mentre la patria è nell’angoscia, di rimestare nei vostri guai privati?” 



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La dismisura genera i tiranni.
La dismisura, se di troppe cose
non convenienti, inutili,
vanamente si sazia
e sale su precipiti dirupi
strapiomba tosto
nel gorgo della necessità,
né saldo piede l’aiuta...

             Sofocle, Edipo re (Coro, terzo stasimo)


Sara Di Giuseppe - 21 Luglio 2020




18/07/20

Leopardi è un brand

Autoctophonia Festival 2020
Teatro - Danza - Recital   [8 luglio - 30 agosto]
Memorial Leonardo Alecci

A cura di
TEATRLABORATORIUMAIKOT27
con
Vincenzo Di Bonaventura
Loredana Maxia
Patrizia Sciarroni
e il Gruppo teatrale Aoidos

Martinsicuro – Parco La Pineta
 

“I Fiori del Deserto”
Giacomo Leopardi
Mercoledì 15/07  h21.30

 
LEOPARDI È UN BRAND*


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“Perché in sostanza il genere umano crede sempre non il vero, ma quello che è, o pare che sia, più a proposito suo.”


G. Leopardi, Operette morali - Dialogo di Tristano e di un Amico, 1832

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        Nel Belpaese che tutto celebra specie se ci guadagna, il 2019 dell’era pre-Covid ha perfino festeggiato il bicentenario de “L’Infinito” leopardiano (!). S’è scoperto così che Leopardi è unbrand”, batte in volata Catullo e Verga ed è “valore aggiunto” per l’economia recanatese e marchigiana.

Ci avresti pensato, Giacomino? Soddisfazioni, eh?

      Sarà stupito perciò, l’immenso Giacomo main sponsor delle Marche, se stasera non fa guadagnare un euro a nessuno e sotto le stelle del Parco risuonano solo la gigantesca sua poesia, la grandezza del pensiero, la profondità della sua filosofia.

     “Contemplatori dell’eterno” sono i poeti, dobbiamo leggerli “con furore”, disse tempo fa Vincenzo. E come tutto il cartellone di “Autoctophonia” - corpus variegato, tessuto  su una trama di autorevoli studi accademici, ricerche, riscritture sceniche, esperienze testimoniali di teatro - questa storia di un’anima per aghi di pino e voci sole - di Patrizia, di Loredana, di Vincenzo - frantuma tenaci stereotipi e scolastiche semplificazioni.
Non ne scalfisce l’incanto neppure l’eco raccapricciante, dalla festa vicina, del Reginella Campagnola strimpellata in do e sol.

       “Sono così stordito dal niente che mi circonda…”: così, del borgo selvaggio che oggi lo onora e va all’incasso, scriveva il giovane recanatese all’amico Giordani, dopo esser stato riacciuffato dal tentativo di fuga e riportato per le orecchie a casetta (si fa per dire) sua.
Ne odiava il soffocante bigottismo, il clima reazionario, la ristrettezza culturale, tanto da fuggirne appena possibile: “Quanto a Recanati […] io ne partirò, ne scapperò, subito ch’io possa“ scrive ad Adelaide Maestri; e all’amata sorella Paolina, da Firenze: “… i Recanatesi veggano con gli occhi del corpo (che sono i soli che hanno) che il gobbo di Leopardi è contato per qualche cosa nel mondo, dove  Recanati non è conosciuto pur di nome”.

        Oggi fuggirebbe ancora: da Recanati e da quella “orribile e detestata dimora” di certo, ma anche da questo presente che tutto mercifica.
        Eppure sparisce alla vista, stasera, il deserto di pensiero delle nostre satolle cittadine, qui nel giardino incantato dove per mille e una notte vorremmo ascoltare le voci che re-inventano poesia, scuotono  e - come fa il sisma - ridisegnano geografie e percorsi che credevamo di conoscere.

        Leopardi canta alla luna, alla morte, alla condizione umana – dice Vincenzo – da quel palazzo patrizio che aveva intorno solo galline a razzolare - non ancora ciclo-turisti a fare selfie lì davanti - e come  conforto unico e tormentoso lo studio matto e disperatissimo nella sterminata biblioteca paterna.

        “Sono un tronco che sente e pena”, scriverà da Firenze agli amici toscani pochi anni prima di morire: ma il pensiero che anima quel “tronco” è fulgido come un diamante, l’esperienza personale del dolore è formidabile strumento conoscitivo, la sua filosofia è consapevolezza del proprio mondo interiore e slancio pietoso verso un’umanità utopisticamente consorziata contro la comune infelicità: “La mia filosofia […] di sua natura esclude la misantropia, di sua natura tende a sanare […] quell’odio che tanti e tanti portano cordialmente ai loro simili…”.

          La morte lo attrae, la fine è invocata [“Invidio i morti, e solamente con loro mi cambierei”] ma è saldo lo sguardo che contempla, accanto all’infelicità propria, quella eterna e irreparabile dell’uomo, radicale la rivolta contro lo spiritualismo provvidenzialistico e consolatorio del “secol superbo e sciocco”, implacabile l’invettiva contro le mistificazioni antropocentriche di questo.
      “..Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? […] Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me n’avvedrei ” è la risposta della Natura alle accuse dell’Islandese, la dichiarazione di assoluta indifferenza di questa alle sorti umane: il “perpetuo circuito di produzione e distruzione” con cui l’universo garantisce la propria conservazione prescinde dal destino di felicità o infelicità dell’uomo.

    E tuttavia ineliminabile è la tensione dell’animo al piacere, la spinta al “naufragare” dell’immaginazione oltre i limiti del presente fisico; feroce è l’ansia di vita, e l’Amore, attività vitale dei sensi connaturata e incoercibile, “Dolcissimo, possente / Dominator di mia profonda mente, ne è  l’espressione più intensa: ma è anche inganno estremo e sua definitiva disillusione.

      “Nudo e potente” risuona il verso stasera: nel sussurro e nel grido, nella materia intima e dolente dei ricordi, nell’ironia sdegnata, nell’ansia d’infinito e nel fervore di vita, nel traboccare di speranze.
       E sotto il cielo notturno e profondo, queste voci “necessarie e testimoniali” ri-creano una parola poetica che ci appare nata oggi: sconvolgente nella sua incompresa modernità, titanica nella convinzione d’infelicità che è quasi fiera e non cerca risarcimenti,  nel rifiuto sdegnoso delle “superbe fole”,  nella “forza eroica di chi ha raggiunto il completo possesso di sé”.
E tanto vicina alla nostra disperata fragilità quanto lontana dallo strepito di un oggi che senza imbarazzo vaneggia di brand e nulla sa di “Infinito” se non che è un marchio e produce reddito.


un brand da 1,4 miliardi. A tanto ammonta – secondo uno studio della Camera di Commercio di Monza e della Brianza, che ha analizzato il peso dei grandi della letteratura – il valore aggiunto generato da Giacomo Leopardi, non solo per Recanati ma per tutta la regione
[Il Sole24ore, 8 novembre 2019]


Sara Di Giuseppe - 18 Luglio 2020 



Ripatransone: L’Area Camper diventa “Terra di Nessuno” *


 *Niente foto, così potete illudervi che è tutto inventato

        Aspettando la guerra Ripa si attrezza a difendersi, ma lo fa meglio dei borghi vicini, disponendo di amministratori dai cervelli che friggono sapere e furbizia. Infatti, spendendo niente, trasforma la dimenticata Area Camper, giù ad est fuori le mura, in provvidenziale “Terra di Nessuno”, dove i nemici invasori, dal mare in risalita su per le colline, saranno ingannati e ci resteranno secchi, decimati dall’artiglieria, dai fucilieri nascosti nella boscaglia circostante, dalle frecce incendiarie scoccate con traiettoria discendente dall’alto del paese...

       Intanto però oggi a restarci secchi sono gli affaticati camperisti che risalgono fiduciosi la “Cuprense” (scansando avventurosamente i nostrani piloti che - impuniti - qui corrono come matti): dell’Area Camper di Ripa infatti - segnalata su ogni cartina-PleinAir e annunciata dai navigatori - i poveretti ignorano il (segreto) “cambio di destinazione”. Potrebbero solo sospettare qualche perfido trucco all’ingresso: là dentro, nell’angolo in fondo, s’intravede quel camper (civetta?) solitario, quasi mummificato come il corpo della signora Bates in Psyco…
Non un’anima viva intorno…

       Poi tutto appare chiaro: il brutto cancello ruotante che basta una spinta per aprirlo, la fatiscente palizzata in legno che pare finta (apposta per essere facilmente scavalcabile dagli invasori nemici) ormai ingoiata da rovi e sterpaglie, il pozzetto di scarico affondato e probabilmente defunto, le colonnine elettriche pericolose (fatiscenti, storte, avvolte dalle erbacce), le prese d’acqua asciutte da anni… Al centro, l’arida radura per indiani persi dall’erba secca facilmente incendiabile giusta per arrostire i nemici, meno per il camperista lumbard smanioso di frescura. Ai bordi occorre il macete. Ah, ci saranno abbastanza topi vipere cinghiali lupi… le gioie dei camperisti? Qua di notte sarà buio pesto?


       Ma le cose non sono mai come sembrano. Infatti, che dell’ex  Area Camper Ripana restino solo abbandono e cartelli di ruggine è solo una ben calcolata finzione teatrale: serve a mascherare questa Terra di Nessuno che oggi si limita a scacciare i troppo parsimoniosi camperisti e domani, finalmente, adescherà i temibili nemici di Ripa in una trappola perfetta.


PGC - 16 luglio 2020

12/07/20

“Dove un tempo maturammo sogni”

Autoctophonia Festival 2020
Teatro - Danza - Recital
Memorial Leonardo Alecci

A cura di
TEATRLABORATORIUMAIKOT27
con
Vincenzo Di Bonaventura
Loredana Maxia
Patrizia Sciarroni
e
Gruppo Teatro AOIDOS
8 luglio – 30 Agosto
Martinsicuro – Parco La Pineta

Mercoledì 8 luglio, h21.30 
Sentimento del vivere (Gabriele D’Annunzio)


“Dove un tempo maturammo sogni”

“Tutto sarà come al tempo lontano.
L’anima sarà sempre com’era;
e a te verrà leggera
come vien l’acqua al cavo della mano”
                    
[G.D’Annunzio,  “Consolazione” - Poema paradisiaco, 1891]



        Sono, questi, i luoghi dove un tempo maturammo sogni, dice Vincenzo: oggi teatro a cielo aperto, fatto di alberi e stelle profonde e attrezzi di scena d’antan, carro di Tespi che una stagione dopo l’altra lui, attore-autore-regista-scenografo-tecnico del suono, trasporta ovunque ci sia da poter montare il suo palco in legno di larice.

        “Appartengo alla vecchia categoria dei teatranti che migrano”, disse una volta. E nel suo migrare a strascico restano impigliate presenze indelebili, ricordi di luoghi e persone: di maestri - come Carmelo Bene  - e di indimenticati compagni di viaggio. Come quel Leonardo (“Dino”) Alecci amico e collega, e quel veneziano “Teatromodo” diretto da Giuseppe Emiliani, gruppo di sognanti-lavoratori intenzionati a divulgare poesia, meglio se fuori dai luoghi istituzionalizzati, presenze con le quali Vincenzo ha condiviso anni ed entusiasmi.

      Saranno dunque - in gran parte - lavori allestiti insieme in quei tempi di leggenda, gli spettacoli del nuovo Autoctophonia Festival 2020 dedicato a lui, a Leonardo Alecci detto Dino, che un incidente d’auto si portò via troppo presto.
      E Vincenzo non è attore-solista, in questa serata d’esordio, ma unito alle “due voci con le timbriche più belle che abbia mai sentito”: Loredana Maxia e Patrizia Sciarroni, “sue” attrici-testimoni preziose e tenaci, incrollabili come il maestro, interpreti di rara efficacia fin da quel lontano affettuoso e folle Teatrodue Aikot da 27 posti in via Fileni a San Benedetto.

        Diapositive sciabolano la penombra, immagini che hanno consegnato il D'Annunzio tribuno e vate all’aneddotica e agli stereotipi del mito; stride la fissità teatrale e sgranata di quelle pose con l’altezza visionaria della parola poetica che le tre voci attoriali attraversano e ri-creano nuova. S’avvicendano e s’inseguono, quelle voci, si sovrappongono, si contrappuntano come strumenti in un’orchestra; si fanno canto, e di quell’arte lussureggiante e sontuosa percorrono ogni intonazione e variazione timbrica, mentre  il nostro circoscritto spazio di pini e cielo si dilata nel “jazz lirico” per tromba e bandoneon di Paolo Fresu e Daniele di Bonaventura, tessuto musicale di misticismo austero e mediterraneo calore.

        Esiguo il pubblico, come sempre, ma invisibili nel bosco o seduti qui intorno ci sono loro: i poeti, gli scrittori, i maestri, dice Vincenzo.
D’Annunzio e Hikmet, Leopardi e Majakovskij, Fo e Baudelaire, Dante e De Cervantes, e Montale, e Dimarti, e Pennacchi e Bene e gli altri: sono tutti qui, le sedie  - distanziate - non basterebbero.

        E noi ri-conosciamo in quell’arte dannunziana “poliedrica come un diamante”, diversa e nuova questa sera, il trascorrere dal solare giovanile vitalismo alla matura sensualità fino alle esplorazioni d’ombra del dolente Notturno  - “commentario della tenebra” lo definì il poeta – col suo cupo senso del finire delle cose.
Versi e prose che disegnano i chiaroscuri di un’anima inconsapevolmente pirandelliana - “V’è un acerbo piacere nell’esser disconosciuto, e nell’adoprarsi a esser disconosciuto” - nascosta dalle maschere innumerevoli del suo personaggio ma che al “Libro segreto” (confessione, memoria, laica Via Crucis) affida la trama irrisolta dei conflitti interiori, il peso dei ricordi, il “disperato coraggio” e la certezza che soltanto nella morte “avrò il viso che m’era destinato” (Credete che la mia vera maschera carnale sia questa?).
Svelano la poderosa unicità di un’arte che “ha sperimentato o sfiorato tutte le possibilità linguistiche e prosodiche del nostro tempo” (Montale) e nel farlo ha plasmato figure inimitabili - possenti e tolstoiane, o barbaricamente tragiche, o liriche e umanissime - per trovare tregua nel ripiegamento deluso, nell’esperienza del dolore, nel ricordo dolente (Il passato mi piomba addosso col rombo delle valanghe; mi curva, mi calca).

    
Sembrano assorti anche i pini di Aleppo, ora, al tacere delle voci e della musica; e i pavoni lì presso hanno sospeso per tutto il tempo il loro grido aspro, per ascoltare attenti.
Ma abbiamo “maturato sogni” anche noi, stasera, come gli alberi e gli animali, come l’oscurità intorno pullulante di creature e di vita, mentre la Luna è prossima alle soglie / cerule: potremmo restare l’intera notte e non saremmo stanchi, e vorremmo percorrerlo ancora e ancora, quel sentiere, e ogni volta ci sembrerà novo.

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“… su le scene non può aver vita se non un mondo ideale. Il Carro di Tespi, come la barca d’Acheronte, è così lieve da non poter sopportare se non il peso delle ombre o delle immagini umane”.
[G.D’Annunzio, Il fuoco, 1900]


Sara Di Giuseppe - 10 Luglio 2020




02/07/20

La lezione di Bergamo (e quella di San Benedetto)

Rapìan gli amici una scintilla al sole,
A illuminar la sotterranea notte
       [U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807]


       28 giugno 2020. Bergamo, Cimitero monumentale. La Messa da Requiem di Donizetti commemora le vittime del Covid: arriva da un tempo lontano, si posa sul nostro tempo flagellato, sulle ferite di chi è rimasto. Riempie di sé il crepuscolo, canta il dolore dell’uomo, eterno e uguale.

       La mascherina sul volto dei musicisti e dei componenti del Coro colpisce, il suo messaggio ha la “triste maestosità” delle eclettiche architetture che di questa scena sono austero fondale.
       Dove maggiore è stato il lutto, dove il nemico inumano e invisibile si è alleato con umane colpevoli inettitudini perché il dolore non risparmiasse alcuno, dove tutte le ferite sono ancora aperte, qui si distende il dialogo delle voci e degli strumenti, qui si posa la lirica solennità del Kyrie, il vocabolario armonico dell’Ingemisco, del Lacrymosa, dell’Offertorio, del Libera me, e con essi la pietà del compositore che come i suoi concittadini sperimentò su di sè la malattia e il lutto.

       Lezione di compostezza, cui il confuso presente disumanato e carnascialesco ci ha disabituati; e composte sono, di quella tragedia, le immagini che un’attenta sobria regia lascia scorrere con misura: della carezza donata, dall’anonimo/a nel suo marziano scafandro, a chi lascia la vita ed è solo; della fatica senza tregua che spezza l’anima prima che il fisico; del dolore raccolto di chi rimane; e ciascuna immagine è una michelangiolesca Pietà che troppo a lungo si è fatta realtà quotidiana.

       Altra e diversa lezione - solo due giorni prima - dalla passerella di quaggiù, affollata di pagliacci grotteschi, insulto e offesa a quel dolore, a quella fatica, a quei lutti. L’arrivo di Matteo Salvini in tour elettorale a San Benedetto del Tronto è nella sua scomposta sguaiataggine il negativo dell’Italia vista a Bergamo.

       Selfie, strette di mano e abbracci hanno titolato gioiosi i quotidiani locali senz’ombra di critica. Ad accogliere quello che ad incancellabile onta di noi italiani è stato anche Ministro dell’Interno, i degni suoi simpatizzanti: dal sindaco Piunti che gli regala il trito librone di rappresentanza con strette di mano e mascherine abbassate a distanza ravvicinatissima; da gruppi festanti in un carnevale estivo di abbracci e selfie e pacche sulle spalle, e perfino alcuni giovani di colore - non altrimenti spiegabili se non come organizzati o prezzolati - a fare selfie atletici con lo statista che il mondo ci invidia e a dargli la stura per la battutaccia da “fagiano lesso” (cpr. Andrea Scanzi).

      Tutti senza mascherina, si capisce, vicini vicini e droplet libero per tutti.

       Collaudato è il rituale accatta-consensi e sarà vincente, stiamo sereni. Il "Cazzaro verde" è sempre andato col vento in poppa nelle nostre cittadine dalle cene fasciste con tanto di presenze istituzionali, e signoreggia nella leghistissima Ascoli.

       Se questa è l’edificante lezione offertaci dallo squallido teatrino locale - col suo tana libera tutti e via le mascherine e vai con gli abbracci - mentre stampa locale, cittadini, associazioni, benpensanti e bellagente se ne stanno silenti o plaudono compiaciuti ma anche invidiosi - conforta almeno sapere che un’altra Italia c'è e noi l’abbiamo vista, a Bergamo.

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       “Così, ne’ pubblici infortuni, e nelle lunghe perturbazioni di quel qual si sia ordine consueto, si vede sempre un aumento, una sublimazione di virtù; ma, pur troppo, non manca mai un insieme, un aumento, e d’ordinario ben più generale, di perversità. I birboni che la peste risparmiava e non atterriva, trovarono nella confusion comune, nel rilasciamento d’ogni forza pubblica, una nuova occasione d’attività, e una nuova sicurezza d’impunità a un tempo
       [A. Manzoni, I Promessi Sposi - cap.XXXII]



Sara Di Giuseppe - 1 Luglio 2020