26/09/21

“LE VELE LE VELE LE VELE”

Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento
Che gonfia di vane sequele
Le vele le vele le vele…
E tesson e tesson lamento […]

(Dino Campana, Canti Orfici)
 
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San Benedetto T.
 
       Ma queste vele sambenedettesi non hanno profumo di mare né schioccano al vento, non conoscono scricchiolio di cordami e cullare di onde. Hanno tanfo pre-elettorale e puzzo di nafta, sono l’orrenditudine di camionacci - “camion-vela” li chiamano, che è già un ossimoro - con su appiccicati i faccioni dei candidati.
 
Se fossi una vela marinara m’incazzerei parecchio.  
 
Percorrono la città a passo elettorale – dieci metri ogni dieci minuti – rallentano più d'un bradipo, fino a fermarsi col freno a mano tirato in punti strategici fingendo che ci sia una coda; ti feriscono occhi e orecchie mentre ti chiedi: perché uno dovrebbe votare quei faccioni a passeggio?
 
A volte li accompagna la fonica a mille watt che annuncia il comizio di questo o l’incontro di quello coi cittadini del quartiere ics, alle ore ipsilon, in piazza zeta: e ti sembra di entrare a capofitto nello sketch Annunciazione Annunciazione! – “Tu Mari’, Mari’, fai il figlio di Salvatore…” di Troisi e Arena.
 
Non bastassero le vele, ci penserebbero gli slogan a farci entrare in depressione: da Ascoltare le ragioni degli altri, a Prendiamoci cura della città, a Cambiare si può, a San Benedetto pronta per il futuro con la Lega (eccaallà), a Conta su di me, a Cresciamo e facciamo insieme, a Uniamo ciò che gli altri hanno diviso (qualunque cosa voglia dire), a Possiamo cambiare passo (questa è figlia di Figliuolo)… Il manuale della perfetta vacuità veleggia per le vie cittadine.

Altro che il veleggiare visionario e orfico di Dino Campana.
Magari ci scrivessero una poesia, su quegli spazi, invece di  brutti slogan e brutti faccioni al photoshop che si sforzano d'essere piacioni; chi leggesse i versi si soffermerebbe attento, forse avrebbe un motivo per votare (se il candidato ama la poesia, sarebbe l’assioma, non ha un animo rozzo…).
 
Com’è noto il peggio viene sempre dopo, ed ecco che alle vele e agli slogan si aggiungono gli “spettacoli d’arte varia” come nei teatri di una volta: non (ancora) l’uomo elefante o la donna scimmia o il mangiatore di fuoco bensì la ragazza-sui-trampoli-che-si-sbraccia sventolando-una-bandiera in mezzo a frastuono e musicacce per il candidato Ics.
È senza risposta il perché lo spettacolo della ragazza-sui-trampoli-che-si-sbraccia-sventolando-una-bandiera dovrebbe mai indurre il cittadino Ipsilon a votare il candidato Ics per il quale la ragazza-sui-trampoli si sbraccia e sventola.
 
Poi ci sono i candidati-sindaco che rispondono su di un palchetto in strada alle domande pre-stampate dei cittadini: ascoltarli è un’imperdibile esperienza antropologica, e c’è perfino il candidato sindaco Ics - quello per il quale la trampoliera si sbraccia - che le risposte le legge, scritte su un pezzo di carta. Così sappiamo che sa leggere.
 
Poi c’è che mentre nella civile Germania voteranno soltanto un giorno - oggi, domenica - e solo fino alle 18, e sono niente meno che elezioni politiche nazionali, da noi di giorni ce ne vogliono due per le amministrative locali parziali, e nel primo giorno si va avanti fino alle 22 se mai a qualcuno gli si facesse tardi nel tornare dalla spiaggia. Mostreremo altresì la nostra spettacolare modernità usando scatoloni di cartone marron e matite copiative fuori commercio che quasi non scrivono: severamente da restituire dopo l’uso, beninteso.
 
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Socrate: "Si potrebbe fare qualcosa che né si sa, né si ha potenza alcuna per farlo?"
Ippia:     "Assolutamente no. Come si potrebbe fare quello che non si sa, né si è in grado di fare?" 
(Platone, Ippia maggiore)
 
Dementocrazia e mediocrazia si alimentano reciprocamente, mettendo in scena uno spettacolo da cui è esclusa ogni persona che non sia disposta a recitare il copione stabilito.
(Paolo Ercolani, Figli di un Io minore, 2019)
 
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Sara Di Giuseppe - 26 settembre 2021
 

 

22/09/21

YELLOW SUBMARINE


        Non si è perso, né fortunatamente è esploso o annegato nessun sottomarino, ma sui giornali e nei tigì è iniziato il mese dei sottomarini.


Con la furbastra collaudata tecnica di montare qualsiasi notizia come la panna fino a quando non si smonta da sola - anche quando è marginale, settoriale, non interessa, non si capisce, non evolve o non andrà a parare in nessun posto - questa nostra informazione nazional-amatriciana ci sta costringendo tutti a diventare esperti-da-bar dell’argomento, neanche ci fossero ricchi premi per chi vince.
 
Stavolta la presentano come la madre di tutte le notizie, riguarda tutte le grandi nazioni di tutti i continenti meno l’Antartide (che potrebbe comunque diventare il garage dei nuovi sottomarini nucleari), perciò…
E’ successo come tra mercantozzi: l’Australia ha stracciato di colpo il contratto d’acquisto di 12 sottomarini nucleari - robetta da 30/40 miliardi, diventeranno oltre 100 - per comprarli dagli americani in società con gli inglesi. Un “tradimento tra alleati” che fa saltare gli equilibri mondiali: l’Europa s’indebolisce, l’America si rafforza col Regno Unito e l’Australia, la Cina s’incazza di brutto sentendosi più accerchiata, la Russia non so, non ho ben capito, dovrei studiare… Quindi si convocano gli ambasciatori, ognuno va a trovare l’altro, si fanno pensose conferenze e tutti in posa con la faccia scura. Ovvio che è tutta questione di soldi.
 
Comunque: manna dal cielo per i giornalisti, che ne sanno meno di noi, incocciano la notizia sul computer, aspettano le veline. Ma ecco ogni giorno ogni ora due puttanate di testo a tutte maiuscole, quattro foto di repertorio stantie ma emozionanti, cupi marinai che s’infilano nei pertugi dei sottomarini sempre grigi che gorgogliano inabissandosi, bandiere da combattimento sulle torrette, musiche severe d’accompagno; poi infiocchettare il tutto parlando a vanvera, sbagliando il lessico e la pronuncia straniera, trattare gli ascoltatori/lettori da deficienti, e il gioco è fatto. Sanno che non abbiamo mai fatto vacanze in sottomarino, forse non ne abbiamo mai visti, per noi è roba da 007-licenza-d’uccidere, di fantascienza alla Giulio Verne, di spionaggio, roba da film…
Così possono parlare a vanvera: c’è quel giornale che scrive che i sottomarini nucleari possono stare sott’acqua meglio e per un sacco di tempo, che là sotto vanno veloci come motoscafi d’altura e come trovano una petroliera nemica ZAC l’affondano e addio petrolio.
Parla a vanvera il Ministro della Transizione Ecologica secondo cui il nucleare, proprio come il diavolo, non è brutto come lo si dipinge, quindi pensiamoci.
Parla a vanvera quell’altro - sempre del ramo ministri/migliori - secondo cui se l’Europa non vuol restare indietro deve dotarsi di una forza militare europea - ovviamente nucleare - per spaventare e difendersi da America, Russia, Cina, India e tutto il cucuzzaro. Chiamasi “Autonomia Strategica Nucleare Europea”- me cojoni! - c’è già pronto il logo e la bandiera.
Poi per non restare indietro anzi per andare avanti, ecco il Matteo Salvini che parlando a vanvera come sempre vuole una centrale nucleare in Lombardia. Tiè!
 
Allora parlo a vanvera anch’io: costruiamoceli da soli i nostri sottomarini nucleari, mi pare che i ferri vecchi che abbiamo siano arrugginiti e orfani del nucleare. 
Ma distinguiamoci, facciamoli gialli. Così confondiamo a morte i cinesi. E pure gli inglesi, che dal lontano 1966 possono contare su un solo YELLOW SUBMARINE (by Lennon-Mc Cartney) che ha avuto tanto successo ma è una ciofeca.
 

PGC - 21 settembre 2021
 

20/09/21

TELEFONO AZZURRO

“E pensare che una volta c’era il pensiero”
(Giorgio Gaber, Il signor G)

 
 
Se fossi fanciulla/fanciullo in età scolare - "essere fluido" quanto al genere, nel lessico salviniano - mi attaccherei al Telefono Azzurro.

Chiederei aiuto e protezione contro i messaggi augurali che si riversano a lenzuolate sugli studenti "di ogni ordine e grado" alla ripresa dell'anno scolastico
Messaggi di sindaci e sindache, assessori e assessore comunali e regionali, vescovi e sacerdoti, Presidente della Repubblica e ministro-ectoplasma dell'Istruzione. E certo di altri autorevoli esponenti che dimentico: presidenti di bocciofile, di assemblee condominiali e di circoli degli scacchi, di club cacciaepesca e di enti per la  protezione delle vongole veraci ecc.
 
È stalking, praticamente. 
 
[A Grottammare il sindaco ne invia perfino due - audio messaggio con cornice musicale, e video messaggio fessbuc - che la libera stampa locale tambureggia a servilismo unificato].
 
Superchiacchiere in fotocopia, identiche spesso nelle parole, sempre nella struttura argomentativa, senza lampi di originalità e senza, soprattutto, sincerità.
 
Apertura quasi sempre con quello stucchevole "Carissimi…” (che passi se rivolto a giovani virgulti suscitatori di materne/paterne tenerezze, ma suona ridicolo se rivolto a "tutti i lavoratori della scuola, personale ATA ecc.") cui seguono: la pandemia, i sacrifici, l’auspicato ritorno “sui banchi”, il “notevole sforzo” e le “rilevanti risorse messe in campo”, la "bellezza e poesia del tornare insieme… ma molto c’è ancora da fare”; e infine gli auguri, che per il versante ecclesiastico includono la celeste benedizione.
 
Supercazzole uniformi come tristi divise da caserma, retoriche all’ingrosso che avrebbero del comico se non fossero indici di un drammatico scollamento dal reale.

- Perchè il secondo anno scolastico pandemico inizia con ben poche delle criticità del sistema scolastico - trasporti, edilizia, spazi, classi, docenti, strategie di contenimento e controllo - affrontate seriamente e ancor meno risolte, checché ne farnetichino i proclami istituzionali ad ogni livello.

- Perché le immagini della realtà intorno e quelle che informazione e media ci ammanniscono quotidianamente come normali, accettabili o perfino motivo di vanto, sono quelle di un pianeta scolastico fatto innanzi tutto di schifezze edilizie e orrori cementizi - realtà cittadine, non (solo) periferie o remoti paeselli - di raro squallore all’esterno inospitali all’interno; “contenitori” che sono insulti al senso estetico, alla cultura ambientale, alla funzionalità, alla razionalità, alla creatività, al decoro. 
In questo habitat le nuove generazioni dovrebbero, e chissà come, educarsi alla bellezza e alla civiltà.
Gli edifici scolastici dignitosi e quelli di pregio storico sono fortunate eccezioni spesso condannate da incapacità, mala amministrazione e malaffare, a fallimentari lavori in corso e ad inagibilità che durano infiniti.

- Perché la nostra scuola è costantemente agli ultimi gradini delle graduatorie mondiali. E lo è per la fondamentale ragione che
nel nostro paese essa è sempre stata ultima nell'interesse del ceto politico e di quello dirigente, dell’economia, della cultura, della stampa, dell'informazione tutta: di quelli - tutti costoro - che se ne servono per pura propaganda e ne sfruttano mediaticamente e politicamente i momenti “topici”; che ad ogni inizio d’anno scolastico tolgono dai bauli, senza neanche la decenza di spolverarla, la tarlata retorica di cui siamo maestri da millenni;  che strumentalizzano - oggi - il rientro in classe come segno di una ritrovata normalità ancora lontana e della quale si attribuiscono l’inesistente merito.
 
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“Sulla base dei risultati dell’indagine PISA ci collochiamo in fondo alla graduatoria OCSE in tutte e tre le materie oggetto di quell’indagine (comprensione di ciò che si legge, matematica e scienze). Per quanto riguarda l’università le cose vanno, se possibile, ancora peggio”. [Fonte PISA 2018]
(Prof. Giancarlo Lizzeri, economista, in: Lo status sociale degli insegnanti, 2021)
 

Sara Di Giuseppe - 18 settembre 2021 







 

18/09/21

Tonino

Tonino era un po’ jazz 

Nel lavoro, nella politica, nella vita 

Respirava libri e poesia 

Lottava per i bambini, per la loro infanzia, per la loro crescita sana 

Tonino era piccolo ma grande 

Certi non lo capivano 

Tonino era un po’ jazz   

 

PGC - 17 settembre 2021


 

15/09/21

DISCORSO ALLA NAZIONE (SPEECH TO THE NATION)

Ovvero
Matteo Salvini e la misura del merluzzetto


San Benedetto del Tronto 


Riposi tranquillo Sir Winston Churchill, ovunque egli sia, perché "i tempi nuovi" han prodotto in terra italica uno statista di pari livello.

Ne abbiamo avuto solare evidenza il 12 settembre, nell'intervento con cui Matteo Salvini, a San Benedetto, ha consacrato la ri-candidatura del sindaco uscente, Pasqualino Settebellezze, il quale pare non voglia saperne di uscire dalla comune - anzi dal Comune - a vantaggio di tutti e, ahinoi, si ricandida.

Non che a guardare i candidati di altro (si fa per dire) colore politico ci sia da stare allegri.
Ma intanto, Salvini: il suo Speech to the Nation sul palco di San Benedetto non ha niente da invidiare a quello dello statista britannico nella "Darkest hour" dopo il disastro di Dunkerque.
Basterà, per rendersene conto, seguirne le tappe salienti, ardue tuttavia per la  profondità delle tesi sostenute.

Dopo aver inneggiato allo "straordinario" mare sambenedettese tanto che "non capisco chi va all'estero" (magari per vedere un po' di mondo? No, eh?) se la prende con la direttiva Bolkestein [e il giornalista, che scrive come pronuncia, scrive Bolkestain. Con la "a"].

La Lega si batterà fino all'ultimo soldato affinché i concessionari di spiaggia detengano a vita i loro paccuti privilegi demaniali, e vaffa Frederik Bolkestein.

Sì è già eroicamente battuta, la Lega, per l'importante porto peschereccio della città, e per i pescatori che "devono pensare a fare i pescatori" (ma va?) e non a "misurare i centimetri del merluzzetto": come dire che direttive e regolamenti comunitari sulla pesca ci sono ma conviene fregarsene.

Poi punta dritto sulla rumorosa contestazione degli ultras della Samb, radunatisi in piazza arrabbiati come tori contro il sindaco quasi ex: lo accusano della pessima gestione della squadra di calcio cittadina, che perde più di Fantozzi contro Resto del mondo ed è in caduta libera da un pezzo. 
Su di loro posa lo sguardo in modalità San Francesco e il lupo e: "Spero che la Sambenedettese torni dove merita": e giù tutti a fare gli scongiuri e quant'altro occorra alla bisogna. 
E comunque - continua lo statista - un sindaco non si giudica dalla squadra di calcio. 
Infatti, osserva dottamente, per fare il sindaco occorre "onestà, sì" (che detto in codesto modo pare un filino marginale, come qualità: tipo sì ma senza esagerare, eh!) ma occorrono anche "capacità, competenza e squadra". 
E qui non si accorge, tapino, di aver appena escluso Pasqualino dalla competizione..

Perché, continua più imbizzarrito di Cavallo Pazzo, "altrimenti ti ritrovi come a Roma, con un cinghiale sul tinello".
"Sul"? Sarà una svista del dotto Salvini, o del dotto giornalista, o di entrambi? Magari è solo influenza dello spot pubblicitario col tizio che al risveglio si ritrova un cinghiale sulla pancia nella posa a caffettiera e contestualmente realizza che ha "mangiato pesante".

Sia come sia, questo Discorso alla Nazione dovrebbe circolare nelle scuole come esempio d'italiano modernizzato che di certo verrà benedetto dalla Crusca.

Disquisisce poi filosoficamente, il Nostro, di libertà vaccinale, di dittature sanitarie (entusiasmo  e applausi); poi s'infiamma e decolla come una mongolfiera menzionando le proprie "battaglie di civiltà".
L'opposizione leghista al DdL Zan, per esempio: il problema è soprattutto - dice - che questa legge va a colpire i bambini delle elementari (!) facendo creder loro che non ci sono "maschietti e femminucce" [termini che usava la mia trisavola due ere geologiche fa, n.d.a.] ma "esseri fluidi" - qualunque cosa voglia dire - che "solo a 18 anni decidono quale genere essere".
Apperò.
Meditate, bambini-delle-elementari o "esseri fluidi" che siate, meditate.

Infine, acme argomentativo ed emotivo, cui manca solo il prodigio della lievitazione: Vade retro, Reddito di Cittadinanza, satana in veste di welfare!

Mai la Lega voterà siffatto abominio!
Non un euro a chi non ha voglia di lavorare e progetta di campare a spese dello Stato!
"CHI non ce la fa a lavorare è giusto che VENGANO AIUTATI" : grammatica creativa, chissà se del dotto Matteo o del dotto giornalista.

Invece "i soldi vanno dati a chi li merita davvero", tuona ancora dal palco il Matteo furens.
Per esempio alla Lega? Una cifra a caso, chessò, 49 milioni di euro? 

Altre amenità potranno poi leggersi  intorno al palco, come sui manifesti lo slogan leghista-referendario "Chi sbaglia paga": che è come spararsi sui piedi. A guardare solo gli errori d'italiano, altro che 49 milioni! 

Sara Di Giuseppe - 19 settembre 2021 


 


 

09/09/21

Candidatelo!

       Sono giorni che tigì, quotidiani e social ci ammorbano a reti unificate con la vicenducola del tabaccaio manolesta Gaetano Scutellaro che ruba al volo il Gratta e Vinci da 500.000 euro alla “anziana” (sessantanovenne…) che l’aveva vinto, ma gli va male.
Si sa che ormai i giornalisti, morbosamente attaccati al computer come alla cocaina, copiano quello che guardano e stop, ma adesso compaiono in diretta gli inviati speciali fatti precipitosamente rientrare dall’Afganistan, da Cernobbio, dagli stadi… che, dopo essersi accasati in Via Materdei (sì, tutt’attaccato) davanti all’elegante tabaccheria scena del crimine, intercettano l’avvocato di strada del “presunto” qualcosa che da sotto la mascherina lamenta: “Il mio assistito credo abbia una malattia psichiatrica”“ma è pentito e chiede scusa”… e comunque “non ricorda quel che ha fatto”.

Così depresso, il brav’uomo, che se ne stava partendo per le Canarie “perché gli piace la bella vita” e “io a Napoli non mi sento sicuro”. Non prima, of course, d’aver chiesto all’anziana “il 50% di tangente”: 250.000 euro e amici come prima. Naturalmente era anche andato in banca, e poi in chiesa a chiedere perdono.
In attesa di nuotare al caldo, è momentaneamente ospite del carcere di Santa Maria Capua Vetere: “furto pluriaggravato e tentata estorsione”. Mica ha ammazzato nessuno.
       Di Gaetano Scutellaro, diventato di colpo - grazie all’imbecillità del sistema mediatico e della informazione (si fa per dire) italiota - più famoso del Papa e del Re e anche del papa-re, non si sono accorti ancora (ma ci arriveranno) che ha tutti i requisiti giusti per entrare in politica: è un pregiudicato, e già basta e avanza per garantirgli un ricco futuro in questo o quel partito, nelle Istituzioni, negli Enti Pubblici. È un ladro sorpreso col sorcio in bocca (non me ne vogliano, i mei onestissimi gatti); è un estorsore; non conosce vergogna e ha una utilissima faccia di bronzo: con un curriculum così, chi non gli offre un posto in lista - minimo come capolista - nelle elezioni amministrative di ottobre?

Chi più di lui può attrarre i voti allo sbando e garantire una politica fedele alle promesse e alle aspettative? Ha ben dimostrato le capacità che servono - assenza di scrupoli, etica à la carte, tempismo, furbizia, calcolo, passeggero cattolico pentimento - per vincere qualsiasi battaglia per Consigliere, Assessore, Sindaco e oltre. Non solo a Napoli (con già 6.000 candidati) o a Roma (22 candidati sindaci, 39 liste e 7.000 candidati) ma anche qua a San Benedetto del Tronto.

Angelini, Bottiglieri, Canducci, Spazzafumo, daje, chiamatelo, candidatelo prima che ve lo freghino!     
 
PGC - 9 settembre 2021


 

03/09/21

PAOLO CONTE È UN DOGMA

 
 Paolo Conte
"50 anni di Azzurro"
Mantova
Esedra di Palazzo Te 
29 Agosto 2021 h 21.30 
 

Paolo Conte è un dogma, come l’Immacolata Concezione: è obbligatorio e non si tocca.

Tu lo sai e accetti tutto.

- Anche il viaggiare sugli Intercity di Trenitalia da quaggiù a Mantova, che se prendi la Transiberiana e passi per la Russia fai prima. 

- Anche la coda all’ingresso, un chilometro prima in due file ordinate come le anime penitenti nelle incisioni dantesche di Doré. 

- Anche il bracciale verde “green pass” che sarà repertato dagli archeologi di domani come lo sono oggi le armille dell’età del ferro.

- Anche il martirio, prima del concerto: Radio Bruno che imperversa dai due schermi laterali con pubblicità e musicaccia (che è come qui da noi Radio Azzurra al
  supermercato, per intenderci).

- Anche le sedie posizionate così che la testa lì davanti la ghigliottineresti all’istante: anche all’asilo capiscono che va usata la diagonale, o metterle proprio storte, le sedie,
  se ancora non si sa di geometria.
 
Paolo Conte è al di là della miseria irredimibile dei “tempi nuovi”, come lo è la magnifica Esedra di Palazzo Te che è grande come l’Alsazia-Lorena e dove un Gonzaga mai avrebbe immaginato di ospitare Radio Bruno.
 
Perciò metabolizziamo tutto, e durante e dopo il concerto ci sentiremo redenti: per aver creduto ancora una volta nell’impossibile, come nel dogma; e per aver dimenticato i tempi tristi, per aver ritrovato la Bellezza, quella che dalla vista e dall’udito passa al cuore e t’innamori come dicevano gli stilnovisti e pure Dante che era del ramo.
T’innamori di Paolo Conte a cui gli anni aggiungono magia, della sua band superlativa, di quell’elegante esedra alle loro spalle che passa dal rosso al violetto all’azzurro: che è il colore di quei suoi “50 anni di Azzurro” i cui brani ascolti stasera e da decenni e non sono mai uguali. 
Come uguale non è mai la sua voce, anche se qualcuno scrive che è la stessa: quando mai, è sempre diversa, è voce di orchestra che precipita, voce che ti strappa un sorriso di tregua ad ogni accordo
Così come mai uguali sono i contrappunti e diversa è ogni volta la sorpresa delle evoluzioni acrobatiche, quelle del violino e del sassofono soprattutto ma poi di tutta l’orchestra e sei in un vortice di suoni che ti porta lontano, nell’altrove misterioso eppure quotidiano delle milonghe dall’eleganza di zebra, dei Mocambo e dei tinelli marron, dentro fuggitivi valzer di vento e di paglia.
Squarci di poesia distesi dentro melodie di rigorosa struttura compositiva; parole e musica compenetrate in preciso equilibrio; “poesia sonora” dove la musica dice quasi più delle parole, e queste sono giochi di linguaggio; e quella sua voce sghemba, sempre disarmante, a tratti ruvida, che procede funambolica, ponte fra testo e melodia. 
E ci trascina, questo “novecentista errante”, a ritrovare nella sua musica il nostro reale e il nostro immaginario, il quotidiano e il sublime, l’allegria e la delusione, e il gioco d’azzardo che è l’amore.
Tutto il meglio è già qui: tutti li percorriamo, da Ratafià a Dancing, a Madeleine, a Max, a Via con me, giù fino al Diavolo rosso che ci guida al congedo, ed è delirio lunghissimo di suoni, frenesia di superbi virtuosismi: del piano, del sax, delle chitarre, del violinista imbizzarrito in variazioni balcaniche e ungheresi.
Per ultimo, il sofisticato francese di Le charme e le chic, poi la standing ovation e Messico e nuvole per il bis e ancora standing ovation, poi… il saluto caldo e amichevole dice al suo pubblico che basta così.
Defluiamo rincuorati, sotto questo blu profondo bardato di stelle: recuperiamo il cielo ad alta quota, sappiamo che il maestro è nell’anima e che il dogma è intatto, non scalfito dal chiasso effimero dei “Tempi nuovi”.
 
“… La musica di Conte non può non incontrarsi con le nostre toponomastiche private, coi depositi di languori che giacciono nella nostra ferma malinconia di uomini crepuscolari”
(Vito Riviello)

Sara Di Giuseppe - 2 Settembre 2021