29/05/18

"Terapia di poesia"

OFFICINA TEATRALE 2017/18
Viaggio cosmico-letterario

I FIORI DEL MALE di Charles Baudelaire

di e con 
Vincenzo Di Bonaventura

Ospitale delle Associazioni
Grottammare Paese Alto
24 Maggio 2018  h21.15


Terapia di poesia

      Una nuova seduta terapeutica, quella di stasera con Di Bonaventura attore-solista-regista: è terapia di poesia e dovrebbe entrare nei protocolli farmacologici, se è vero che ne usciamo ogni volta con lâme calme et ravie, lanima calma e serena come gli umani convocati da Manitù nel baudelaireiano Le Calumet de Paix , La pipa della pace.

       Baudelaire e Les Fleurs du Mal: lattore ce ne mostra religiosamente lintrovabile edizione, gloriosa di decenni, curata niente meno che dallAuerbach. Quello di sempre il monumentale armamentario acustico, di sontuosa anzianità e austera imponenza; di nuovo cè il dispositivo che replica Vincenzo sullo schermo e lo renderà per noi  oggi - dice - un po più virtuale che reale

       Nella sua postazione che non è la Cava Rossa di Manitù - ma ugualmente dominando lo spazio, affiancato dallimmancabile djembè - lattore distilla dalla visionarietà poetica quella musica che può, essa sola, ricomporre le disarmonie delluniverso.

       Se il linguaggio poetico fa vedere le cose, facendosi vedere esso stesso (É.Benveniste), quello di Baudelaire è come nessun altro rivelatore di abissi umani (Gli abissi umani sono perlustrabili, fu detto per Dostoevskij); è discesa dentro di sè e dentro le pianure della Noia, profonde e deserte, ed è al contempo disperato slancio verso lalto, verso Cieli squarciati come pietre di greto. *

       Non per caso è con lapostrofe Al Lettore che si apre il Recital: Ogni giorno allInferno senza orrore, dun passo, attraverso mefitiche tenebre discendiamo (Egli ha nominato la morte, scrive di lui Y.Bonnefoy). Satana Trismegisto - il tre volte grande - regge i fili dei fantocci che siamo, si materializza nel Tedio, prende forma nellorrore e nellestasi del vivere, ossimoro eterno in cui il poeta riconosce nel lettore un fratello, Tu questo molle mostro conosci al par di me, / o ipocrita lettore, mio simile, fratello!

       È subito dopo che, per contrasto, lattore ci immerge dentro il respiro epico e umanissimo de Le Calumet de Paix - imité de Longfellow

Vi appare Manitù - Signore della vita, Divinità superba - che, col segnale di fumo lento e fragrante della pipa forgiata da un brandello di roccia, convoca alla sua presenza i popoli (O eredi miei, progenie diletta e pervertita, / figli miei, ascoltate la divina ragione). Stanco delle horribles guerres degli uomini, del loro farsi da cacciatori, assassini, e delle loro anime scisse, della loro preghiera che si fa maleficio, ordina ai suoi poveri figli - à ses pauvres enfants - di fumare insieme la pipa della pace, perché forte è solo chi unito e solidale visse (Et cest dans lunion quest votre force). 

È la stessa, utopica leopardiana social catena de La Ginestra, lunione nella franca virile consapevolezza del comun fato, del mal che ci fu dato in sorte

       Baudelaire è coscienza stessa del mondo moderno, testimone della sua scissione fra opposti che si attraggono - male e bene, bellezza e orrore, estasi e ripugnanza, assenza di Dio e ricerca del divino - e di questa ambivalenza epocale la poesia porta il segno nel solco di profonda malinconia, nel suo essere bifronte - Anatemi e osanna sono uneco che mille anfratti si rimandano - come lo è la situazione dellesistenza (Kierkegaard). 

       LArte, questo singhiozzo ardente che devo in evo avanza, è testimonianza di dignità - la più alta che luomo possa offrire (Cest vraiment, Seigneur, le méilleur témoignage) - e sublimazione dellunità infranta: è Delacroix affollato diniqui angeli, Goya incubo colmo darcani senza fine; Puget, mesto monarca di un bagno di forzati; ed è Leonardo, specchio scuro e profondo dove appaiono / angioli a incantarci, soavi; è Rubens, in cui la vita in fervidi palpiti si delizia; è Michelangelo (Michel-Ange) ove Titani / saccozzano con Cristi.

       Lartista crea mondi di bellezza, pur se la Bellezza è insieme infernale e divina, è redenzione e dolore; essa è armonia dei contrari Hai dentro agli occhi lalba e loccaso così come lAmore è voluttà e amarezza, nullaltro che un letto daghi, e la Poesia è incurabile passione che il Poeta paga con la follia.

        Quel libro atroce - così egli chiama Les Fleurs - è dunque a un tempo poesia del male e della coscienza infelice, poesia dellumana condizione, compianto per luomo figlio di un secolo avvilito, per lumanità che ha perduto ciò che non si ritrova più, passione per la vita e per luomo con le sue storture, con la sua grazia ammalata, con le sue impotenti aspirazioni, come scrisse dopo la morte di lui il poeta Théodore de Banville. 

       Così, nel Viaggio a Citera, il pays fameaux dans les chansons, dove il vascello approda come angelo ebbro di luce e di sole, su cui Venere ancora aleggia come un profuso aroma, ecco lisola svelarsi una pauvre terre, una magra riviera, mentre sullo sfondo, nera come un cipresso una forca a tre bracci, ecco, ci si rivela. E in quellallegoria si addensano lumana pietà del poeta - Ridicolo impiccato, tè vicino il mio cuore - e la coscienza dun dolore comune e irreparabile. 

       Forse è vero che la poesia cannibalizza il poeta, e Baudelaire brucia se stesso nellesperienza poetica: la sontuosa architettura dei versi (il passo inesorabile, e sempre desiderato, dellalessandrino categorica necessità dun metronomo scrive G.Bufalino) e insieme la ferocia distruttiva, la tragica coscienza del dolore e del male, sono il sacrificio di sé fatto alla poesia - la mia grande, la mia unica, la mia primitiva passione

Essi sono al tempo stesso la sua rivoluzione poetica - nasce qui la poesia moderna - e la sua eredità. 

      Forse ancora, da quella tomba a Montparnasse esala la preghiera ardente che al poeta ispirò limmacolato azzurro di Citera: Dammi forza bastante, Signore, che la carne / io possa e il cuore mio mirar senza vergogna!


      * Tutti i versi citati da Les Fleurs du Mal sono nella traduzione di Gesualdo Bufalino


Sara Di Giuseppe - 27 maggio 2018


25/05/18

“Fossa delle Marianne”

[ A cena con FRANCO PIRZIO ]

San Benedetto del Tronto - Cucina al porto/Grottino Dea 
22 maggio 2018


       Nonostante il diluvio di stasera, cè fra noi chi ha visto Franco elegantissimo, sempre arrivare con una delle sue bici coi freni a bacchetta: la Bianchi extralusso nera del 41, o forse era la Ganna da donna color sabbia, ultimamente non era molto agile

       Io giurerei invece di averlo visto parcheggiare a fatica la regale Bugatti blu (senza servosterzo) sotto le tettoie di piazza del Pescatore, e poi restarci a lungo seduto nellabitacolo scoperto, intorno era tutto un lago

       Ma cè anche chi lha visto al Molo-nord sbarcare dal piroscafo, quello con gli oblò delle cabine tutti accesi; altri, avventurosamente atterrare col biplano del Barone Rosso sul gibboso prato del Ballarin; altri, entrare in porto - ancora con una randa alzata - proveniente dalla "sua Croazia (o addirittura dall'Egeo) a bordo del Koala 39 degli amici Clara e Giancarlo Pennesi

       Sempre con quel suo implacabile socio inglese appiccicato - su questo siamo tutti concordi - quel mr. Parkinson che non lo mollava e lavrebbe seguito perfino appollaiato sulla canna della Bianchi.

       Con lamico Franco abbiamo cenato bene in questo suo locale, in allegra commozione. 

      Però verso la fine, mentre guardavamo (al buio, con gli occhi lucidi) i filmati degli ultimi corali incontri, lui si è alzato ed è sparito nella notte, dicendo che tornava giù nella Fossa delle Marianne a fare una quindicina di acquerelli da regalarci, approfittando di tutta quellacqua


PGC - 24 maggio 2018

Foto di Tullio Luciani - Raffaele Avigliano

13/05/18

A suon di schiaffi

OFFICINA TEATRALE 2017/18
Viaggio cosmico-letterario

 IL FUTURISMO

di e con 
Vincenzo Di Bonaventura

Ospitale delle Associazioni
Grottammare Paese Alto
10 Maggio2018  h 21.15


A SUON DI SCHIAFFI 

        Ha bisogno di Futurismo il nostro oggi senza futuro, ha bisogno di essere rianimato a suon di schiaffi dalla rassegnazione, dal torpore, dal silenzioso nulla. E se anche non è più quel tempo e quelletà, e intellettuali di quella tempra non se ne fabbricano più, quelluomo carismatico, coraggioso e solare che fu Marinetti può ancora sgomentarci col suo visionario profetismo, e parlarci ancora, libero dalle infantili schematizzazioni e dalle insulse categorizzazioni della cultura ortodossa.

        Degno della nostra serata - davvero futurista - è il possente armamentario acustico che Di Bonaventura dal suo glorioso Teatro Aikot 27 ha radunato qui quasi per intero. 

        La ionizzazione musicale - lavanguardismo delle composizioni di Edgard Varèse qui dirette da Pierre Boulez - ne è la trama, massa sonora (così lo stesso Varèse) di suoni percussivi e inarmonici, di ritmi irregolari, caotici e modernissimi. Materia che scuote il teatro come sisma, e quasi precipitante dal magma primigenio si avviluppa alla voce solista e al tambureggiare del suo djembe, vi si mescola in esplosiva reazione chimica: potrebbe perfino futuristicamente svegliare dalla narcosi questa città assente in catalessi culturale, e i suoi insegnanti, i suoi studenti, i suoi giornalisti, e lindifferente annichilita satolla intelligentsiya. Di certo non i politici, così come notabili-imprenditori-bellagente: persi alla cultura, dallincrollabile loro latitanza non li riesumerebbero nemmeno le trombe del Giudizio.

        Vincenzo percorre la parabola futurista sulla traccia del Recital costruito in anni fecondi insieme con Giorgio Emiliani, Paolo Puppa e altri accademici dellAteneo veneziano. Ci osserva, dalle foto depoca sullo schermo, il gruppetto di austeri signori bassini e scuri in bombetta, vestiti con borghese decoro, come in gita alla Fiera di Milano. Difficile pensarli artefici della prima Avanguardia italiana (unico seme italiano nel vivaio delle avanguardie), ribellista e libertario movimento totale che abbracciò arte e vita, costume e malcostume, che sognò un mondo guidato dallArte ed ebbe in sorte la sfortunata e autodistruttiva era del regime fascista.

        Tiravano la vita coi denti - dice Vincenzo - e alcuni facevano più o meno la fame, ad eccezione di Marinetti, di famiglia benestante e di matrimonio danaroso. Eppure dalla vorticosa energia profusa nella vita e nellarte essi partoriscono un nuovo secolo (Bontempelli). 

        E se tutta la cultura del Novecento - letteratura, poesia, teatro, musica, arti figurative, moda, costume  - è loro debitrice, essi - pur se più "fortunati" dei Futuristi russi - sono troppo radicali innovatori per un paese tradizionalista (non certo per il resto del mondo) che li condanna ad una sorta di lunga damnatio memoriae (almeno fino agli anni 60).

        Perchè rivoluzionaria e dissacrante è la loro utopia (impensabile, nellitalietta pretigna di allora, e di oggi ancor peggio - vagheggiare, ad esempio, lo svaticanamento del paese) e loro bersaglio è linsensatezza degli assetti costituiti, da rifondare nei modi più radicali e spettacolari: dalla riformulazione di ogni aspetto dellarte e della cultura alla destrutturazione linguistica; dall’”assoluta originalità novatrice per la scrittura drammatica (Noi vogliamo che lArte drammatica non continui ad essere ciò che è oggi: un meschino prodotto industriale sottoposto al mercato dei divertimenti…”), al superamento dellarmonia musicale e delle sue leggi (LArte dei rumori di Luigi Russolo). 

        Ed è un pullulare di Manifesti che seguono quello marinettiano del 1909: manifesti della Pittura, della Cinematografia, del Teatro (Sintetico, Aereo, Visionico, Tattile, della Sorpresa, Magnetico, di Varietà), dellArchitettura, della Danza, della Musica; fino alle ricerche coreografiche e scenografiche di Depero e Balla (ideatori pure di un manifesto della Ricostruzione futurista dellUniverso).

        Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti così Marinetti narra la notte che vede la nascita del suo Manifesto () Andiamo dissio, andiamo, amici, partiamo! ( ) Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto vedremo volare i primiAngeli!...

        Ben oltre le puerili semplificazioni che parleranno di modernolatria e di adorazione della macchina, è piuttosto limpeto prometeico delluomo nuovo che esalta Marinetti e i suoi, e la Macchina non solo è metafora di ritmo e avvenire, ma: Per macchina, io intendo uscire da tutto ciò che è languore, chiaroscuro, fumoso, indeciso, mal riuscito ()  per rientrare nellordine, nella precisione; la volontà, lo stretto necessario, lessenziale, la sintesi.

        Da una macchina finita a ruote per aria in un fossato a Milano - per schivare due ciclisti - lo avevano in realtà tirato fuori, Marinetti, pochi mesi prima e lepisodio divenuto aneddoto entra di peso nel progetto rivoluzionario del Manifesto: luomo estratto infangato - cencio, sozzo e puzzolente (scrive) - dalla macchina capovoltasi per evitare due noiosi ciclisti - la tradizione decadente! - è luomo nuovo futurista che guarda trionfante la nuova era: Noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra.

        E Laeroplano di Ardengo Soffici è Mulinello di luce / () Crivello doro girandola di vetri venti e rumori ; Aldo Palazzeschi - teppista letterario - si diverte, dalla sua, a demistificare modi e forme poetiche tradizionali (Il poeta si diverte, / pazzamente / smisuratamente. Non lo state a insolentire, / lasciatelo divertire); a disarticolare la narrazione (lUomo di fumo nel Codice di Perelà) perché ne emerga quanto di insensato cè nei valori costituti; a immettere - col Manifesto del controdolore - unidea di vita in cui il riso, vera forza motrice delluniverso, è più profondo del pianto; a formulare con ironia una poesia antipoetica: unica possibilità di poesia che resta al mondo moderno è quella fatta con le parole del quotidiano, quella che mette in scena le ossessioni e le nevrosi della società urbana (La passeggiata: Andiamo? / Andiamo pure /() Grandi tumulti a Montecitorio / il Presidente pronunciò fiere parole. / tumulto a sinistra, tumulto a destra / () Luigi Cacace, / deposito di lampadine /() Giacinto Pupi, / tinozze e semicupi. Pasquale Bottega fu Pietro, /calzature. / Torniamo indietro? / Torniamo pure).

        Scuotere insomma lItalia a suon di schiaffi e dinamite (G.B Guerri ) è la missione dei Futuristi: ma il marinettiano Zang tumb tuuum è appena un urlo di italico candore, la cui portata rivoluzionaria sarà presto surclassata dal totalitarismo fascista e da un progetto politico che ne raccoglie solo gli aspetti superficiali e agli intellettuali assegna ben altro compito che la missione liberatoria dellindividuo da essi vagheggiato. 

        Ci credeva davvero - scrive, di Marinetti, G.B.Guerri -  e in questo suo sogno non cera niente di sbagliato. Era il sogno di un artista, non di un politico.  

        Un po di quella caffeina dEuropa, di quellimpeto rivoluzionario restituirebbe forse dignità e vita al nostro deserto presente: certo alcune particelle ne sono piovute qui oggi, grazie al nostro attore-solista e per noi laria intorno si è come ionizzata. Andiamo? / Andiamo pure.

Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi son cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:
e lasciatemi divertire!

(Aldo Palazzeschi, Lasciatemi divertire - Canzonetta)


Sara Di Giuseppe - 12 maggio 2018




06/05/18

La triste storia del giullare del Castello de Arquata

Ho sempre sognato di viaggiare nel tempo e sono convinto che un giorno supereremo le barriere spazio-temporali e come nei film di fantascienza potremo spostarci nello scenario di varie epoche storiche. Uno dei miei desideri più reconditi è quello di trasferirmi nel medioevo e diventare un artista di quell'epoca. Mi sento un giullare, sognatore e fantasista sotto ogni centimetro della pelle. Sono quel genere di persona che non ha nulla e ha tutto. Che non vive per se stesso ma vive per gli altri. Che sogna storie ed immagini luminose e le racconta agli altri, a tutti coloro che hanno voglia di abbagliarsi e di sentirsi gli occhi lucidi. Ed eccomi proiettato ne lo Castello de Arquata nell'anno di Nostro Signore MCDXXVIII. Sono il buffone, il menestrello, il poeta di corte della Signora del maniero. Mi piace saltellare da uno sgabello ad una sedia, strimpellare il liuto e la ghironda con delicatezza, declinare versi amorosi, raccontare mille avventure di cavalieri e dame cortesi. Ogni stagione, ogni oggetto, ogni sensazione, ogni idea, è per me uno stimolo che si trasforma nella magia dello spettacolo. Quando vedo sorridere la mia Signora e la sua corte sono soddisfatto e mi sento realizzato. Ho imparato da solo ogni arte che potesse permettermi di agitare tutti i muscoli a scapito di un sorriso, semplicemente osservando e analizzando. A volte scendo nel Borgo cantando storie al fornaio la mattina presto, ai giovani bambini che giocano nella piazza, ai fraticelli del convento di San Francesco. Mi piace sentire la voce del popolo che corre di casa in casa : "arriva il cantastorie!" ed ogni volta è un'entrata trionfale. Con fatica e sudore sono entrato nel cuore dei miei Signori ed in quello del popolo. 
Una sera mentre tornavo al Castello da una serenata alla locanda di Borgo, la ripida strada in salita verso la Rocca mi parve diversa, più lunga, e intrapresi una scorciatoia. Avevo bevuto troppo e i passi erano incerti, forse anche per il freddo e la paura, e si bloccarono di colpo nel fango fetido quando vidi alcune fiammelle di torcia tremolare sotto la grata della gattabuia. Avvicinandomi presi posto dietro un grosso cerro e osservai uno spettacolo raccapricciante, proprio a fianco del muro a sud del maniero. Il corpo di un giovane pastore giaceva a terra sfracellato, il sangue colava sulle sue vesti lacere e si seccava mentre il viso impallidiva e gli occhi erano orribilmente sbarrati. Alzai lo sguardo verso i bastioni e vidi la mia Signora in compagnia delle guardie, aveva i capelli sciolti, scompigliati e sghignazzava con rabbia verso quel povero cadavere. Si girarono verso di me scorgendo la mia ombra tremolante sotto la luna piena, mi avevano visto, ero un testimone scomodo, e a quel punto scelsi di affidarmi all'unica cosa che mi riusciva bene. Essere un buffone. Saltai fuori dal nascondiglio con la calzamaglia stretta, incollata alla pelle coperta di sudore. Cominciai a strimpellare il liuto canticchiando una serenata, provando in tutti i modi a essere tranquillo, ma la voce tremante mi tradì e le guardie mi puntarono addosso le picche e le alabarde. Continuai il motivetto più a lungo che potei, cercando lo sguardo della Castellana, un suo gesto di pietà ma ella fece un cenno brusco con la mano e le guardie mi catturarono. In quell'istante compresi il mio destino, come una goccia d'inchiostro che cade sulla pergamena, rovinando il lavoro di ore e giorni, di tutta la vita. Il liuto mi scivolò dalle mani ed un brivido freddo mi invase la schiena. Il giorno dopo mi portarono nello stanzone della torre più alta, la Signora digrignava i denti. Cercai in tutti i modi di distrarla, con canzoni, balli, battute. La Castellana rimase immobile, spietata ed inflessibile. Poi finalmente mise una mano sulla mia spalla e ordinò alle guardie: "Giustiziatelo!". 
Allora mi arrivò all'improvviso una botta in testa tale da gettarmi al suolo in solo secondo, svenuto. E così eccomi qui. Il mento poggia su un ceppo di legno ed il collo è tenuto fermo da una corda che tira verso il basso. Al mio fianco sinistro un energumeno incappucciato tiene poggiata sulle spalle un'accetta dall'aspetto poco rassicurante e davanti ho tutta la piazza del Borgo di Arquata piena di gente. Nessuno può mancare quando qualcuno viene giustiziato. Osservo tutti i volti di coloro che sono qui per me, leggo i loro occhi, le loro labbra, ma non vedo pietà. Eppure a tutti loro ho lasciato qualcosa, nel bene o nel male. Finalmente ho la certezza di sapere da sempre il senso della mia vita. Questo lasciarà un'impronta. Forse non in tutto il contado, forse non nella storia di tutti, ma sicuramente nel cuore di chi ha voluto. Si perché tutti loro di me porteranno un ricordo, una poesia, una storia. La mia arte li ha avvolti in un abbraccio e così è stato per tutta la gente che ho incontrato. Ora si accorgono che non ho più paura e che li sto osservando con una certa commozione e rispondono al mio sguardo con leggeri cenni del capo, piccoli sorrisi, qualche lacrima. Smuovo leggermente la testa, faccio una pernacchia a tutti e intanto l'accetta cade pesante sul mio collo… grazie a Voi!

Il senso della vita è il desiderio di felicità. Il mio strumento per donarla è lo scrivere. 
Spero di trasmettervene un po'.

Vittorio Camacci - 5 maggio 2018