28/09/22

Francesco e Giorgio ricordano Adelchi


Le dimensioni che viviamo tutti i giorni non sono soltanto le tre che abitualmente nominiamo. Ce n'è certamente una in più, ed è la memoria, e per i più fortunati il futuro. La prima delle due la sondiamo spesso, almeno dagli Anta in su, o forse, in momenti di debolezza, anche i più giovani la attraversano, magari ricordando qualche momento particolarmente spiacevole o di massima gioia. Ma sono sporadici e per lo più svaniscono in un angolo recondito dove attingono solo i sogni. 

Nello spazio della memoria si manifestano le persone con cui abbiamo scambiato anni di esperienze, di condivisione o anche di scontri, di passioni poi sfumate, di amori e disillusioni. Certamente la memoria è più forte in quanti vivono con protagonismo e curiosità l'intera vita. In loro c'è una sorta di calendario che si aggiorna costantemente in modo automatico, come per un moto infinito di scambio cellulare. È forse fortuna, ma può essere anche un vero castigo. Specie quando si conservano tracce non solo neuronali del nostro vissuto. Come per un "grande fratello" mettiamo a sua disposizione immagini e scritti che ci rammentano anche casualmente ma inevitabilmente il passato. E per fortuna questa volta... mi appare lui, Adelchi, che, solo col suo nobile nome manzoniano, mi mettava in uno stato di 'allerta'; come dire, non sei di fronte a una personcina qualunque. No, non lo era! Dopo i pochi dialoghi che scambiammo tra Palazzina e viale Moretti, con mio stupore mi salutava alzando i suoi occhi scuri e muovendo il suo baffo di sguincio. 

La sua è stata una vita non comune e il rispetto che si era guadagnato per la sua intransigenza lo meritava tutto. Non faceva sconti a nessuno in Palazzina, per gli orari e per le attenzioni richieste, e questo di certo per me era un segno distintivo di qualità. Generoso con me lo è stato, anche solo per il suo affettuoso: Del Zo', come va?

Il calendario ci guida nella matematica e ci dice che da tre anni Adelchi se n'è andato, e in Palazzina in molti lo dovrebbero ricordare, anche solo con una aiuola fiorita.  

 

28 settembre 2022                      Francesco

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La tragedia di Adelchi 
 

Conosceva la sua Palazzina Azzurra come nessuno.

Ogni particolare edilizio. E ogni palma, ogni cespuglio, ogni fiore, quasi ogni filo derba del giardino. Mi chiamò disperato, quando tagliarono il grande pino. Quante volte ispezionava preoccupato il malandato mosaico della ex pista da ballo: metteva le tessere che si staccavano in tre sacchetti tre toni dazzurro tante volte mandassero qualcuno a ripararla (Macchè)

Teneva a bada gli espositori, gli artisti, i musicisti, gli assessori, i politici e il pubblico maleducato con la stessa intransigenza: attenti, la Palazzina è fragile, si rompe!

Una mattina lo trovai arrampicato su una sedia di plastica che lucidava con cura il plexiglass della scultura VALE & TINO di Marco Lodola: che poesia, sembrava ballasse con loro

ADELCHI non era solo lo storico custode della Palazzina Azzurra, era proprio una sua parte. Era, soprattutto, un testimone scrupoloso, che si studiava attento e a modo suo ogni artista. Poi me lo raccontava, a modo suo.

Quando andò in pensione la Palazzina ci restò male, come orfana. ADELCHI adesso la guardava da lontano, ci passava davanti in bicicletta, chissà se ci entrò più. Io non riuscii a (ri)portarcelo mai.

Ma le vite della Palazzina e di ADELCHI continuavano parallele, il loro distacco non era una tragedia. Si amavano lo stesso.

La Tragedia è adesso.


19 settembre 2019                            Giorgio



23/09/22

Non ci sono più i Cromwell di una volta, signora mia

Se un principe paragonasse questi ornamenti simbolici col suo genere di vita, credo che finirebbe per provare solo vergogna della sua pompa, e col temere che qualche critico salace non si prendesse gioco di lui volgendo in beffa questo apparato scenico (Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, 1508/9)


…Non sappiamo se il fantasma del duro e intransigente, politicamente spietato Oliver Cromwell abbia abitato in questi secoli i manieri della regal britannica stirpe, ma se l’ha fatto, sarà ormai stufo d’aspettare l’auspicato ritorno della repubblica e sdegnosamente è uscito dalla comune…
 
Non senza aver forse provato un sussulto di umana pena per quel goffo attempato Carlo III, sguardo non proprio saettante, incurvato da decori, stemmi e medaglie, così pateticamente simile al tragico Carlo I spedito al patibolo nel 1649 per far posto ad un'incerta breve repubblica.

 
Avrà preso atto, pur nella sua consistenza fantasmatica, che non solo di patiboli per re e regine lì non ce n’è più per fortuna, ma che ad abbattere la monarchia i british non ci pensano proprio e che quella, la monarchia, è anzi più pomposa, più ricca e più assurda che pria.

E che dunque gli tocca arrendersi al trionfo della Follia planata sulle esequie della monarca, all’isteria globale dei media, al carnevale da operetta di uniformi militari, ai fantastilioni di sterline spesi in barba alla metà del mondo che muore di fame e all’altra metà che muore di guerra; all’esibizione muscolare, ai simboli del potere, alla sfilata di capi di stato –  “i grandi del mondo” li chiama la grande stampa con l’abituale sprezzo del ridicolo - in larga parte impresentabili…
 
Non ci sono più neanche gli Alexandre Dumas di un volta, signora mia: capaci di letterariamente nobilitare intrighi di corte e beghe di cortile e, con geniale fantasia, d’innalzare a dignità d’immortale romanzone gli amorazzi veri o presunti del primo Duca di Buckingham con la regina Anna in quel di Francia.
Perché le res gestae dei reali contemporanei d’oltre Manica sono un filino più squallide e tediose di quelle antiche, in più di un caso moralmente nauseanti, e non le vorrebbe neanche Barbara d’Urso in deficit di ascolti.
 
Difficile capire perché il delirio monarchico abbia soggiogato perfino il sistema dell’informazione di un paese, il nostro, che di regale parassitismo ne ha avuto fin troppo e seppur tardivamente se n’è liberato.
L'incontinenza di immagini e commenti a tema unico su ogni medium, 24 ore al dì, ci parla di un’informazione malata di servilismo e di retorica, con giornaloni in gara nel solleticare voyeurismi da gossip, con paginate di epocali scemenze e sussiegose firme, con intellettuali da divano e dotte penne arruolati dalle tivù a pensosamente commentare il nulla.
 
Quanto ad una regressione collettiva di tale portata, come quella andata in scena a reti e mondi unificati, con tanto di pueril-adolescenziale fascinazione per re e regine, principesse e cavalieri, soldatini e pennacchi, carrozze e parate, la si spiegherà - forse - solo compulsando lungamente severi tomi di psicanalisi.

O più semplicemente ascoltando ciò che l'erasmiana FOLLIA, nella sua irridente saggezza, ha da dirci sulla natura umana.

 

 

Sara Di Giuseppe - 23 Settembre 2022

 



 

17/09/22

La foce del fiume-torrente Tesino, un “Luogo del Cuore”


 


     È al 29.554° posto in Italia, ma è ingiusto, meriterebbe il podio. Guardare nelle foto di oggi quanto rigoglioso bel verde c’è: l’acqua quasi non si vede, e neanche le arcate del ponte della ferrovia. E quel quieto laghetto delimitato dalla piccola diga spontanea sulla riva del mare: da commuoversi. La foce “non è balneabile”? Cattiveria dei detrattori, hanno truccato le analisi: quando mai le fabbriche della Val Tesino, i vivaisti, i contadini, le cantine, i borrrghi più belli sui cucuzzoli, scaricano i loro avanzi nel fiume. Casomai è il mare scellerato, che porta lo zozzo.


     Ma soprattutto: la foce di Tesino è SICURA. Sì, a prova di bomba. Di bombe d’acqua e di questi improvvisi e terribili “temporali autorigeneranti” (sic). 

Ieri - Marche nord, 80 km da qui - disastro epocale, morti, feriti, dispersi, case crollate, auto e camion portati via dalle acque furibonde, fabbriche allagate, servizi distrutti, danni incalcolabili. Tutto senza preavviso, l’aeronautica stava a terra in ferie. 

Qui a Grottammare e dintorni per fortuna quasi niente. Nuvolacce, pioggerellina, venticello. Che culo. Anzi no, merito di Grottammare, dove tutto è fantastico e superlativo, dove tutto funziona, dai semafori super-intelligenti che immobilizzano il traffico alla occhiuta gestione delle acque che mantiene asciutti i pontini.

     Ma se (anzi quando) anche qua avessimo un fetente temporale autorigenerante? 

Bubbole, a Tesi’ gli farebbe un baffo. Tesi’ assorbirebbe miracolosamente tutto. Anzi, la piccola foresta amazzonica della foce incanalerebbe per magia anche le acque più violente, filtrandole, profumandole e colorandole di verde-azzurro. Mentre la piccola diga sulla battigia creerebbe fantasiosi giochi d’acqua, con spruzzi spettacolari, per la gioia di indigeni grandi e piccini e dei turisti assiepati sul ponte del lungomare. Arcobaleno optional e gratuito. 

Stiamo talmente al sicuro che dopo il macello della scorsa notte a due passi da qui (vabbè, a 80 km), il premiato sindaco Pierre-Gallin, per agevolare il deflusso delle acque impetuose e impedirne il possibile straripamento, s’è guardato bene dall’inviare subito 2-3-4 ruspe a disboscare alla radice la ruspante foresta amazzonica di foce-Tesì e a spianare la dighetta a mare. Sarebbe stata una precauzione inutile per farsi belli, uno spreco di soldi pubblici, non sia mai. La foce del Tesino è sicura, bella e affettuosa così com’è. Non per niente è pure un “Luogo del Cuore”. Al 29.554° posto in Italia.

 

 PGC - 16 settembre 2022


 

09/09/22

Aridàtece SAVONAROLA

 


  “…Ma bene ti dico questo: che ora è il tempo della penitenza.  

(Girolamo Savonarola, 1495)

 

Nel Medioevo di ritorno che ci attende (non che ci fossimo mai allontanati troppo) piacerebbe trovarci almeno figure di un certo spessore, se proprio devono predicarci ogni due per tre ricordati che devi morire (e sì-sì-mo-me-lo-segno): come il grande ferrarese che ai potenti corrotti e ai puzzoni a loro vicini non gliele mandava a dire e guarda infatti la finaccia che fece.

 

Averlo oggi, un fra’ Girolamo così, con la sua ansia di rinnovamento delle coscienze: colto e incorruttibile, impavido contro i poteri forti, fustigatore della mondanizzazione della Chiesa e  profeta della scissione luterana, repubblicano e vagheggiatore di istituzioni in grado di armonizzare la sfera politica e quella morale…

Scomodo, scomodissimo. 

 

Oggi rischiamo di soccombere - noi popolo cosiddetto sovrano - schiantati nel fisico e nell’anima dalle pelose prediche al risparmio, alla sobrietà, alla penitenza quotidiana poiché bui e tempestosi sono i mesi a venire: ma i nostri Savonarola sono mezze calzette al livello basico di alfabetizzazione, dalla statura morale e politica inversamente proporzionale alla supponenza che elargiscono, amplificata da grande stampa e tivù a inginocchiatoi unificati.

 

Sono gli stessi illustri imbecilli (che siano italioti o eurouniti o transoceanici non fa differenza) che ci hanno cacciati nel tragico guazzabuglio; che nell’incontinente delirio guerrafondaio vaneggiavano di sanzioni che avrebbero spezzato le reni alla Russia in una manciata di giorni o settimane; che dalle paginone dei giornaloni strombazzavano - lo fanno ancora! - di “sanzioni sempre più efficaci” (Draghi); che, migliori tra i migliori, deliravano di “successo completo” (Draghi) degli accordi europei sulle sanzioni…

 

Oggi predicano e gridano alla penitenza dagli stessi divani dai quali mesi fa gridavano “alle armi alle armi”; oggi sentono il fuoco al culo (mi perdoni Fra’Girolamo) perché finanche i loro privilegi oltre alle nostre anonime vite potrebbero finire spazzati via, vaporizzati a colpi di gas.

 

Penitenziàgite, è il grido unanime, voi sciagurati che finora avete usato la lavatrice e lo stereo, lasciato accesa la luce in bagno, usato il phon, fatto la doccia calda. Risparmiate, economizzate, soffrite (come se avessimo fatto altro da questo, finora). Su di voi ricade la responsabilità della crisi energetica, del pane che manca, del lavoro perso, della rovina del paese.  

 

Eh? Come dite? La guerra? Fermare la guerra!? Giammai!

Piuttosto si chiudano le scuole e si risparmierà. Che ci vuole.

 

Così accade che la guerra sparisca dai programmi elettorali, e con essa le armi, e i relativi scandalosi giganteschi finanziamenti. Perché chi non lo sa: la guerra è ovvia, la guerra è necessaria, la guerra difende i valori occidentali qualunque cosa voglia dire. 

Che possa cessare non è nei piani, piuttosto si corra ai ripari, un po’ di sobrietà, suvvia: tornare alla pietra focaia sarà educativo, la docce fredde temprano il fisico, e pittoresche processioni con le reliquie del santo - uno qualsiasi – scongiureranno la catastrofe energetica, occupazionale, ambientale che non già la guerra bensì il fato iniquo o chi per lui ci manda in espiazione dei peccata mundi.

 

E stiamo sereni: avremo pur sempre la Psicopolizia a vigilare la notte e il dì che a nessuno salti l’uzzolo di negare il dogma, inciso in caratteri eleganti sulla facciata del Miniver, Ministero della Verità:

 

LA GUERRA È PACE

 

(Qualcuno di tanto in tanto mormorerà Aridàtece Savonarola, ma nel frastuono nessuno potrà sentirlo).

 

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       “… e visto che non ci può essere nessuna vittoria decisiva, non importa che la guerra proceda bene o male. Tutto quello che serve è che ci sia lo stato di guerra. La scissione dell’intelligenza […] che si ottiene molto più facilmente in uno stato di guerra, adesso è quasi universale, e più si sale di rango più diventa marcata”.

 

(G.Orwell, "1984")

 

Sara Di Giuseppe - 6 settembre 2022