30/07/13

Ricordando il Festival dei 2 Mondi. Il concerto della pianista Jin Ju: Debussy à midi

Spettatori solo in platea. I bei palchi, a quest’ora tenuti vuoti, possono finalmente anche loro godersi in pace il concerto. Non potranno applaudire, ma quanto gli piacerà. Dalla mia postazione (fila 4 posto 13), involontariamente sotto controllo con la coda dell’occhio, il palco 21 l’ho visto addirittura commuoversi. Ma prima del concerto si era spazientito anche lui, per la sgradevole voce da tiggì che chissà quanto ancora si sarebbe dilungata nella piatta introduzione a Debussy, se il competente pubblico non fosse insorto: “Basta!” “Basta!” “Con Menotti era un’altra cosa!” (signora della mia stessa fila, cinque posti più a destra).

28/07/13

Futura Festival. Giovanni Bignami: “Cosa resta da scoprire”. Pugno chiuso per Margherita Hack

Non mi meraviglierei se Giovanni Bignami amasse i gatti e usasse molto la bici come Margherita Hack, perché le somiglia. Per come si presenta, per come parla, spiega, racconta. Per come ti fa amare istintivamente una materia che non ci hanno fatto studiare: lo spazio. E te lo fa sentire “vicino”, facile, simpatico. Per come ti dice le verità più brutali senza indugi e con dolcezza, e maneggia numeri spaventosi senza spaventarti. Per come mette a nudo finti misteri e credulonerie, squarciando la nostra ignoranza senza offenderci. Per come, a sua volta, ti attrae con libri che per i titoli sembrano di fiabe (Il mistero delle sette sfere) o d’avventura alla Jules Verne (Cosa resta da scoprire).
Il bel chiostro-spyder di Sant’Agostino è un’aula perfetta, col campanile che si staglia nel cielo azzurro come a indicare la “Sfera +1” dove circolano ormai 10.000 satelliti, che se fosse notte tra le 22 e le 24 ne vedremmo passare molti (magari nell’istante in cui vengono “zappati”); come a seguire la “Sfera +2”, dove sta la Luna che già conosciamo bene (“è solo un pezzetto di Terra”); o la “Sfera +3” che arriva fin dalle parti di Marte, dove sarebbe “facile” arrivarci con un razzo a fissione nucleare entro il 2030, un annetto di viaggio e 1 trilione di dollari/euro A/R (un affare in confronto ai 1,7 trilioni/anno di spese militari); per ora c’abbiamo mandato il trattore Curiosity a “grattare” la superficie. E infine – ma non è detto - la “Sfera +4”, la più affascinante ma difficile da concepire per noi tapini: più di 20 anni luce di raggio, dove Keplero (il bravo satellite cacciatore di pianeti della concorrenza, ma “noi” lo batteremo…) ha scovato 4 – 5 pianeti abbastanza rocciosi (!?) e teoricamente abitabili in quanto con “indice di somiglianza” zero virgola qualcosa (con Terra=1, Marte ha indice 0,66), dove ci sarebbe acqua liquida e si potrebbero addirittura pescare dei simil pesci-ghiacciolo (muniti di molecole antigelo!) tipo quelli che abitano le estreme profondità dei nostri mari freddi… Beh, non sono andato in ordine, perché prima c’erano la “Sfera 0”, dove campiamo, la “Sfera -1” profonda qualche cento chilometri dove si formano gli “amici” terremoti, e la “Sfera -2” che in pratica contiene il centro della Terra (dove “si può“ mandare un satellite, sic). Così fanno giusto 7 Sfere.
Ma avendo Bignami anche quel salvifico cognome che “riassumeva” i nostri pochi saperi, ecco altre sue illuminanti incursioni lampo, come:
- Tutto l’oro è affondato, sta nel fondo degli oceani.
- Nello spazio non si può cucinare la pasta asciutta, perché non ci sono i moti convettivi, hai voglia a scaldarla, la pentola rimane fredda.
- Lo spazio è tutto uguale, come pure le stelle, non c’è una diversa tavola degli elementi, quando ti dicono che in qualche parte hanno trovato la “selenite”, è come dire che qui c’è la “civitanovite”.
- Los Angeles diventerà un’isola (questa era facile, lo sapevo).
- Per tirar fuori energia (termica) quanto vogliamo, basta fare due buchi a 5 km uniti da una galleria, l’acqua sale, bolle, ecc.
- Gli F 35 sono una boiata pazzesca, non ottieni niente, devi solo firmare un assegno.
- Ustica: beh, a 8.000 metri sono successe una serie di puttanate.
Ma, tornando a Margherita Hack, che bello quando, per evitare di commuoversi ripete, con Cristina-appassionata-di-fantascienza, il ballo che fece con Margherita in una trasmissione televisiva, per spiegare empiricamente perché vediamo sempre la stessa faccia della Luna
Ciao, incazzatissima Hack. E via col pugno chiuso!

Pier Giorgio Camaioni


24/07/13

Rassegna Internazionale di musica per organo. Se gli organi a canne fossero portatili

Se gli organi a canne fossero portatili come gli altri strumenti, vivremmo tutti più comodi. Potremmo ascoltarli nei teatri, nelle piazze, nelle arene, nei festival di città, invece d’esser costretti ad andare sempre in chiesa. Ma potremmo finalmente anche vedere l’organista che suona, che invece non vediamo mai perché sta lassù in aria, tra le svettanti canne d’argento e la balaustra barocca che lo copre. Anche se il bravo organista fosse alto come l’Uomo Fiammifero (più di 2 metri e meno di 3), possiamo solo immaginarlo mentre sbraccia su tastiere e registri e sgambetta sulla pedaliera. Quindi il dubbio: ma è lui che suona o un altro?
Mi venivano questi pensieri l’altra sera al concerto di Gianluigi Spaziani, che almeno l’abbiamo visto salire le anguste scale e affacciarsi di tanto in tanto dal “balcone” per ringraziare degli applausi. E’ anche alto 2 metri, lo conosciamo, niente dubbi. E poi meno male che stavolta hanno girato i banchi verso la “fonte” del suono, in altri concerti stavano rivolti verso l’altare: niente di più pauroso che ascoltare di spalle, qualche nota potrebbe ucciderti a tradimento…
E quelle teste all’insù per tutta la sera? E’ istintivo, si capisce, non è che così vedi meglio o senti meglio. E a concerto finito, che per inerzia continui ancora a tenere la testa in su? Ci fossero almeno dei dipinti sulle volte, chessò, mosaici, rosoni, lampadari: niente, questa bellissima chiesa è bianca e basta. Quasi comico, poi, guardare la faccia di chi entra con un po’ di ritardo a concerto iniziato: che varca circospetto e con un po’ di vergogna la porta del ‘700 che ZAC gli cigola, che vede trenta gole, tutte bianche, nude, immobili! E insieme ZA-ZAAANN, l’attacco d’organo terrificante, del tipo di quelli del “Salve regina”, 7°o 8° verso mi pare, di Abraham Van Kerckhoven: se non gli dici subito che non è un film e che non scorrerà del sangue, gli prende un colpo!
Buon concerto, ci siamo proprio “riempiti” d’organo senza che nessuna canna c’andasse per traverso. Quattro autori tutti dello stesso periodo, magari si conoscevano, noi al massimo li avevamo sentiti nominare. Gianluigi Spaziani ci ha portato per mano nel “suo” mondo, e siccome lui era impegnato lassù, ci ha “introdotto” all’ascolto Vincenzo Di Bonaventura. Che ha dovuto sfidare l’acustica di questa chiesa che evidentemente non tollera nient’altro che il suo prezioso organo. Si sono così perse alcune parole, ma non l’alto senso. Grande VincenzoNel merito: molto “didattico” quell’olandese Van Kerckhoven, 35 + 9 versi (di circa 20 secondi l’uno) appena separati tra loro, tanto che senza applausi fuori posto siamo sembrati ascoltatori di professione. Più alla nostra portata l’inglese Bull, mentre l’austriaco Fux pare quasi dei nostri, specie nella gradevolissima Ciaccona. Sulla scia, il bis è toccato alla (nota) Toccata di Frescobaldi. Applausi. Insomma, ci siamo riavvicinati a Sua Maestà l’Organo. Che, senza offendersi, a fine concerto è rimasto lassù in solitudine, mentre noi festeggiavamo i 20 anni dell’Associazione con pizzette vino e crostatine. In sacrestia.

Pier Giorgio Camaioni


23/07/13

Concerto della Corale Polifonica Riviera delle Palme. Armonia e senso di comunità in “Dipingi un canto per me”

Il concerto degli oltre quaranta cantori si è tenuto nei giorni scorsi nell’intimità della chiesa di S. Giuseppe di via XX settembre. In programma però c’era qualcosa di diverso, più articolato: l’esibizione all’aperto, in via Laberinto, con un repertorio di canti più leggero e frizzante e l’esposizione di dipinti dei pittori Gabriele Partemi, Emidio Mendozzi ed altri, dell’associazione Pro Arte.
Via Laberinto è forse la strada più caratteristica di San Benedetto del Tronto, con la sua forma a imbuto e antiche abitazioni che quasi si toccano, dove si immagina un passato diverso da quello di oggi: un vociare, un andare e venire, un gesticolare, qualche festa, un pullulare di vita insomma. In questa via abitavano anche i pescatori che, nel tornare a casa, trascinavano ciascuno la propria barchetta, dominati dalla sfinitezza, ubriachi di onde e di mare, di sale e pescato e qui, all’interno della propria casupola, tentavano po’ di pace e di rifugio alle tempeste. Ritornando al presente, l’intento dei cantori era diffondere le soavi melodie anche verso le orecchie più lontane, nel desiderio non troppo remoto di incantare i passanti, come fecero le Sirene che sedussero ed ammaliarono Ulisse e i suoi compagni con l’armonia del canto (ma anche Pan con il flauto e S. Francesco con la sola voce parlata), ma volevano anche rasserenarne gli occhi con la vista dei dipinti degli artisti dell’associazione, nella convinzione che l’arte, in ogni sua forma, abbia una funzione “terapeutica” e piscagogica per il cittadino o il turista oggi troppo disorientato, disancorato, confuso. Invece la pioggia ha deciso diversamente: perciò il concerto si è tenuto appunto in chiesa, con una variazione del repertorio e l’esposizione dei quadri è stata completamente annullata. Ma le note melodiose si sono diffuse ugualmente per le vie circostanti e chi aveva orecchie per intendere…Il pubblico presente era entusiasta, emotivamente coinvolto, perché i cantori, guidati dal bravo maestro Fabrizio Urbanelli, hanno espresso con la maestria della voce e il trasporto di anima e volto i sentimenti contenuti nei canti: nostalgia, speranza, glorificazione, malinconia. La Corale Polifonica “Riviera Delle Palme” , diretta sin dagli esordi dal medesimo maestro, si è costituita nel 2000 a San Benedetto del Tronto grazie all´iniziativa di un gruppo di appassionati di musica animato dalla gioia dello “stare insieme cantando”. Col passare degli anni, ha ampliato il proprio organico che attualmente conta oltre quaranta coristi, divisi in quattro sezioni (soprano, contralto, tenore e basso); ha inserito al proprio interno valenti strumentisti, e contemporaneamente ha allargato i suoi interessi musicali, dando vita ad un repertorio che spazia dalla polifonia classica, sacra e profana, a cappella e con accompagnamento strumentale, non disdegnando il repertorio tradizionale, popolare, folkloristico. La Corale è nata anche con l’intento di praticare e diffondere il canto come linguaggio universale di pace, e questa vocazione l’ha vista più volte impegnata in esibizioni pubbliche a carattere benefico ed umanitario. Tanti i concerti natalizi, pasquali , canti “in strada” che animano gioiosamente e giocosamente diverse zone del centro di San Benedetto del Tronto e la tradizionale “Pasquella” dove rivivono i cosiddetti “Canti di Questua”. L’Amministrazione Comunale di San Benedetto del Tronto ha riconosciuto l’Associazione Corale Polifonica “Riviera Delle Palme” gruppo di interesse comunale per la musica popolare ed amatoriale. Interessante la strada intrapresa da qualche anno con i concerti a tema che includono altre forme espressive e altre discipline artistiche dando vita a spettacoli che fondono canto, teatro, danza, audiovisivi, musica e poesia. La Corale si avvale della collaborazione di un ensemble strumentale formato da Anastasia Urbanelli: Pianoforte, Glokenspiel; Angelica Urbanelli: Violino; Sergio Capoferri: Corno francese, Fisarmonica, Organetto, Percussioni; Stefano Almonte Lalli: Chitarra, Charango, Percussioni e dallo stesso Fabrizio Urbanelli: Flauto traverso e Flauto dolce.
Conclusosi il concerto, terminata la pioggia, il fisarmonicista Sergio Capocasa con altri due cantori, in quella stessa via Laberinto, oggi poco popolata, hanno brillantemente improvvisato musiche da ballo e augurali per un abitante della via che compiva ottantasei anni e che, levando la voce al cielo, in tono quasi trionfale, ha detto rivolgendosi alla moglie: “Questa è la più bella donna del mondo!”, a cui è seguito l’abbraccio e l’applauso della decina di persone rimaste che hanno brindato e ballato. Abitano in quella bella via due signore, che avevano preparato un rinfresco per i coristi, gesto gentile, genuino che ridà il senso della comunità in consunzione ormai, senso di coralità, di festa, festa per le orecchie e per il cuore.


Maria Teresa Urbanelli

22/07/13

Popsophia. Merdre! “Questo non è un musical”. È Patafisica

Accatastata furiosamente come in una discarica dell’Inferno o del Paradiso, la scenografia patafisica era già allestita sul palcoscenico dal primo pomeriggio. Ma non ci avevamo fatto caso: in attesa del “duello” dei filosofi-Umberti e che il sole smettesse di picchiare sulle sedie, avevamo preso la strada dei “frigoriferi” di Rocca Costanza, inquietanti immensi e pensosi sotterranei dove occorre il cappotto (si sa, è assai caustico pre-ambulare “dentro” una rocca perfetta prima di un evento, anzi di due). Lì sotto infatti, come sopra le nostre teste nel cortile quadrato della rocca, proprio un altro mondo: eh, Popsophia sceglie i posti giusti.

20/07/13

Mikhail Baryshnikov e Willem Dafoe al Festival dei 2 Mondi: The Old Woman

Vertiginosi: così li vedo, Baryshnikov e Dafoe, mentre il teatro viene giù dagli applausi e loro corrono da parte a parte con agilità di adolescenti, 123 anni in due. C’è qualcosa di irresistibile in questa regia che adatta i testi fulminanti di un artista tra i più trasgressivi del ‘900 russo: Daniil Kharms (uno dei nom de plume di Daniil Jvanovic Juvačëv), surrealista, scrittore e poeta fondatore del movimento avanguardista Oberiu, perseguitato dal potere, condannato ai lavori forzati e all’esilio, internato nel ’41 in una clinica psichiatrica detentiva e qui morto (“morto di stalinismo, di guerra e di fame”) nel ’42, a 37 anni.

19/07/13

Marco Fulvi. La mostra al Palazzo Pretorio di San Sepolcro (Firenze). “Icone 2013”, dal 20 al 28 luglio.

La scelta del ritratto è un esercizio amoroso, nel talento della conoscenza. 

Nel caso di Marco Fulvi è l’immergersi nella storia, vista nel suo momento irripetibile, di chi passa con noi sulla scena del mondo, compagno di strada, amico, conoscente o sconosciuto la cui immagine è stata intercettata nel respiro della sua esistenza. 
Marco dipinge visi come corolle tratteggiate al millesimo, basta guardare la foggia dei capelli, la curva del mento, il lago degli occhi. Un’infinita attenzione. Il desiderio di essere parte della sagoma umana che gli sta davanti, o di riconoscerla nei tratti comuni: un sopracciglio, l’arco delle labbra, l’orecchio, in una meditazione che si fa attimo e corpo, presente che sfuma nell’istante successivo, nel quadro magicamente coevi. 
Ricreare la vita partendo da un’immagine è un dono che ogni volta qui scaturisce, e tratteggiare le linee perché l’immagine sia propriamente quella,

17/07/13

Festival dei 2 Mondi. Madness - Spettacolo sulla “Follia”: bravi da matti

Ci capitiamo per caso nell’attraversare i Giardini, diretti in centro e ai luoghi canonici del Festival, e non si può non notarli: disseminati per il parco, sono giovani e tutti in bianco, bianchi gli abiti, i camici, bianchi gli oggetti di scena; spiccano tra il verde, così come le grandi lettere verticali che annunciano “FOLLIA”. Che fate? chiediamo. Spettacolo sulla follia, più tardi, bisogna prenotasi. Ci prenotiamo. Si entra a gruppi, intervalli di un quarto d’ora. Infermieri in camice bianco le nostre guide nelle stazioni di questa Via Crucis del disagio mentale. “Sconsigliati ad un pubblico non adulto” avverte il pieghevole: già, che sia realtà o finzione scenica, la follia ci turba, forse per questo la vestiamo di bianco. La bravura dei giovani allievi d’Accademia ci attrae verso ogni scena con la perentorietà di una calamita: anche senza i due “infermieri” a guidarci scivoleremmo dall’una all’altra risucchiati dalla forza attrattiva di quei monologhi.

16/07/13

La rassegna Jazz all'Americo Village. La riserva indiana del Marcello Allulli Trio

Entrando nello chalet “Americo” a concerto appena iniziato, il trio MAT mi ha subito ricordato quella vecchia serigrafia di Ugo Nespolo cui tengo molto (benché la mia sia la n.26 su addirittura 2.000: le regalava agli abbonati circa trent’anni fa la rivista Abitare): titolo,“Nella riserva circondati dai Cow-Boys”, appunto. E’ che per arrivarci - comunque in ritardo - io stesso avevo dovuto faticosamente attraversare la movida del lungomare superando svariate “linee nemiche” di visi pallidi abbronzati, rischiando se non la pelle almeno le orecchie: orchestrine di alberghi e chalet, armate di ferocissimi cow-boys grandi sparatori di decibel, per non parlare degli altri cow-boys fuori dai ranghi, musicalmente assatanati, anche loro armati di sassofono-Winchester, chitarre-Colt e voci da lupi.
Oltre a reggimenti interi di cow-boys-spettatori che, come a comando di generali invisibili, attaccavano a ondate i radi quanto resistenti indiani-jazz. Ecco, nel “fortino” dell’Americo, i ragazzi del trio MAT mi sono sembrati proprio “indiani” accerchiati, sull’orlo di soccombere alla soverchiante pressione di cow-boys orrendamente musicisti. Per tutta la sera la “Riserva” ha però resistito. Con onore e bravura. Senza paura. Sì, mi sono sentito molto “indiano”.

Pier Giorgio Camaioni


Cuore di Palestina ai Teatri di vita: “Suicide note from Palestine”

Prima di tutto, voglio ricordare i loro nomi: Christine Hodali, Milad Qunebe, Ahmed Alrakh, Alaa Shehada, Saber Abu-Ashreen, Anas Arqawi, Micaela Miranda, Nabil Al-Raee. I primi sei gli attori, gli ultimi due i registi di Suicide Note from Palestine, la pièce teatrale ispirata a Psicosi delle 4.48 di Sarah Kane e rappresentata il 13 e 14 luglio scorsi nell'ambito del festival Cuore di Palestina organizzato dai “Teatri di vita” di Bologna. La città emiliana ha offerto un palcoscenico alla prima europea di questa produzione del “Freedom Theatre”, il “Teatro della libertà” che ha sede nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Il titolo parla da sé: tra teatro fisico e videoarte, l'opera racconta allegoricamente la storia della Palestina e come è vista dalle giovani generazioni dei territori occupati.

15/07/13

La presentazione di UT Il desiderio n.2/2013. Giovedì 18 luglio - Chalet La Bussola

L'uomo è una creazione del desiderio non del bisogno
Dalai Lama
?
Ci sono due tragedie nella vita: non riuscire a soddisfare un desiderio e soddisfarlo. 
Oscar Wilde
??
Tendiamo sempre verso ciò che è proibito e desideriamo quello che ci è negato.
Ovidio
???

[.................]




   Il desiderio è un pensiero libero
  con su scritto UT...
La redazione

UT/2/2013/7°anno
Il desiderio
*
giovedì
18/07/’13/21.30
day / month / year / hour

presso lo chalet-ristorante 
La Bussola


Lungomare
San Benedetto del Tronto
Conc. n.32

*
Saranno presenti personalmente o con i loro testi e opere:
Alessandro Cascio, Roberto R. Corsi, Rossella Frollà, Enrica Loggi, Alceo Lucidi, Mariagrazia Maiorino, Alessandra Morelli,
Michele Ortore, 
Umberto Piersanti, Giuseppe Piscopo,
Ivan Pozzoni, Miriam Ravasio,
Antonella Roncarolo, Silvia Rosa, Dante Marcos Spurio
e...il trio di UT

*
Nel fumetto sopra: Miriam Ravasio, Desiderio New Pop, particolare.




Nella striscia: allegato e corpo rivista,  Opera di Miriam Ravasio, ‘Oggetto pensante’ di Francesco Del Zompo, Fotografia di Dante Marcos Spurio, Vignetta di Giuseppe Piscopo


14/07/13

Pietraia dei Poeti. “Cani randagi, la nuova poesia delle Marche”. La poesia della natura e la poesia civile alla rassegna estiva “SOGNI e biSOGNI”

Il museo Pietraia dei poeti si adagia su un promontorio di arenaria quasi sospeso sulla fertile vallata prospiciente il mare. Il museo, fondato dall’artista sambenedettese Marcello Sgattoni, offre allo sguardo del passante, in un’ esposizione permanente, le sue sculture lignee, un folto popolo di “anime” del dolore che accompagnano il visitatore lungo la strada dell’ “Inferno” verso la piazzetta della rinascita. Posta in fondo al “tunnel”, la piazzetta è un piccolo palcoscenico per musicisti, danzatori e poeti che ogni anno, specialmente d’estate, contribuiscono con le loro suggestioni a esaltare la sacralità del luogo. Che il luogo sia sacro il visitatore se ne accorge non appena imbocca la Contrada Barattelle, iniziando un viaggio spesso solitario verso il centro di sé, su una strada sterrata in mezzo alla campagna palpitante di grilli. Nell’ora che precede la notte e le passioni della giornata finalmente si placano, lo spettatore comprende poco a poco che non è venuto qui solo per assistere ad uno spettacolo, ma si accorge presto che, sospeso tra terra e cielo, contornato

13/07/13

“Riscoperto” un altro film di Ivo Illuminati. “Tragico convegno” del 1915, dal Nederlands Filmmuseum al Cinema Ritrovato di Bologna

E sono tre. Dopo Selika (1921, conservato presso la Cineteca Nazionale) e Il vetturale del San Gottardo (conservato sempre presso la Cineteca Nazionale e presentato alla Mostra del cinema di Venezia del 2011), grazie al Cinema Ritrovato di Bologna è stato possibile proporre, in Italia, Tragico convegno, un film del 1915 del quale Ivo Illuminati, nativo di Ripatransone, fu regista e protagonista. La presentazione del film, proveniente direttamente dall'EYE (come si chiama oggi il Nederlands Filmmuseum di Amsterdam), al festival bolognese, è la conferma di quanto pensiamo ormai da tempo, e cioè che i film di Ivo Illuminati, introvabili in Italia

La mostra personale di Franco Pirzio. Le “pirziate” a Forsedesign? “Non sono una Bugatti” (?)

Capitava a tanti di noi (di ieri), di disegnarsi nella mente un sogno e poi di costruirselo con le proprie mani. Quasi mai usciva fuori qualcosa di “bello”, rustici com’eravamo, ma dopo eravamo contenti, orgogliosi, soddisfatti, scorticati. Dimostrare capacità e bravura, più che un gioco era una necessità, perché così si stabilivano le gerarchie di banda, e anche nelle sfide non restavi a mani vuote. Qualsiasi base di partenza andava bene, oggetti trovati, rubati, avanzi di cantieri, scarti di falegnami, di fabbri e di carrozzieri della via. Costruivamo strani giocattoli contundenti, capanne a terra e sugli alberi, armi. Improbabili barche, qualche volta. Senza passare per i “disegni preliminari”: c’avevamo tutto in testa, i cambiamenti e le modifiche si facevano d’istinto, o per forza. La fase successiva, quella finale soprattutto, era sempre la distruzione violenta di quanto fatto (da noi o dai “nemici”). Gli davamo pure fuoco. Non eravamo raffinati, avevamo furia. Fino alla seconda media, o al secondo avviamento, niente “stile” o teorie. Si lottava per diventare grandi in fretta, a tutti i costi; ognuno si adoperava, senza saperlo, per costruirsi il miglior curriculum…

12/07/13

Il solipsismo di Vincenzo Di Bonaventura. “La storia della tigre” di Dario Fo. Ieri. A San Benedetto del Tronto. Chalet La Bussola. Di fronte al mare

Quando siamo arrivati, lui, Vincenzo Di Bonaventura, era già nella sala della Bussola, curvo sui cavi, i microfoni e i bonghi da collocare e tarare per lo spettacolo.
Via via, sono arrivati gli altri spettatori, a gruppetti, attratti dalla qualità degli spettacoli proposti da Note di Colore. Si sono salutati e, con un sottile senso di spaesamento, si sono seduti compostamente per l’imminente cena di vongole e pesce fritto (annaffiata con un delicato vino in brocca). Lui, Vincenzo, allestito il suo “spazio essenziale”, si è appartato per rientrare poco dopo in sala, nel suo abito nero di scena, ed è venuto a sedersi al nostro tavolo,

11/07/13

Popsophia Festival del Contemporaneo: “Eroi e Antieroi”. Umberto (Curi) & Umberto (Galimberti)

Sul palco del Festival si trovano inaspettatamente in contemporanea, i due Umberti: slitta la presenza di Matteo Renzi e per effetto domino si tira dietro (così che per un attimo mi diventa addirittura simpatico il Renzi) il gradevolissimo imprevisto dei due filosofi in coppia, a parlarci di Eroi e Antieroi, nel giorno penultimo del brillante Festival in cui “La filosofia indaga il pop e il pop racconta la filosofia”. Di eroine antiche ci parla Curi, e di misoginia anch’essa antica: che Tiresia l’indovino fosse mutato in donna per… punizione, la dice lunga sulla forza del pregiudizio anche nella luminosa democratica Atene.

10/07/13

“Todo fluye como un rio”, l’ultima raccolta di poesie di Carlos Sanchez

Conoscevo Carlos Sanchez da un paio di apparizioni (è lecito definirle così) a San Benedetto del Tronto; apparizioni, perché la sua veste poetica lo accompagna in un alone particolare, come un sogno incarnato e diventato parte della fisionomia. Forse il sogno che egli vive materiato di poesia, sua compagna e “condanna”, che fa di lui che si definisce “gaucho” un vero e proprio hidalgo, strappato a Cervantes per virtù di un lampo benefico che gli attraversa gli occhi e la figura mentre legge in Castigliano, la sua lingua d’origine, i suoi versi pausandoli di trasparente dolcezza. Sanchez è innamorato della vita, dei suoi istanti, oltre i quali non vale la pena inoltrarsi; con Eraclito sente l’acqua del fiume che sfiora una volta sola, le stagioni che irrompono sul tessuto della storia per portarvi altre storie di vita, dove la “commedia” di tutti i giorni si mescola al tragico, e tutto vive nell’estensione del verso come in una poesia sulla poesia. 

“Spero di restituirmi serenamente al caos / come fosse un’altra poesia”. 
“Oggi m’ha preso di cantare/ e lo faccio zitto zitto/ in questa solitudine di poesia/ che è il mio canto. 

09/07/13

Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky a “Stasera parlo io all'Archiginnasio”. I pericoli “democrazia” e “oligarchie”

Stasera parlo io all'Archiginnasio è il titolo della rassegna estiva bolognese organizzata dalla Libreria Coop Zanichelli in collaborazione con la Biblioteca dell'Archiginnasio. Fino al 30 luglio, nell'elegante cortile del palazzo cinquecentesco progettato dall'architetto “Terribilia” (vero nome Antonio Morandi), si susseguiranno incontri-dialogo tra noti studiosi e scrittori con implicita presentazione delle loro recenti pubblicazioni. Il tutto all'insegna della volontà di far riflettere su temi attuali (politica in primis) e/o universali, unendo un taglio storico-filosofico a una dinamica affabilità comunicativa.

Alf Wilhelm Lundberg. Una chitarra norvegese nella Chiesa di Sant'Agostino

Il pezzo migliore di Alf Wilhelm Lundberg, quel Mannheim Love (se ricordo bene), non potrà certo mai competere in fama con la vecchia nostra Chitarra Romana, una delle più classiche canzoni/stornello italiane. Del resto Alf è di Trondheim e quello che suona è un chitarrone molto particolare, con tasti a trapezio e 8 corde (due La in più), tenuto in piedi e abbracciato come un violoncello, con tanto di puntale e disco metallico antiscivolo. E Mannheim Love non la puoi canticchiare, nemmeno “in sordina” e “sotto un manto di stelle”.

08/07/13

Il Festival del Cinema ritrovato. Ci sono reperti e reperti...

Quello che si vede nell'immagine, è un proiettore cinematografico muto, modello Splendor della Prevost. È datato primi anni '20, l'avanzamento della pellicola è a mano e i fotogrammi al secondo sono 16. Al Cinema ritrovato si è visto anche questo, un proiettore da commozione cinefila pura, con tanto di “camino di scarico” per l'ossido di carbonio prodotto dai “carboncini” per l'illuminazione della pellicola: nessun fascio di luce, al cinema, è stato mai come quello prodotto dai vecchi, indimenticabili, elettrodi o carboncini (cfr. Nuovo Cinema Paradiso su tutti).

07/07/13

Il Cinema ritrovato. Il suono della suspence: Alfred Hitchcock e Bernard Herrmann “letti” da Timothy Brock

L'uomo che sapeva troppo, Psycho, Intrigo internazionale e Vertigo: quattro colonne sonore scritte da Bern Herrmann per Hitch, quattro pagine indimenticabili nella storia della musica da film. Il mini concerto dell'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, prima dei fuochi artificiali tatiani sullo schermo, ha rappresentato la degna conclusione di un Festival che dà alle colonne sonore (restaurate o eseguite dal vivo) un peso quasi pari a quello delle immagini. E se a dirigere il concerto viene chiamato Timothy Brock, che fra tutti è il maggior esecutore di colonne sonore oggi al mondo, il conto è presto fatto e il risultato finale si può dare per scontato: un brivido continuo lungo la schiena (caldo permettendo).

06/07/13

Il Festival del Cinema ritrovato. Lo ricordate Jacques Tati?

E chi se lo ricorda, Jacques Tati? Persi fra quattro comici d'accatto dalla volgarità direttamente proporzionale alla loro scempiaggine, spesso dimentichiamo che perfino un film del 1936 e un altro del 1949 possono farci ridere a crepapelle. Non occorre attraversare l'Oceano a bordo del Titanic per imbattersi in alternative validissime ai Charlie Chaplin o ai Buster Keaton. Basta fare un salto a Bologna durante il Cinema ritrovato, e si rientra in contatto con un certo Jacques Tati, francese fin dentro il midollo ma con una visione della comicità universale, e ci si rende conto che si può anche ridere di una bicicletta che corre da sola o di un palo che non ne vuole sapere di star su.

05/07/13

Festival del Cinema ritrovato. Hiroshima mon amour 54 anni dopo: se Marguerite Duras...

Guai a parlar male dei “miti”: si corre il rischio di prendersi una pallottola in pieno petto. Il fatto è che non si stava parlando male di Hiroshima mon amour (operazione impossibile e un po' da mentecatti). La riflessione riguardava piuttosto il taglio che Marguerite Duras, nel ruolo di sceneggiatrice, dà al monologo tutto al femminile, lungo 92 minuti, che caratterizza il film di Alain Resnais e l'interpretazione ancora oggi stupefacente di Emmanuelle Riva. Come tutti coloro che amano il cinema ormai sanno, Hiroshima mon amour è una di quelle classiche pellicole che si presta alle interpretazioni più fantasiose.

Il Festival del Cinema ritrovato. Il giorno di Agnès Varda e di La Pointe-Courte

Eccola di fronte a noi. Ancora più piccola di quanto immaginavamo. Gian Luca Farinelli dice semplicemente “Agnès Varda” e il pubblico si spella le mani. La Pointe-Courte è il primo film della regista franco-belga, datato 1954 (uscito nel 1956). Dicono che rappresenti un accenno (magari inconsapevole) alla Nouvelle Vague che esploderà di lì a breve. Madame Varda dice, spiazzando tutti: “Non so cosa rappresenti questo film per la storia del cinema francese. Quello che so è che l'ho girato esattamente come volevo che fosse”. André Bazin scriverà: “La storia che ci racconta Agnès Varda è la più semplice del mondo, è una storia d'amore.

Bologna. Il Cinema ritrovato. A Piazza Maggiore “I proscritti” di Sjöström: un capolavoro datato 1918

Il fatto è che non ci scappa il termine “capolavoro” per un film da una decina d'anni, e l'ultima volta che lo abbiamo fatto ce la siamo dimenticata: non era evidentemente un capolavoro. Diverso, totalmente, il discorso del secondo film di Viktor Sjöström (il primo fu Terje Vigen del 1917), un grandissimo regista svedese uscito come nuovo da una operazione di restauro degna della massima lode. Berg-Ejvind och hans hustru, tradotto in italiano in I proscritti, figura ancora, con buona pace di Ingmar Bergman, al primo posto dei film più costosi della storia del cinema svedese, e lo si capisce vedendolo. Girato in condizioni estreme nel nord della Svezia, I proscritti narra “la storia di Ejvind (lo stesso Sjöström), un uomo in fuga dal passato e costretto a rifugiarsi sulle montagne con Halla, la donna amata, interpretata da Edith Erastoff che era, anche nella vita, la moglie del regista-protagonista”.

Spoleto. Festival dei 2 Mondi. E’ tornata una stella:“The piano upstairs”. Alessandra Ferri – Boyd Gaines

Mia moglie mi ha lasciato, e non so il perché…”. E’ l’inizio del viaggio del Marito dentro se stesso, a cercare le ragioni di un fallimento, le radici di un abbandono; un filo si dipana attraverso la parola che cerca, confessa, ricorda; all’altro capo del filo c’è lei, la Moglie, che danza e nella danza risponde, accusa. Lo scavo attraverso la parola è spietato, non meno del corpo di lei nel disegnare il dolore , l’abbandono, lo smarrimento. I due linguaggi si accostano si sovrappongono si fondono: metafora di due mondi interiori incapaci di oltrepassare la prigione che li separa.
Sceglie Spoleto, Alessandra Ferri, per tornare a splendere, e va in scena la perfezione.

04/07/13

Festival dei 2 Mondi. L'orchestra del Teatro Carlo Felice: così bravi da ridursi da soli gli stipendi

Quando, all’inizio, il brillante direttore presentatore Alvise Casellati confida al pubblico che questi suoi maestri orchestrali, per continuare ad esistere si sono perfino ridotti lo stipendio, m’è venuta in mente l’incredibile scena dell’orchestra della TV greca in lacrime in quello che per fortuna poi non è più stato il suo ultimo concerto. Poi la tristezza per un po’ svanisce, grazie alle intense e coinvolgenti interpretazioni della Manfred Ouverture di Schumann, del Concerto per violino e orchestra in Re maggiore Op.35 di Tschaikovsky, e poi Bach (solo violino), e poi ancora Schumann. Poi quel pensiero torna: se si sfaldano le orchestre come questa, cosa resterà?

02/07/13

Margherita Hack e i gatti di Spoleto. Gli incontri di Pier Giorgio Camaioni al Festival dei 2 Mondi

Non era il solito indolente sonno diurno. Il bel siamese adulto del Teatro Romano in Via delle Terme proprio ci ignorava, acciambellato in posa “invernale” sul suo millenario rudere sicuramente arroventato dal sole pomeridiano. Cercavano di richiamarne l’attenzione, oltre l’inferriata, anche altri spettatori in anticipato avvicinamento al concerto serale dell’Orchestra del “Carlo Felice” di Genova. Lui niente. Finto morto. Solo un occhio aperto - pensoso o triste - puntato su un preciso punto focale visibile solo lui. Non certo una stella, a quell’ora. O forse sì? Prima, in tarda mattinata, accasciato senza eleganza a bordo strada, sulla curva di Piazza Mentana, un giovane gatto delle foreste norvegesi, sofferente e malandato, sembrava volersi far uccidere dalle macchine di passaggio.

01/07/13

Festival dei 2 Mondi. Sogni Vicari con Pina Sambugaro e Giorgio Flamini

Nato come omaggio ad Antonio Tabucchi, il libro di Pina Sambugaro riprende lo schema ideativo di Sogni di sogni e, attraverso la finzione del sogno sognato, illustra i nodi essenziali del pensiero, dell’opera, di alcuni momenti essenziali del percorso compositivo di alcuni grandi Maestri della Letteratura occidentale, secondo una visione che, a sua volta, non può che risultare filtrata dalla "letteratura seconda" che oggi si interpone tra noi e l’Autore.