26/06/18

Il Pino Bar è STONEHENGE

       Non cè testimonianza diretta alle 5.48 il Pino Bar era ancora chiuso - ma il 21 giugno a quellora precisa diversi mattinieri di passaggio hanno sentito degli strilletti acuti provenire dallormai famoso nido di merli insediato nellultima A dellinsegna BAR GELATERIA del Pino Bar

        TCIUC-TCIUC Tsii CIE-CIECIE TCIUC CIECIE Tsii.. TCIUC-TCIUC

       Allora esatta del solstizio destate di questanno - le 5.48 - stavano nascendo i piccoli merli: il sole attraversava con raggi ancora orizzontali la pineta e si posava sulla facciata del Pino Bar, proprio sul nido in festa.

     Quasi nello stesso istante, nel sito neolitico di Stonehenge il sole entrava nel circolo di pietre dal suo ingresso di NE battendo sulla Heel Stone, il megalite posizionato proprio sullasse, mentre la gente ballava.

      Solo che qui cè un maestoso pino al posto del monolite, e sulla traiettoria dei raggi cè ora anche quel nido di merli, dove si è festeggiato il Nuovo Inizio come meglio non si poteva.

       Pino Bar è la nostra Stonehenge e il suo segnale cosmico è RESISTERE.

       E il Pino Bar ha in più i merli (grandi e piccoli) che si danno il cambio e gli fanno la guardia, Stonehenge non li ha 

       Dora in poi, ogni solstizio destate Maria darà una festa liberatoria.


PGC - 25 giugno 2018


Foto merlo di Daniela Volpiani

25/06/18

La città radiosa

OFFICINA TEATRALE 2017/18
Viaggio cosmico-letterario

Assassino senza movente (Tueur sans gages) 
di Eugène Ionesco

di e con
Vincenzo Di Bonaventura
e con Loredana Maxia

Ospitale delle Associazioni
Grottammare Paese Alto
21 giugno 2018  h21.15


La città radiosa


        Piove, stasera, dentro il celebrato e restaurato Ospitale: dal polistirolo delle controsoffittature stile  macelleria il breve scroscio estivo gocciola sugli attori, involontaria metafora di questa Grottammare, sorella della ioneschiana Città radiosa nella sua posticcia elettoralistica spettacolarità.

        Ed è ancora, con Di Bonaventura, appassionata testimonianza di un teatro lontano da padroni e schemi, lontano dal quel teatro mortale - nella definizione di Peter Brook - tradizionale e accademico il cui primo effetto è la noia

        È, il suo - e quello della ricerca avanguardistica di Artaud, Bene, Brook - teatro del soggetto-attore, che non impara il testo ma lo dis-impara, non lo prepara ma lo s-prepara, operando una sorta diattentato al testo che annulli la distinzione autore/attore e crei una diretta relazione fra attore e spettatore: così intensa e alchemica che questultimo, secondo Carmelo Bene, non dovrebbe poter mai raccontare ciò che ha udito, ciò da cui è stato posseduto nel suo abbandono a teatro

        Che sia il "Teatro immediato" di Brook o quello totale di Bene, esso è sacrale luogo di purificazione (nellutopia di Artaud) da cui lo spettatore può farsi travolgere e violentare, e il cui scopo non è rappresentare il mondo bensì trasformarlo; intorno al testo e alla sua infinita rappresentabilità, lattore si muove non saccheggiando bensì lavorando per sottrazione  - Rimuovere ciò che non è strettamente necessario e intensificare il resto -  con lobiettivo di mettere in scena quel che manca nella vita quotidiana

        Così, dice Vincenzo, lartista dis-impara il testo sottraendolo allefalde fangose del teatro-birignao; re-agisce con esso sul piano emotivo, lo trasforma (il testo è lattore, il testo è la voce, per Carmelo Bene) e i grandi artisti sono perciò stesso grandi improvvisatori - dunque autori - come Totò, Bene, Fo. 

Non fanno teatro, sono teatro: la teatralità esige la totalità dellesistenza.

        La macchina attoriale Di Bonaventura-Maxia vive stasera il testo di Ionesco per scarnificazione e intensificazione: raggrumati in uno solo i tre atti di Assassino senza movente, limplacabile climax si dispone in una sapiente geometria - dialogo iniziale, azione centrale e convulsa, inesorabile epilogo - di cui gli attori sono artefici più che interpreti.

        Con Di Bonaventura/Berenger (Età media, cittadino medio) e Maxia/Architetto-Funzionario (Età indefinibile, età da funzionario) è come venir messi per incantamento nel piccolo teatro parigino de la Huchette al Quartiere latino, dove Ionesco si rappresenta con continuità fin dalla metà di quel nostro secolo breve nella cui certezza donnipotenza lo scrittore vedeva naufragare ogni umanismo. 

        Lossessione della morte (da la quale francescanamente nullu homo vivente pò skappare), del suo inesorabile esserci-e-basta, dell' angoscioso incombere sulla tragicommedia esistenziale, è il fantasma che emerge prepotente dalla Città radiosa, dallartificioso splendore che copre la mistificazione e il delitto, la putrefazione dei corpi galleggianti nel lago. 

        Lorrore si palesa con discorsiva naturalezza - Vede quel laghetto? () È là, là dentro che se ne trovano tutti i giorni, due o tre; annegati. () Ce n'è addirittura tre, quest'oggi che al fluviale lirismo di Berenger oppone la banale logica di alienato buon senso dellArchitetto-Funzionario (“…Ci saranno sempre bambini sgozzati, vecchi affamati, vedove lugubri, orfanelle, moribondi () e massacri, e inondazioni, e cani investiti... Cosi i giornalisti possono guadagnarsi il pane. Tutto ha il suo lato buono. In fondo, è il lato buono che bisogna guardare).

        Nel precipitare dellazione verso il compimento - alle nostre spalle la rumorosa corsa di Berenger/Di Bonaventura alla ricerca di un gendarmeria ricorda il tumulto del Rinoceronte - Maxia ha ora le sembianze di Comare Pipa candidata politica - Allevatrice d'oche. Una forte personalità - arringante una folla ottusa e plaudente. 

        Da sotto il floscio cappello agita e sparpaglia i fogli del programma, del suo contratto (!) coi cittadini-elettori - Vi prometto di cambiare tutto. Per cambiare tutto bi­sogna non cambiar niente. Si cambiano i nomi, non si cambiano le cose. () Perfezioneremo la menzogna () e tutto sarà cambiato, grazie a me e alle mie oche. La tirannide restaurata si chiamerà disciplina e libertà (). Quanto agl'intellettuali... noi li metteremo al passo dell'oca! Viva le oche! -

        Nel tempo raggelato dellepilogo Berenger è solo con lAssassino, presenza immobile e ghignante, avviluppata nellenorme lugubre pastrano (opportunamente: sulla scena che si fonde con la vita, il soffitto continua a gocciolare). 

        Solo il suo ghigno sinistro risponde alleloquenza patetica, ai tristi luoghi comuni di Berenger che vorrebbe dissuaderlo dal crimine - Forse uccide tutta questa gente per bontà! () Forse vuol guarire la gente dall'ossessione della morte? () Lei vuole probabilmente praticare una sorta di euta­nasia universale? () Lei è un essere umano () lasci stare la gente, la lasci vi­vere stupidamente

        Il disperato Mio Dio, non si può fare niente!... Che cosa si può fare?... Che cosa si può fare?... del cittadino-medio Berenger, mentre il colpo dellAssassino sta per abbattersi anche su di lui è la resa: lassurdità del vivere e del morire, schiavi di forze e volontà indipendenti da noi stessi, è la sola certezza.

        Il teatro è una discesa agli Inferi, le mie paure sono quelle degli altri, dirà Ionesco; e nella distorsione grottesca, violenta, eccessiva della realtà e del quotidiano che sulla scena si realizza, forse come lui possiamo trovare il coraggio di guardare in questo baratro e riderci sopra


Sara Di Giuseppe - 23.6.2018


24/06/18

La “STANZA AZZURRA”

        Ispirato dai surreali esiti di plumbee vicende grottammaresi, ho deciso. 

        Mi faccio anchio una stanza azzurra, così posso farci quello che mi pare.

        Come si dice, nel rispetto della legge: superficie minima 15 metriquadri, niente finestre agibili né mobili contundenti (meglio vuota senza neanche una sedia), porta solida con serratura non apribile dallinterno. Per il colore non so, finirà che andrò sullazzurro, per stare sicuro.

        Per scrupolo la sto insonorizzando, il vicinato stia tranquillo. Ho comprato pure cimici e microcamere, verranno i carabinieri a posizionarle.

        Per ora non ho idea, ma dentro potrò finalmente farci le peggio cose, sicuro sempre distare nel giusto, come i noti fatti insegnano.

        Accerterannopercosse, segregazione? Gireranno filmati? Registreranno lamenti e urla? Sentiranno testimoni? Faranno accurate indagini, lunghe pure 4 anni? Mi convocheranno al tribunale di Fermo? OKKEY! Converranno che è stato tutto fatto nel giusto (sic).

        La mia stanza azzurra la chiamerò ALICE.


PGC - 22 giugno 2018


20/06/18

1 TEATRO + 9 CHIESE = 10 TEATRI

[Quasi una proposta indecente]



        Nel cuore di Ripatransone, il grazioso teatro storico Luigi Mercantini restaurato ma sempre chiuso (per visitarlo, dalle-ore-alle-ore, chiedere la chiave allUfficio Turistico e 1 euro anzi 1 e 50); sparse nel paese invece, svariate antiche chiese, grandi piccole belle brutte ma tutte inesorabilmente chiuse (niente chiavi), tranne un paio mediamente funzionanti [scusate limprecisione, non sono del ramo]. Non puoi entrarci neanche a pregare. 

        Questa è appena una parte delleccezionale patrimonio culturale e religioso ripano, lasciato in colpevole abbandono, in un territorio che ha urgente necessità di ripartire - ma nessuno sa come - invertendo la tendenza depressiva generale. Ai nuovi amministratori, dunque, intenzionati lo si spera ad inserire nel loro programma idee originali, fruibili e disinteressate, propongo questa folle (ma non tanto) operazione di marketing culturale:

1 TEATRO + 9 CHIESE = 10 TEATRI

[lo si potrebbe chiamare teatro diffuso, variante culturale dellalbergo diffuso sperimentato con successo in territori vicini, con recupero e valorizzazione dellantico]

        Unvero teatro intanto cè, basta tenerlo sempre aperto e fruibile. Poi, fra le tante inutilizzate che dicevo, scegliere 9 chiese da attrezzare permanentemente a teatri, in maniera minimalista: dagli interni via solo i banchi, da sostituire con tribunette in tubi Innocenti, si può ricavarne da 30 a 150 posti circa, dipende della grandezza della chiesa. Una mano di bianco dove serve, il resto non si tocca: restano chiese, nome compreso, ma aperte.

        Non è semplice. Ma è fattibile se cè volontà, perché gli ingredienti ci sono tutti. Loperazione va studiata e programmata qui cascano i politici anche e soprattutto sui diversi piani della comunicazione, dello stile e dellimmagine, per proiettare rapidamente Ripa nel fitto panorama culturale almeno nazionale: chi altri può crearsi 10 teatri (non tendoni da festival) da offrire per manifestazioni di Cultura (musica teatro danza letteratura e arti varie, sport esclusi!) tutto lanno?

        Ci sono casi isolati e felicemente riusciti (Spoleto, Ascoli, Praga) di chiese, anche malandate, riconvertite occasionalmente: nessuno ha ancora provato a farlo in numeri più grandi su un paese piccolo, e tutto lanno.

1 TEATRO + 9 CHIESE = 10 TEATRI

       Sarebbe un marchio da registrare: una provocazione certo, ma utile anzi indispensabile ad un paese ricco ma morto. Ripa ha la storia, larchitettura, le chiese e pure una propria Banca allapparenza seria e solida, mica il Monte dei Paschi. E ha ripani entusiasti operosi ed esperti, basterebbe prendere in blocco quel quartiere e metterlo al centro del progetto e dei lavori.


PGC - 19 giugno 2018


12/06/18

Un Tesoro senza prezzo

       Il grande cruccio del nostro Paolo De Bernardin era quello di non sapere a chi consegnare quel suo Tesoro: dischi a migliaia, raccolti in decenni di amorevole ricerca, di ascolto, di studio e lavoro. Temeva, a ragione, che potesse andare irrimediabilmente disperso.

       Chi poteva capirne il grande valore storico e culturale?

       Chi avrebbe saputo catalogarlo e proteggerlo?

       Chi disponeva di spazi adeguati, da attrezzare non certo come un museo?

       Chi avrebbe coraggiosamente investito e disinteressatamente offerto alla collettività il privilegio di assaporare dischi da tutto il mondo, selezionatissimi, e certamente rari o introvabili?

       Chi credeva realmente nella musica fatta non solo di Classica o di canzonette?
     
       Chi, incitato da una passione infinita come la sua (quasi una malattia), avrebbe continuato la ricerca, arricchito e incrementato questo Tesoro?

       Degli amici che lo ascoltavano, qualcuno gli dava vaghi consigli, qualcuno gli diceva brutalmente di vendere, qualcuno sminuiva la sua preoccupazione, qualcuno tirava via, gli diceva di non pensarci, per scaramanzia 

       Così Paolo, quasi da solo, non poteva che percorrere le solite strade: Istituzioni, Comuni, Banche, Fondazioni, Teatri, Conservatori, Istituti Musicali, Editori, collezionisti sensibili e affidabili (non famelici e spietati) Ma nessuno ha capito il regalo che gli si proponeva. Finchè, laltro giorno, a Paolo è scaduto il tempo.

       Ora il suo Tesoro indivisibile e senza prezzo è in pericolo.

       Gli amici, che non seppero o non vollero aiutarlo a trovar soluzioni, vigilino - almeno adesso - sulle mani adunche e ignoranti sempre in agguato.



PGC - 11 giugno 2018


10/06/18

Giù il sipario

OFFICINA TEATRALE 2017/18
Viaggio cosmico-letterario

 L Mal de Fiori di Carmelo Bene

 di e con 
Vincenzo Di Bonaventura

 Ospitale delle Associazioni
Grottammare Paese Alto
7 giugno 2018 h21.15


Giù il sipario


Delle mie ceneri fate quello che volete, ci dicesti, magari una bella crostata per colazione
(G. Dotto,  Elogio di Carmelo Bene,  2012)



        Il sipario scende il 16 marzo del 2002 sulla vita di Carmelo Bene: vegliato dal miagolio dei gatti, la mano - la mano stanca di un gigante - in quella dellamico fraterno e biografo Giancarlo Dotto. Che ricorda come il proprio funerale Carmelo volesse celebrarlo da vivo, al sessantesimo compleanno - nel 97 - vestito di bianco. Una cerimonia che non si fece mai perché nel frattempo sei morto e da morto il funerale non aveva più senso farlo.

      Un altro ideale sipario si alza stasera per noi, sullo spazio scenico dal quale Di Bonaventura sapientemente riannoda i fili esistenziali e artistici di un Carmelo Bene oggi più che mai vivo. 

       E non è più soltanto Recital, questo addentrarsi nel sontuoso Labirinto orfano del Minotauro che è il poema L mal de fiori. Poiché lattore vi aggiunge la ricchezza dellamicale conversare che precede e conclude, contenitore di narrazioni che trattengono noi suo pubblico avvinti e incuranti dellora: gettano un cono di luce sul versificare spesso arduo; illuminano larchitettura di un linguaggio poetico fastoso che produce incanto; ricreano i fotogrammi di unepoca che vide incrociarsi, in tempo e spazio brevi, ingegni e vite dalla luminosità di comete. 

       Incalzanti sequenze narrative in cui intravvediamo Albert Camus incontrato a Parigi che deluso dagli interpreti del suo Caligola, gliene cede i diritti purché sia lui, Carmelo ventiduenne, a interpretarne il protagonista e in cambio vuole solo una poltrona in prima fila; lesordio con un parterre de roi in teatro, e un po dopo il padre che lo seda e lo fa rinchiudere una quindicina di giorni in manicomio, come si usava allepoca (fu anche lesperienza di Campana, poeta amatissimo, la cui musicalità si ritrova nei versi beniani); e il Teatro Laboratorio da 26 posti in unex falegnameria a Trastevere, cortile al n.23 di San Cosimato (subito pensiamo allaffettuoso TheatrLaboratorium Aikot da 27 posti di Di Bonaventura!); e i Moravia, Pasolini, Morante, Visconti, Flaiano ecc. che vanno a vederlo in scena; il rapporto complesso col grande Eduardo; e poi il successo anche di pubblico; e lassoluto capolavoro di quel Bene! Quattro modi diversi di morire in versi: Majakovskij Blok Esènin Pasternak; quella Lectura Dantis nell 81 dalla Torre degli Asinelli a Bologna per lanniversario della strage e in duecentomila ad ascoltarlo, una sera di caldo scirocco in cui lartista chiedo scusa per il vento, dice alla fine.

         E le ardite manipolazioni (le chiamava variazioni) dei sacri classici teatrali; le costanti invettive contro la critica militante e i giornalisti ignoranti (li vedesse oggi), contro quel Ministero dello Spettacolo che chiamava lo spettacolo del ministero; e tutto si perdonava a quel guru intellettuale che era, indomito sperimentatore, vulcanica avanguardia della ricerca teatrale contemporanea, che sarà poi acclamato Poeta dellImpossibile dalla milanese Fondazione Schlesinger creata da Eugenio Montale. 

       Balenano, tra colloquio e aneddotica, i pilastri della poetica beniana e della sua visione di teatro: che fu  lotta contro il naturalismo e la drammaturgia borghese, contro il teatro di testo e limmedesimazione dellattore in un ruolo, a favore di un teatro del soggetto-attore, macchina attoriale (così definiva se stesso) in cui lattore sia Artifex, artefice di tutto come lui, autore regista attore scenografo costumista - e teatro egli stesso, hic et nunc. E limpareggiata sua ricerca intorno alla phoné, sistema unico che nella visone di Bene comprende, inscindibilmente insieme, voce attoriale cavità orale, corde vocali, contrazione diaframmatiche - e macchina, quindi amplificazione, equalizzazione ecc.

       La lezione di Bene sullarte attoriale rivive oggi nellattore-solista che dal leggio - sua personalissima Cava Rossa - alterna i versi stroboscopici de L Mal de Fiori a stralci della biografia in forma dintervista: felice regia che scolpisce in altorilievo la statura di un vero artista-veggente (come è stato definito), lultimo forse in cui vita arte opere si saldano in rapporto osmotico e fecondo. 

       Specialissimo il tessuto sonoro - virtuoso duo di fisarmonicisti finlandesi - che dal poderoso impianto acustico colora il verso e ne estrae la potenza. E se anche la voce-orchestra di Bene non è qui, Vincenzo magicamente ricostituisce quella che Dotto chiamalalleanza tra lelemento musicale e cantato con lelemento vocale inventato, creato, reso necessario (in Vita di Carmelo Bene, 1998).

      Ne L Mal de Fiori è loralità che si fa scrittura (il morto orale che è lo scritto) e il poema ricava la sua musica dal formidabile apparato di soluzioni espressive, crogiuolo di arcaismi, idioletti, neologismi, francesismi, ispanismi ecc. Vero mosaico plurilinguistico - lo chiama Sergio Fava nella sua presentazione - ipnotico magma in cui la voce Voce mia tua chissà   esprime lassenza, il vuoto delle cose mancate. 

    È L Mal de Fiori infatti, poema della nostalgia delle cose che non ebbero mai un cominciamento (Noi non ci apparteniamo. E l mal de fiori / Tutto sfiorisce in questo andar chè star / inavvenir ) e della loro assordante assenza; è liturgia dellaltrove e coscienza dellimpossibilità di collocare la vita nel tempo, perché Nel sogno che non sai che ti sognare / tutto è passato senza incominciare e scrive il poeta nellauto-intervista - il passato è niente anche laddove silluse a essere presente.

        Così il corpo materiale, il traumato soma che ci imprigiona, vive in una sorta di dormiveglia la nostalgia della non-vita (Ciò che mi ossessiona da sempre è la nostalgia dellinorganico), del tempo prima dei fiori. E assenza e mancanza anche lamore, dialogo impossibile, distanza totale che il poeta viviseziona e spietatamente degrada in fisicità esasperata e grottesca, che sovverte ogni idea di amor cortese nel momento in cui ne ricalca le forme linguistiche di matrice provenzale.

       Nel paradosso esistenziale (Nessuno è autore di qualcosa. Siamo copie senza originale) in cui vaghiamo come naufraghi Tu che non sei che non sarai mai stata / il mal de fiori presso allo sfiorir / dolora in me nel vano chè lattesa / del mai più tornare anche il linguaggio altro non può essere che vani smarriti soffi rauchi versi / prescritti da un voler che non si sa disvoluto / e lunica conclusiva realtà è il nostro non appartenerci (Orrifica è lumana / scriventesi la specie).

    Non è solo lamico che ci manca, ma quella voce () che era la nostalgia di tutto ciò che abbiamo perduto senza avere mai avuto, scriveva Giancarlo Dotto. Ma quella voce chestrappava la pelle risuona ancora nel nostro tempo sfocato, e pur se non sapremo mai abbastanza di lui, sappiamo stasera che il nostro attore-solista ci ha restituite intatte, di quella voce e di quellarte, la vertigine e la bellezza.


Sara Di Giuseppe - 9 giugno 2018




04/06/18

Musica dello spirito dal nordico design

APP/ASCOLI PICENO PRESENT   
3° festival delle arti sceniche contemporanee

Omaggio ad ARVO PÄRT  direttore Marco Berrini

FORM ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA
VOCALIA CONSORT / VOX POETICA ENSEMBLE

ASCOLI PICENO
Chiesa di SantAndrea   
25 maggio 2018 H18.30


MUSICA DELLO SPIRITO DAL NORDICO DESIGN


        Fa caldo, nel disadorno contenitore di SantAndrea, muri severi e strappi daffreschi di antica bellezza, finestre irraggiungibili nate per restar chiuse; boccheggiamo tutti: i due cori direttore e orchestrali pigiati laggiù come tonni, e noi sulla rustica tribuna inclinata fatta col Meccano.

        Ci sarà subito chiaro che nè valsa la pena. QuestArvo Pärt, contemporaneo e vivente, la sua musica algoritmica tra il sacro lintimo lo spirituale e il mistico - trascendentale ma certo non sbrigativamente classificabile da chiesa come ben illustra nel programma Cristiano Veroli - questo algido estone, apre ben altre e non materiali finestre, che ci rinfrescano.

        Dalle quasi metafisiche, eppure mai criptiche sue composizioni ci balza incontro la vasta, complessa, e non solo musicale, cultura russo-baltica di quel nord-est europeo. Ed è immersione totale in aspetti di quella società di quel secondo novecento, pure con lesplorazione indotta - attraverso le caratteristiche e le atmosfere dei suoni - dellambiente, dellarchitettura e del design. 

        La musica di Pärt, fatta di suoni lunghi lunghissimi - sembrano prodigiosamente muoversi sul posto (sulla stessa nota) - incanta sì, perché con sapienza manovra le classiche o tradizionali tecniche compositive occidentali musica con radici, quindi ma più perché impercettibilmente se ne allontana, e ricerca altri spazi di manovra e di vita. 

       Composizioni come costruzioni di strutture acustiche ardite ma naturali, essenziali comprensibili e democratiche; dove bastano gli archi a fornire intensità e forza, e le voci dei cori a esprimere il sentimento [saggiunge di rado la campana]; dove la melodia, sempre un po nascosta, è una risultante matematica perfetta; dove la velocità non esiste perché non serve.

        Cè della statica in Pärt, come nel Funzionalismo e nel Costruttivismo russi. Ma di leggera elegante solidità, forgiata con quieta rassicurante fantasia. Architetture musicali che sollecitano il pensiero, danno intimità perfino religiosa, generano benessere, sicurezza, pace.

        I suoni non fuggono: sintersecano come rami o rimangono sul posto indispensabili e belli. Si curvano nel tempo, si stendono, quasi evaporano, vanno vengono ritornano come le nuvole di De André. Non finiscono.

        Evocano quelle coperture sinusoidali in legno chiaro ondulato che in certe opere pubbliche minimaliste nordiche (che non hanno bisogno di dichiararsi artistiche) attirano e conservano la luce senza mai annullarla: senza neanche un grammo di cemento, rasserenano lo spirito solo a guardarle, danno energia, fiducia.

        Arvo Pärt, nel suo spaziare dal Classicismo romantico al Jazz, forse è stato il primo ingegnere del suono, forse è stato il primo designer di musica.

 Pärt è parte di noi.


PGC - 31 maggio 2018