26/12/22

Povera Patria, mettono la fiducia sull’Era del Cinghiale Nero

 

Per i Cinghiali Bianchi invece ci saranno i fucili da caccia

Li abbatteranno mentre cercano di sfamarsi vicino ai cassonetti sazi

Poi  verranno pure mangiati dai Cinghiali Neri che si son presi la fiducia

Una legge idiota 

Perfetti e inutili buffoni

 

          Spero che ritorni presto l’Era del Cinghiale Bianco

          Sarebbe come trovare l’alba dentro l’imbrunire

          Avere una Prospettiva, non dico Nevskij, ma accettabile

 

Ma non cambierà, non cambierà

Povera Patria

 

 

[Non so voi, io mi sento un cinghiale bianco]

 

 

23.12.2022             PGC  [con Franco Battiato] 

23/12/22

“Il Natale di Giovannino”, una nuova magia di Antonio De Signoribus

 

     La fiaba dello scrittore filosofo Antonio De Signoribus dal titolo  “Il Natale di Giovannino” ora è anche un libro. Un bel libro dalle tonalità decisamente fiabesche. “Una fiaba di Natale che si rispetti – scrive Susanna Polimanti, nella prefazione al libro di Antonio De Signoribus - deve scaldare il cuore e De Signoribus con la sua intuizione animistico-magica ci spalanca orizzonti di sogno in un volo fantastico che approda nella nostra anima e nella nostra essenza più pura, per stimolare la nascita/rinascita della nostra parte migliore e per rendere l’esperienza fiabesca maggiormente coinvolgente”. È una bella storia simbolica, toccante, magica, misteriosa, prodigiosa, che lascia con il fiato sospeso, scritta da un vero Maestro di letteratura fiabistica internazionale. 

    La fiaba, pur seguendo l’andamento e il ritmo di una storia tramandata oralmente, nei fatti, però, è la fantasia incredibile del suo autore a farla da padrona, perché “viviamo, per dirla con un Carlos Ruiz Zafon, in un mondo di ombre e la fantasia è un bene raro”.


    Libro da leggere o da raccontare in queste belle e lunghe serate festive.

Antonio De Signoribus

23 dicembre 2022
 

22/12/22

Caro autista, torna a finire il lavoro


Lungomare di Grottammare. 

Giorni fa sul ponte di Tesi’ un camion addormentato ha fragorosamente divelto una delle inquietanti grandi forche di ferro che da anni teneva impiccati certi cartelli di limite d’altezza. CRASH! Per chi ha visto la scena è stato uno “spavento di felicità”! Svegliatosi di botto, il bravo autista è pure sceso a controllare il lavoro fatto, prima di proseguire soddisfatto verso nord.  

E’ stato un gesto d’amore. Ma questo lavoro così ben iniziato ora bisogna finirlo: lì vicino, la forca gemella della carreggiata sud, dove continua la ballata degli impiccati che tirano calci al vento, quanto sarebbe cosa-buona-e-giusta e nostro-dovere-e-fonte-di-salvezza, svellerla per Natale!

Caro autista sconosciuto, pensaci ancora tu. Il lavoro lo conosci, inutile chiedere a qualcun altro. Abbiamo visto che sei coscienzioso e poi non costi niente. Magari a tempo perso, guidando a zig-zag a ritmo di swing, potresti anche - con la consueta leggerezza - divertirti a falciare la foresta di cartelli stradali storti infilzati a bordo strada sui marciapiedi vicini: furono messi per dilapidare soldi pubblici, creare pericoli e rompere i coglioni. Riceverai applausi.

Vedi tu. Ovvio che se ti si scortica un po’ il camion, i cittadini di Grottammare e dintorni fanno una colletta e te lo riverniciano. Comunque grazie e buone feste.

P.S.  Ah, per ricordare ai posteri le tue gesta ti intitoleremo sul ponte di Tesi’ una targa d’oro, avrai anche una menzione speciale a Cabaret Amore Mio, e ti proporremo come “Grottammarese dell’anno”. Chi meglio di te. Resterai anonimo, promesso. Ma possiamo almeno mettere la targa del camion?

 PGC - 22 dicembre 2022



SERIAL LOVER ovvero Della solitudine

SERIAL LOVER

ovvero

Della solitudine 


“DON JUAN”

Compagnia  ATERBALLETTO 

Coreografia Johan Inger

Musica originale Marc Alvarez

 

Teatro delle Muse 

Ancona – 17 dicembre 2022

 

 

¿Quién soy? Un hombre sin nombre”.

(El Burlador de Sevilla y convidado de piedra – Tirso de Molina, 1630)





  

Millesettecentottansei, le versioni del Don Juan nei secoli - a partire dal suo prototipo letterario, il dramma secentesco di Tirso De Molina, 

El Burlador de Sevilla y convidado de piedra”- secondo la ricerca, datata 1965, di un volenteroso filologo della Virginia. 


Altre versioni, chissà, potrebbero esservisi aggiunte da allora.


Questa, del coreografo svedese Johan Inger, affidata alla drammaturgia di Gregor Acuña-Pohl e alla magistrale interpretazione dell’Aterballetto, è certo di estrema, quasi provocatoria modernità; perché il linguaggio coreografico ha qui il compito non facile di narrare e disegnare al tempo stesso tortuose dinamiche interiori, di spingersi fino ai recessi oscuri dell’anima; e perché le chiare implicazioni freudiane ispirano una scrittura teatrale fuori dai cliché letterari e musicali consolidati nel tempo intorno al personaggio-enigma per eccellenza. 


Archetipo del grande seduttore ma non del grande amatore - non l’amare ma la conquista in sé lo attrae: emblematicamente nell’opera letteraria egli attinge, nel definirla, al campo semantico della guerra - il Don Juan di Inger, interpretato con intensa fisicità dall’eccellente Saul Daniele Ardillo, ha nella madre, e nell’abbandono di lei, la radice della propria anaffettività, della serialità amorale delle sue conquiste - forse solo divorante inappagata ricerca della figura materna - e del solitario e folle, conclusivo, precipitare nell’abisso.

 

È la madre il “convitato di pietra”: è lei che scompare nell’incipit - “era scritto nel mio destino” è la voce dolente voce fuori campo - per ricomparire, opprimente e inflessibile, nel finale, giudice della dissolutezza di lui; lei a sostituirsi alla giovinetta stuprata; lei ad allontanarsi un’ultima volta dal giovane - inorridito ma non redento - che danza la propria autodistruzione sotto una pioggia di cenere in un oscuro sabba di creature demoniache, gettate a terra le ali d’angelo con cui ha ingannato e sedotto l’ultima vittima, l’adolescente Ines.


Neppure Leo/Leporello, amico e “specchio” di Don Juan - a volte complice, a volte giudice, di fatto il suo doppio - è in grado, per la sua stessa ambiguità, di penetrare davvero le ferite di quell’anima e di farsi sua coscienza morale.

 

Su una scena nuda di arredi, solo occupata da parallelepipedi in continua metamorfosi - pareti, alcove, muri da cui precipitare nel nulla - la danza disegna eloquente le relazioni e gli inganni, la seduzione come beffa, l’amore come predatoria conquista e l’eros, infine, che celebra il suo connubio con thànatos trascinando il seduttore nell’abisso.


Tessuto narrativo, questo di Acuña-Pohl, che nella coreografia di Inge e nel magnetismo della partitura musicale si dispiega in quadri ora chiaroscurati ora trionfanti di luce e colore; l’intensità dei danzatori – interpreti a tutto tondo – è trascinante e quasi bacchica nella coralità delle scene di festa, vigorosa e sensuale negli echi folklorici, nelle maschere, nell’eleganza seduttiva e ambigua dei riti sociali; ed è struggente nel tratteggiare la disperazione e la perdita quando, nel gioco spensierato e giovanile dell’eros, il seduttore seriale distende la sua insaziata sete di conquista, il famelico peregrinare di seduzione in seduzione lasciandosi dietro deserto e dolore.

 

Saranno le figure femminili ingannate e vinte, a suggellare la solitudine e la rovina finale: accolte dalla madre che è giudice e convitato di pietra, la loro silenziosa scomparsa dietro quei pannelli eretti a muraglia segna la definitiva sconfitta. Scaduto ormai il tempo di cui s’è preso gioco (“C’è ancora tempo!” suole ripetere il Don Juan di De Molina) nessuna catarsi attende il protagonista, e nel suo inabissarsi egli torna oggi, anche per noi e ancora una volta, nel mito: come fa ormai da secoli, paradigma di irrisolto conflitto - appannaggio esclusivo dell’umana specie - fra luce e tenebra, fra male e bene. 


  https://www.youtube.com/watch?v=NgOQBCoBXKw

Sara Di Giuseppe - 21 dicembre 2022

Le foto appartengono ai rispettivi proprietari e hanno il solo scopo di corredare il testo
 

12/12/22

Quando un Vigile con la pistola incontra una pecora, che fine fa la pecora?

 
     Temevo questa domenica ripana, con le immobili pecore del presepe in sosta vietata in Piazza Condivi (a lato del Duomo) alle prese col solito vigile-pistolero dei leopardiani Monti Azzurri in “servizio armato” lungo il Corso e in piazza.

     Ma il nostro Vigile con la pistola oggi non s’è visto. S’è perso nella nebbia? Magari ha ri-bucato; o forse ha preferito la toilette di un Bar dello Sport; o forse…

     Ad ogni modo, per oggi le nostre pecore sono salve. Certo, impossibilitate a fare un passo, non sarebbero scappate e il vigile-pistolero le avrebbe sparacchiate facile, accoppando pecore agnelli capre cani-pastore e forse pure il pastore. Come quando lo fanno allenare al poligono contro sagome umane, dove di sicuro è bravo a far centro. Se no niente pistola.

BANG - BANG       BANG - BANG       BANG - BANG
 
     Però attento: qualche volta, “anche le pecore nel loro piccolo s’incazzano”
 
     Ma anche no, a Ripa.
 
 
PGC - 11 dicembre 2022

10/12/22

Canalizzando s’impara

      Chi l’avrebbe immaginato che si risolveva semplicemente “canalizzandolo”, l’enigma-BALLARIN.
 
      Ma stanziando (dilapidando) 139.000 euro sull’unghia per la parcella al “famigerato” (come ha scritto qualcuno...) Dott. Prof. Archistar Guido Canali, abbiamo imparato anche questo. E anche che 139.000 pare molto meno di 140.000: è psicologia da mercato, bellezza. 

      Nel centro dello spazio-Ballarin, il Canaletto (pardon il Canali, nomen omen) propone infatti – fra molto altro - “una CANALETTA d’acqua che colleghi una piccola cascata su uno specchio d’acqua davanti al bar e ai pergolati”, perché “l’acqua rappresenta una sorta di convivenza tra costruito e vegetale”. Apperò! “Specchio d’acqua a spessore minimo (3-4 cm) con fondo nero che diventa uno specchio e dà l’effetto lago” - ma tu pensa - “più una cascatella e motivi con spruzzi comandati da programmi e dinamici (sic) amatissimi  d’estate per contrastare la gran calura”… “più nebulizzazione con ugelli da cui escono nuvole di nebbia affascinanti [?] e anti-zanzare” [ah bè, allora…]…  

Mmm, ve l’immaginate?  Non so voi, io sto collassando.

      E che dire (bonificando disperatamente qua e là - ma non sempre è possibile - l’allucinogeno archi-italiano dell’archiCanali) dell’Agorà del blocco centrale; degli argini laterali aiutati da un muretto di calcestruzzo ma ad onde sinuose così da non sembrare una muraglia, rassomiglianti ai calanchi che affiorano dalle colline come speroni, come relitti…; e dei veli verdi d’alloro [veli verdi d’alloro!?] fascianti da sembrare volumi astratti vegetali…; e del piccolo padiglione ombreggiato con caffè di 60 mq. [gli archistar sono precisi al centimetro]; e dell’accogliente punto di ristoro dove poter sedere e leggere libri e giornali…; e dello scheletro della gradinata sud trasfigurata e spolpata come fosse una struttura del secondo dopoguerra (le conferisce dignità)[!] e quindi vegetalizzata [vegetalizzata?] con rampicanti e oleandri come una scultura vegetale [ohibò, niente palme?]; e dei pannelli solari – ma non mi dire – piazzati a sud ma anche dappertutto…; e della fascia con diverse viabilità con funzioni di servizio come quelle del deposito di una villa (quindi spazio più nobile e pulito) [?!]…; e dei giochi per bambini anche piccoli [!] con annessa altalena coperta di rampicanti (wow!) oppure uno scivolo, o una teleferica, sotto gli occhi vigili delle madri [i padri, questi sconosciuti] in tribuna tra corbezzoli [però, corbezzoli!] e giochi di colore…; e un bel campo di bocce, tra un pavimento di lastre di legno e ghiaia arrotondata tenuta ferma da una rete di alveoli sottostanti… …  E ancora via canalando.  Scusate, prendo fiato.

Puro delirio.

Eppure archistar Canali prometteva bene, annunciando in partenza: “Questo spazio non diventi un’area erratica e straniata in una zona piuttosto densa”… “Questo (mio) è un progetto senza fuochi d’artificio […], un parco urbano tagliato su misura, che ha fame di natura, che ha affezione per la natura! Con bassi consumi, di bellezza unica… uno scrigno che incanta”!  Quando si dice la modestia. E la coerenza…

      Io penso: se questa idea-progetto fosse un testo teatrale sarebbe una pièce tragicomica; se fosse la sceneggiatura di un film di fantascienza conquisterebbe all’unanimità l’Oscar; se fosse un difficile caso di confusione mentale figurerebbe a buon diritto nelle pubblicazioni scientifiche sul disagio psichico; se fosse… …   Eppoi così a buon prezzo: 139.000 euro adesso, milioni di milioni quando sarà. Praticamente regalato, signora mia.

       Un dubbio: e se invece del famoso archistar d’antan irresistibile encantador di platee d’auditorium, avessimo chiamato uno dei nostri valenti giovani operai-paesaggisti-giardinieri, a 9 euro all’ora?
 
 
PGC - 9dicembre 2022

28/11/22

Generosità di Gatto

 

“MY SECRET PLACE”

Roberto Gatto quartet

Alessandro Presti (tromba)  Alessandro Lanzoni (piano)  Giulio Scianatico (Contrabbasso)  Roberto Gatto (batteria)

ASCOLI PICENO  -  COTTON LAB  -  18 novembre 2022  h21

 

     MY SECRET PLACE, il subliminale studio-pensatoio di Roberto Gatto, lo immagino come di sicuro è: uno spazio franco, protetto, isolato il giusto, di forma geometrica essenziale, dal tetto sghembo. Tutto rosso. Sobrio, minimale esegreto, dall’aria magnetica. Con tanti strumenti (ma i violini no). E, dentro, Gatto che suona leggero la sua batteria, vibra con lei, pensa, sorride…  Solo lui. La porta socchiusa, fuori notte nera.

Ecco, arrivano quei tre. Passi felpati. Si guardano intorno circospetti, poi - senza chiedere - si scelgono gli strumenti, si accoccolano e fanno musica. Chissà “cosa”. Ma è Jazz, si capisce, che un po’ ne inventano all’istante loro stessi, ispirati. Gatto li guarda-in-ascolto come un gatto: sorveglia cosa combinano, quei loro “giochi”... Credo li annusi. Poi va a chiudere la porta. Questi giovani “gatti” son proprio bravi, me li tengo.

     Ma, complice Gatto e il suo nuovo quartetto, stasera pare un SECRET PLACE pure il Cotton Lab: questo caro scatolone geometrico col tetto piatto non sghembo e neanche rosso. Avrebbe di regolamentare solo la “notte nera”, fuori. Tuttavia - almeno 2 volte al mese - è forse (non forse) l’unico posto giusto per gli irriducibili del buon jazz che “non si rassegnano a subire l’orrenda omologazione musicale dei tempi“ (copyright Roberto Gatto). 

Roberto Gatto qui non è nuovo, ci è venuto a suonare molte volte, con gruppi diversi, con colleghi musicisti di fama. E’ un gatto di casa. Lo vedi dalla sicurezza con cui si muove e cammina, da come si guarda intorno, da come ci guarda. Oltre che da come suona: sempre sereno, fluido, mai uno scatto inutile, niente funambolismi. 

Comanda la sua batteria come una macchina alla Munari, senza frenesia. Lo stesso i suoi musicisti. E non è jazz facile, standard, prevedibile. 

 

Questo quartetto sembra una piccola giovane colonia di gatti guidati da un maturo gatto saggio. Freschezza, fantasia, agilità, bravura (mai ostentata), sentimento, libertà, bellezza, generosità. Anche quella generosità di Gatto a fine concerto: le commosse parole di amicizia e riconoscenza per i tanti suoi colleghi con cui ha suonato qui al Cotton, li abbraccia circolarmente con lo sguardo, sulle decine e decine di manifesti alle pareti dei passati concerti, “eh, molti non ci sono più”. 

      Anche confidenzialmente “generoso”, se si osserva la sua firma sul rosso CD: appena accennato e un po’ nascosto, quel fuggevole birichino gatto-musicista...

 

foto di Ronan Chris Murphy

PGC - 26 novembre 2022



21/11/22

IL VIGILE-PISTOLERO HA BUCATO

  

 

[Questa è cronaca]

Ripatransone centro, domenica 20 nov., esterno giorno, h 10.20, nuvoloso variabile, vento leggero, 11°C.

     Eravamo preoccupati: il vigile-pistolero “esterno” ancora non si vedeva a piazzare i divieti di accesso al Corso e in Piazza Condivi. Mai aveva tardato nelle domeniche precedenti, pur sorbettandosi ogni volta i 91 km da San Ginesio di Macerata (e altri 91 al ritorno). In Panda o in Peugeot. Una faticaccia venire quaggiù in trasferta, ma anche rischio e sprezzo del pericolo. Però avendo il pistolone… 

Ma è che il poveretto stavolta ha avuto un problema: il vigile-pistolero ha bucato.

Forse il furgoncino FIAT (N.09)  YA 746 AD della “Colonna mobile blu” dell’Unione dei Comuni Montani dei Monti Azzurri era troppo carico di armi e munizioni? Forse correva troppo? 

Certo lo sventurato ha dovuto fermarsi e arrangiarsi da solo col ruotino senza manco potersi slacciare il cinturone carico di tutto l’ambaradan, soprattutto della pesante pistola. 

Ecco perché il Nostro ci è apparso tardi, ben dopo le 10, e pure incazzato: chiuso a chiave il furgoncino parcheggiato a cazzo, è entrato nel bar e si è chiuso nella toilette. Sicchè passano 3 minuti, poi 5, poi 10, 12… ma mica esce. Noi preoccupati, sarà successo qualcosa? Nel bar ci si guarda e si fa silenzio, nel caso si sentisse qualcosa… Qualcuno (che guarda troppi film) butta pure l’occhio sotto la porta, tante volte scorresse sangue, quello c’ha la Beretta cal.9 carica… domani sul Corriere Adriatico… saremo famosi… 

Ma per fortuna niente. Finalmente eccolo il pistolero fuori dalla toilette, accigliato più di prima, che a passo deciso esce dal bar e s’infila in macchina. Dovrà recuperare il tempo perso a causa della gomma bucata, a Ripa c’è tantissimo da fare: opporsi (invano) all’ennesima rapina alla BCC, inseguire (invano) quei ragazzotti con lo scooter smarmittato sparando in aria, pretendere (invano) i documenti dai pensionati girandoloni puntandogli la pistola, perlustrare le borse delle vecchine munite di cane se hanno congrui sacchetti per le cacche, contare i fedeli a messa, riferire al parroco gli assenti…

Cose così. Ah, la pistola ci vuole proprio. Ma a Ripa siamo rimasti in pochi, se pure ci ammazzano…

PGC - 20 novembre 2022

 
 

IL “VILLAGGIO TRISTE” della PICCOLA PESCA

[SAN BENEDETTO DEL TRONTO]

Passeggio in bicicletta quando sento un canto. Pare venga dall’acqua grigia del porto, da dietro la selva di bandierine "parcheggiate" dei pescatori della “piccola pesca”. Un motivetto familiare quasi antico, dimenticato ormai. Una voce rauca ma intonata, vigorosa. Le parole un po’ arrangiate, inventate, come adattate al sinistro panorama sullo stradone lì a sinistra: il nuovo orrido, cupo, deserto Villaggio della Piccola Pesca.
 

Chi canticchia è un pescatore dei nostri, anziano e solitario, accartocciato su qualcosa di misterioso che sta riparando. Non più agile e scattante come un tempo, ma con la luccicanza negli occhi e il volto espressivo come un canyon, marron. Nel ’66, quando esplodevano i suoi 18 – 20 anni, evidentemente a bordo la cantava spesso e di gusto “Ragazzo triste”* di Patty Pravo: be’ mo’, a suo modo, se la ricanta in banchina. Quando s’accorge di me in bici mi guarda di bolina, sospettoso come fossi un corpo estraneo… poi mi fa un eloquente cenno a sinistra, con il capo - ha le mani occupate - e canta

 

Villaggio triste della pesca… AH AH                        *RAGAZZO TRISTE (di G.Boncompagni e Sonny Bono) - 1966

che stai sul porto da per te… AH AH

non c’è nessuno che ti guarda mai

perché lo sanno come sei                                                

           Villaggio triste sei già morto ma

           nessuno piange e si sa perché                                                   

           sei troppo brutto e buio e freddo che                                          

           nessuno mai ti abiterà  …  … 

 I pescatori nel "villaggio triste" non ci vogliono andare

 PGC - 20 novembre 2022