18/04/20

La partigiana Carolina

La ricchezza delle partigiane
della guerra pandemica
sono macchine da cucire
ben oliate sui tavoli e usate a testa bassa.
A tempo indeterminato.
Aghi e fili, stoffe multicolori
artistiche che cambiano destinazione.
Archiviate coperte quiltate e arazzi per mostre
di là da venire, si passa alle mascherine, sì quelle
che le case di riposo non hanno.
Nell’RSA ci abitano i vecchi dimenticati
dalla sanità, esposti a loro insaputa
alla loro vita a termine. Oggi. 
Ma il termine l’hanno decretato le priorità, 
le disattenzioni, la mala organizzazione,
l’incapacità e la sottovalutazione dei potenti
di turno, quelli che abbiamo votato, 
non il tempo propizio a lasciare la vita terrena.
Questi signori responsabili 
potranno dormire sonni tranquilli, impuniti
hanno regalato a piene mani sonni eterni
anticipati e solitari a nonni e nonne italiani.
Due generazioni spazzate via.
Tamponi, sanificazione, mascherine,
guanti sono la nuova ricchezza.
Agli ultimi la ricchezza non è mai appartenuta.
E le donne, che ricche non sono mai state
ma infinite sì, assemblano nascoste in ritirata.
E si espongono di coraggio.
Organizzazione senza infrangere le regole:
ciascuna fa non più di 200 metri,
inforca una bicicletta o corre con zaino
in spalla; scambio veloce di aghi, perché 
si rompono, fili, perché finiscono,
elastici, anche quelli da mutande
dei tempi andati,
modelli di mascherina triplo strato
per campione, così i destinatari
potranno inserire un pezzo di carta forno
che è meglio di niente, o un assorbente
con la parte adesiva da mettere all’esterno.

Luci accese anche di notte nelle case delle partigiane
perché le richieste sono esagerate.
Migliaia di pezzi. Da confezionare per ieri.
Problemi? Nessuno.
La rete delle forniture si apre
di generosità, le pezze di stoffe
scendono dagli scaffali di negozi chiusi
perché certe chiusure si possono infrangere.
Eccome.
Le partigiane moderne sono figlie e nipoti
di quelle dimenticate negli ospizi.
Alle donne coraggiose senza camici e protezione
spetta la consegna di un pezzo di vita indispensabile.
Anche questa volta. E i pacchi giungono puntuali
a chi rimane vivo per miracolo. Voilà.
Grazie di cuore partigiana Carolina, sei per me simbolo
di ogni Nobel della vita. Di tutte le donne nutrienti come te.



Michaela Menestrina - 17 aprile 2020


Nuovo look al tempo del Covid19-20-21...

Guardo i pantaloni della tuta
divenuta ormai divisa condivisa dai più 
dietro troppi vetri chiusi, occupati
da sguardi più delusi che speranzosi
di Pierrot impregnati di lacrime calde.
Ma di nuovo supponenti di diritti. 
Troppo presto, abbiamo solo fretta.
Sono macchiate di rosa le tute
non seguono una texture
si formano casualmente
spruzzo dopo spruzzo da
miscela salvifica d’acqua e candeggina.
Fragranze orientaleggianti esclusive
hanno lasciato posto
all’acre odore della sopravvivenza
che disinfetta maniglie, chiavi, tavoli,
scarpe, bagni, cucine insieme
a una variegata massa di tutorial
ogni giorno, più volte al giorno.
Le macchie casuali sono nuova geografia,
ci ricordano grafici, cluster, morti 
che non vogliamo decodificare seriamente.
Noi a comporre i prossimi centomila? 
Quanti alla fine, perché fine non è! 
La fine è nelle mani dell’invisibile.
Fase un, due, tre, un due, tre.
Abbiamo paura, una fottuta paura
di annoverarci tra questo sgradito
contributo storico del secondo millennio.
Siamo vittime in attesa di questa guerra
silenziosa, eppur talmente assordante
perché ci toglie il fiato...
E allora spruzziamo finché ce n’è.
E corriamo dietro a noi stessi, 
ai nostri comportamenti smascherati.
Le macchie non volano caro Sepulveda,
non hanno coraggio. Si posano e
lasciano il segno, come pezze al sedere
nell’anima. Ma ci regalano memoria:
ci ricordano che libertà è pari a felicità:
attimi che abbiamo sprecato invano.


Michaela Menestrina - 17 aprile 2020

14/04/20

EFFETTO COLLATERALE

 ovvero
La divisa ai tempi del colera
 
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        “Queste medesime parole, Vediamo come va […] furono pronunciate dal Ministro che in seguito precisò il proprio pensiero, Volevo dire che potrebbero essere quaranta giorni, ma anche quaranta settimane, o quaranta mesi, o quarant’anni, bisogna però che non escano”.

J.Saramago, Cecità, 1995

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     Diffusa a livello nazionale e più ancora locale, la “Sindrome da Divisa” - endemica nel Belpaese di provata vocazione destrorsa e fascistoide - si acutizza quale effetto collaterale di situazioni particolarmente gravi o addirittura emergenziali, inducendo nelle categorie e nei soggetti colpiti una mutazione psicofisica del tipo L’incredibile Hulk (esclusa la colorazione verdastra).

        Dopo i bidelli scolastici dei bei tempi andati, con le loro strisce dorate e rosso-viola sul colletto della giacca e che incutevano terrore pure al preside, oggi la vertigine della divisa è più che mai trasversale, che tu sia nei corpi militari o civili, e ti dice che dall’alto di quella tu puoi controllare, indagare, accusare, sanzionare, sentirti Minosse che avvolge la coda intorno a sé più volte e il disgraziato va giù di altrettanti gironi d’Inferno.
E non basta, poserai in parata con sindaci e autorità, e gazzelle e volanti, e droni ed elicotteri in minaccioso volteggiare sopra i berretti.  Sono soddisfazioni.

       
Vedi per dirne una, sabato 11 aprile vigilia di Pasqua-al-gusto-covid. Schierati per la foto di gruppo come in gita scolastica, le Polizie locali di Grottammare e di Cupra Marittima - in divisa, of course! - e i rispettivi sindaci Pierre-Gallin e Pierre-Simon (separati alla nascita, i due?): “soddisfatti di questa unione di forze […] per monitorare insieme i due territori a tutela dei cittadini” (sic) in irresponsabile assembramento (ma con mascherine, eh!): roba da sanzione immediata e conseguenze penali.

Manca, o ce lo siamo perso, il numero dell’equilibrio in piedi sulla moto in corsa, ma qualche lezione ci giunge comunque chiara dalle performance circensi gentilmente offerte.

        Per esempio, un certo modo di intendere l’esercizio del potere, sintetizzabile nella filosofia del Marchese del Grillo, il noto io-so’-io-e-voi-nun-siete-un-cazzo: per il quale il controllore può violare, e passarla liscia, le stesse norme sul rispetto delle quali è tenuto a vigilare. I sudditi intendano e si adeguino.

        Segue nella pratica, a mo’ di corollario, un esercizio dell’autorità che vede il tutore della legge esibirsi in prove muscolari con sacrificio di sé e sprezzo del pericolo, meglio se su obiettivo piccolo e insignificante perché lì si vince facile.
Così ecco “l’autorità” nella sua schematica divisa da poliziotto inseguire sulla spiaggia il runner ma quello corre di più, è più leggero e meglio (s)vestito e se la squaglia veloce e all’autorità le fanno la respirazione bocca a bocca.
Ecco “l’autorità” sanzionare il tizio intercettato mentre sta a 300 metri da casa propria invece che a 200 - ogni sindaco decide qual è per lui il metraggio lecito, vuoi mettere che gusto - con una supermulta che neanche al sequestrato Force Blue di Briatore. (A proposito, ci sono percentuali, sulle multe? chessò, per incentivare e motivare i tutori dell’ordine...).
Ecco, ancora, “l’autorità” perlustrare in elicottero il deserto intorno e, incurante di sperpero di pubbliche risorse, con quello abbassarsi rombante sul camminatore solitario (un untore di certo, che altro sennò?).
      
       Ciò che conta insomma è sentirsi più in alto del miserando mortale sulla rampa di lancio del potere. Dove al gradino più basso, in attesa di decollo, ci sono i delatori, gli spioni del vicinato: se non proprio l’orwelliano “fanciullo eroe” che denuncia i genitori, è certo il “vicino eroe” che dalle serrandine abbassate vigila occhiuto e denuncia. 
Quindi via via innalzandosi, ecco le “orrendamente belle” divise, le mostrine, gli alamari, le medaglie, i cappelli a due piani che non entrano nelle automobili, ecco i gradi - li vedremo presto cuciti sulle mascherine! - ed ecco i sindaci (le enormi fasce tricolori col batacchio dorato abbagliano meglio delle divise) e più su ancora, ecco i “governatori” cosiddetti: ah! l’ineffabile godimento del proprio nome dato a un’ordinanza, a una circolare più severa... Ci sono cose che non si possono comprare…
Più si sale, più il cipiglio è fiero, feroce il ghigno, minaccioso il dito puntato contro di te che, diosolosa come, tramavi contro la salute pubblica…

       In questa Pasqua di bontà farlocca, di retoriche a buon mercato, di andratuttobene al mulino bianco, di tricolori e inni patriottardi che col contagio c’entrano come la mia gatta Pippi, di volemosebbene alla nutella da farsi venire una carie al giorno, una sensazione si affaccia chiara, fastidiosa e tenace: che l’accanimento censorio e sanzionatorio, lo zelo autoritario e non autorevole che si propaga per li rami dei poteri locali medi, piccoli e piccolissimi, non sia da parte di tutti questi che unvendicarsi” sul cittadino-suddito delle proprie colpevoli inettitudini, frutti malati di un potere coltivato come fine a se stesso, ignaro della nozione di bene pubblico, e che nell’autoreferenzialità ha il proprio marchio di fabbrica e il proprio peccato originale. 


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        “Disgraziatamente […] le aspettative del Governo e le previsioni della comunità scientifica andarono semplicemente a rotoli”.
J.Saramago, Cecità.

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Sara Di Giuseppe - 13 Aprile 2020



08/04/20

Lu Mamò

"Agli inizi del secolo scorso, a Pescara del Tronto, durante la processione in onore della Madonna del Soccorso, un bimbo piangeva in braccio alla madre affacciato ad una finestra mentre si accingeva a transitare un grande crocifisso sorretto da un membro della Confraternita. Stanco ed infastidito dagli stremiti del fanciullo, il vecchio portantino alzò il volto del crocifisso all'altezza del viso del bambino piangente esclamando: " tatte zitte! Sennò te facce magnè da lù Mamò". Il bambino tacque ma non sappiamo quale trauma si portò dietro per il resto della sua vita." 

Questo era uno dei racconti preferiti da mio nonno che spesso mi narrava episodi grotteschi ed esilaranti accaduti nell'eterna sfida a colpi di sberleffi tra il mio paese e quello di Pescara del Tronto. Prima di andare a letto ripensavo alle sue storie e fantasticamente cercavo di farmi un'idea di come poteva veramente essere fatto "Lù Mamò", questo mitologico personaggio delle sue favole, bestiale e gigantesco, fino a quel caldo mattino d'estate in cui... io, un bimbetto gracilino di otto anni che girovagava spesso fra i boschi, sovrastanti il mio piccolo paese di montagna, imboccai un sentiero sconosciuto che attraversava un fitto bosco di querce. 
Non sapevo bene dove conducesse quella mulattiera ma non avevo la minima paura di perdermi tanta era la voglia di esplorare nuovi territori. Attraversato diagonalmente un ripido pendio mi ritrovai perso in uno scenario fantastico; si aprii ai miei occhi una piccola valle che si snodava serpeggiando a ridosso di un ruscello verso i picchi dei Monti della Laga. Presi una stradella sul pendio destro al lato del ruscello che nel suo corso tortuoso, formava di tanto in tanto delle cascatelle con piccole piscine naturali. Sentii di colpo uno strano crepitio, mi girai di soprassalto e vidi in uno spiazzo nero al lato della strada, una specie di cono piramidale alto più o meno tre metri, tutto ricoperto di terra e muschio con un grande pennacchio di fumo nero sulla cima mentre tutt'intorno c'erano tizzoni neri spezzati e un'enorme quantità di cenere. Ed ecco apparire all'improvviso tra il fumo ed i rami un'enorme gigante, un mostro tutto nero con gli occhi cerchiati di bianco che avanzava con passo pesante verso di me. Il suo sguardò mi bloccò, trattenni il fiato deglutendo e pensai subito: "Lu Mamò!" iniziando a correre a perdifiato verso casa. 
Mia madre notò subito la mia pallidezza e la mia agitazione chiedendomi il motivo del mio malessere. In silenzio ascoltò il mio racconto esplodendo in una risata: "Ti rendi conto di quanto può essere ingannevole la tua piccola mente fantasiosa, l'uomo che hai visto dietro le "Macchie" era Pietro Santolini il carbonaio di Colle che ha affittato il bosco di Augusto per fare il carbone di legna. 

E così scoprii che quel giorno non avevo incontrato "il mitico Mamò" ma uno degli ultimi carbonai. Persone speciali che sanno ancora parlare con gli alberi e domare il fuoco, sanno capire il vento e rispettare i ritmi delle stagioni e della natura con gesti, movimenti ed espressioni inalterati da secoli, che rivelano un'armonia ed un'antica sapienza tramandata da generazione in generazione, che vive e si rinnova ad ogni rituale di creazione del carbone di legna.


Vittorio Camacci - 5 gennaio 2018 

per UT 63 "La bestia" (numero non pubblicato)


07/04/20

Un posto al sole (considerazioni a fior di pelle)

Certe esperienze che viviamo in prima persona, ci danno il senso vero di come vanno e potranno evolvere le cose, da oggi in avanti. O in che modo riusciremo veramente a superare questo periodo. Di come cioè ci ritroveremo a vivere una volta ripresa la 'normalità'. Si dice molto che tante cose cambieranno, dai rapporti personali a quelli lavorativi. Ma vorrei non illudermi e anzi vorrei già da ora vestirmi di una giusta 'corazza' che protegga i miei nervi dalle disillusioni. La sensazione è che le differenze aumenteranno (non solo tra ricchi e poveri, ma tra forti e deboli, tra tutelati e non protetti, tra "salvati e sommersi"), e che le aspettative create da uno Stato 'materno' e rassicurante a parole, più vicino ai deboli e meritevoli, avranno un effetto boomerang. "Nessuno sarà lasciato solo; Non ci scorderemo di nessuno; Tutti gli italiani avranno i mezzi per sostenersi…". 

Moltissima gente rimarrà delusa, a cominciare da chi ha vissuto e vive il dramma della perdita, sia dei propri cari che di possibilità economiche e lavorative. Non illudiamoci insomma. Sarà una guerra giorno per giorno, per la sopravvivenza e l'affermazione delle singole esistenze. Ognuno penserà a sé stesso, ai propri stretti familiari forse più di prima del coronavirus. Chi ha maggiori mezzi, è già fuori dalla mischia. Come se non bastasse molti verranno mortificati dalla burocrazia, e non solo da quella statale, ma anche da quella stratificata nella storia italiana del XX secolo, cresciuta fuori misura negli 'scaffali' di ogni ente. Tutti gli altri sgomiteranno per guadagnarsi "un posto al sole". 
L'Aquila, Amatrice, Pescara del Tronto, Arquata e tantissimi work in progress materiali e immateriali, doceo.

Francesco Del Zompo - 7 aprile 2020


06/04/20

Franco Toselli e Lisa Ponti

Un saluto per Lisa da Franco; era il 9 di aprile...

La vera anima di Lisa è la matita
Santa Matita è un suo disegno.
Non sono un artista lo diceva sempre
è vero non ne aveva bisogno
aveva tutti i doni delle fate
e dopo aver dormito mezzo secolo
a 70 anni ha preso la matita e le stampelle,
le Sorelle Grimm erano in attesa
così è nato il mondo di Lisa Ponti
l'infanzia per sempre come Mozart
nel disegno di Lisa il tempo è sospeso
il flauto magico è una matita
e i disegni sono le prime note di una dolce vita
con l'orso al violino l'asino che beve la luna
Leone buono e rosa Carmen.
Lisa ha l'azzurro nello sguardo
e il pensiero verde di una rana.
Dopo una sequenza di undici starnuti
la matita scorre sul foglio come una carezza
Lisa chiede aiuto alla neve
e si nasconde sotto una foglia
i disegni volano come aerei di carta
gli amici aspettano con le finestre aperte,
il postino è il vento di primavera
la sua matita prende ordini dall'alto
Gio Ponti è al settimo cielo...

Franco Toselli - 6 aprile 2020

Lisa Ponti, per UT 34 L’indiscrezione, matita e pennarelli su carta A4, 2012

03/04/20

L'elzeviro ritrovato di Giuseppe Piscopo

Ciao caro Frank,
l'altro giorno mettendo ordine nella cartella di UT ho trovato l'elzeviro mai pubblicato esattamente il numero 63, il tema era la Bestia. Ero solito per non arrivare all'ultimo momento anticiparmi. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere leggerlo. Con un po' di nostalgia.
tuo, peppe

Il 30 marzo scorso Giuseppe mi ha scritto questo, allegando un testo che inoltro a tutti gli amici di UT (sotto in foto) e a chi avrà la 'pazienza' di leggerlo. Un messaggio in bottiglia, preparato al tempo, e per tempo, e poi lasciato nei flutti per un futuro lettore.

Da fine luglio 2017, quando furono comunicati dalla redazione i temi dell'undicesimo anno della rivista, gli autori che avevano una rubrica fissa erano ovviamente liberi di avvantaggiarsi sui temi in programma. 
L'amico Peppe, come mi riesce meglio chiamarlo, aveva l'elzeviro e lo ha fatto senza aspettare fine gennaio 2018, data utile per la preparazione dell'impaginato di stampa con uscita prevista febbraio 2018 (questo elzeviro risale a dicembre 2017). Ma come sapete UT si è fermata, spenta, non è andata "Oltre" il 62° numero (dicembre 2017), e il tema successivo, che non è stato mai redatto e mandato in stampa, sarebbe stato "La bestia", il 63° di UT. 

Ed ecco però che lo troviamo in riva al mare, sulla battigia delle nostre scrivanie virtuali perché Piscopo lo aveva amorevolmente e puntigliosamente scritto e illustrato. Niente di più attuale il suo contenuto - del resto ci è sempre riuscito... - Temi universalmente validi e senza scadenza, hanno permesso alla magica penna di Peppe di esprimersi come pochi sanno fare.

Grazie a GP e a UT, e alla sua prodigiosa battigia piena di pensieri riaffioranti.

Francesco con gli amici di UT  

PS: Pensiamo e intendiamo proseguire, dopo questo ‘ritrovamento’, nella pubblicazione nel blog di altri testi inediti per UT, invitando chi avesse trovato qualcosa (a seguito, magari, delle pulizie straordinarie e 'incoronate' di primavera - come non accadeva da decenni), di battere un colpo inviandoli a: info@letteraturamagazine.org  Senza scadenzario, si capisce.


01/04/20

INCUBI E AUTODICHIARAZIONI

“… Non era cambiata la strategia per combatterla, ieri inefficace e oggi apparentemente vincente. Si aveva solo l’impressione  che la malattia si fosse esaurita da sé, o che si ritirasse, forse, dopo aver centrato tutti gli obiettivi. In un certo senso, il suo ruolo era concluso.”
A. Camus, La peste, 1947

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        Ho un incubo ricorrente (si alterna all’altro, meno frequente, in cui il vicino di casa delatore-psicotico avvisa i CC d’avermi vista sulla soglia di casa... Perché è la parte migliore di noi, quella che scopriamo con l’emergenza…).


L’incubo: in movimento con regolare autodichiarazione, vengo fermata per controlli da anonima “autorità” (auto blu priva di contrassegni per meglio stanare il cittadino furbetto-fino-a-prova-contraria): ahimè, un nuovo modulo è stato emanato nella notte e invalida il mio, avrei dovuto saperlo e stamparlo. Il reato è gravissimo, vengo brutalmente messa in ceppi e condotta verso…
Mi sveglio. Sollievo: i moduli sono lì, in rigoroso ordine di apparizione dal primo al più recente; ho lasciato ampi vuoti per i prossimi, sono previdente, io.
Li conserverò, un giorno mi ricorderanno questo spazio della vita in cui l’inimmaginabile è diventato quotidiano.

L’inimmaginabile sono - anche - quei moduli. Summa di ogni sordo burocratese stratificato in secoli di funzionari asburgici-austroungarici-savoiardi-papalini-borbonici; linguaggio che arriva fino al nostro cupo millennio pandemico immutato nei contorti stilemi, nella grafica compressa e chiaroscurata, nella disumanante afasia.
Ci sono dirigenti, funzionari, impiegati, vertici militari - “persone oltre le cose” - dietro quei moduli, così come dietro i Decreti/Ordinanze Ministerial/Regionali/Comunali i cui articoli (a volte anche solo due) li leggi dopo quattro pagine e lenzuolate a due piazze di visto questo visto quello e visto quell’altro e visto quell’altro ancora…

Ci si chiede cosa di buono possa mai venire, in questo passaggio apocalittico, da apparati pachidermici, mummificati perfino nella comunicazione.
Non è da quelli che verrà la salvezza: questa, se ce ne sarà una, verrà da coloro che oggi, dalle disperate trincee ospedaliere, dalla miriade di postazioni in tutta Italia dove si combatte e si muore, da dentro le impossibili tute marziane, rifiutano di alzare bandiera bianca.

Tutti gli altri sono a vario titolo responsabili del disastro
e ne risponderanno alle proprie disperse coscienze. Mai, temo, al Paese e ai cittadini.

- Sono gli apparati politico-amministrativi delle Regioni, inconcepibilmente privi di piano pandemico regionale, a cominciare dalla fulgida Lombardia.
Che hanno omesso di creare in anticipo strutture dedicate e interventi sul territorio (dopo aver impoverito le strutture pubbliche privilegiando un privato che non poteva essere all’altezza) e “colti di sorpresa” hanno praticato - a cominciare dalla Lombardia - un’ospedalizzazione che è stata benzina sul fuoco dell’epidemia.
[Che in Lombardia hanno omesso di chiudere Alzano, nel bergamasco, dove - presente fin dal 23 febbraio, dopo la zona rossa di Codogno - un focolaio è stato lasciato libero di circolare e diffondersi. (cfr. G. Barbacetto, Il Fatto Quotidiano 30 marzo) ]

- Sono i vertici sanitari nazionali che hanno recepito senza far nulla, quando si era ancora in tempo, le previsioni epidemiologiche della comunità scientifica diffuse da Ministero della Salute già i primi giorni di gennaio; e almeno fino al 21 febbraio hanno trascurato le informazioni dettagliate degli scienziati sulla sintomatologia del virus omettendo perfino di informarne i medici di base. [Senza contare che il Ministero della Salute deve strutturalmente avere - come ogni altro Ministero - piani gia’ predisposti per qualsiasi tipo di emergenza, anche la più catastrofica]. Invece: “siamo stati colti di sorpresa” e, per dirne una, ci si accorge addirittura solo ai primi di marzo che i ventilatori li fabbrica un’azienda italiana…

- Sono i vertici della Protezione Civile riuniti il 31 gennaio nella loro sede romana con burocrati e vertici di tutti i Ministeri, più Croce Rossa, ANCI, funzionari delle Regioni, rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità e - va da sé - alti militari di ogni ordine e mostrina: che stabilirono di controllare i voli da e per la e Cina, di misurare la febbre agli sbarcati, di recuperare uno a uno gli italiani dallo Hubei, anche un aereo per ciascuno.
E - simpatici sbadati! - dimenticarono di parlare di capienza degli ospedali, di personale sanitario e di aumenti di organico, di terapie intensive, di protocolli per i soccorsi urgenti, di acquisti di respiratori e mascherine e tamponi e tutto l’ambaradan che ormai sanno pure le pietre.
Preoccupati dei rapporti economico-diplomatici con la Cina e di non creare allarme sociale, e convinti - bontà loro - che ”il sistema italiano reggerà” si offrirono con sorridente ottimismo in favore di telecamere.

 - Sono i componenti del comitato operativo della Protezione Civile, che in continue riunioni a gennaio e a febbraio, e con l’allarme già diffuso da Ministero Salute e OMS, non ritennero di dover effettuare uno straccio di calcolo sulle necessità e dotazioni di cui sopra. Tutto come col terremoto dell’Aquila, tutto déjà-vu, compreso Bertolaso: che la Lombardia chiama, viste le luminose prove offerte in passato, e lui subito qui, dall’Africa a Milano e poi fino ad Ancona a spargere… positività (chiedere a Ceriscioli).

- Sono i responsabili che non hanno ritenuto necessaria la mappatura epidemiologica - ricostruzione dei contatti dei positivi, fattibilissima anche se non siamo Seoul - che avrebbe contenuto il contagio e preservato la categoria più esposta: medici e operatori sanitari. E hanno scelto di considerare solo i sintomatici.

Sono gli stessi che ora nelle varie Regioni corrono ai ripari con interventi tragicamente affannosi e tardivi - ospedali da campo, strutture dedicate ecc. - spacciati ai microfoni dell’informazione compiacente come manifestazioni dell’eccellenza lombarda, lombardo/veneta e di altre fulgenti Regioni.

E saranno santi subito, da scommetterci: lo sarà il Presidente sto-tutti-i-giorni-in-tivù, con la mascherina d’ordinanza e l’abito buono da preghiera col vescovo e la porgimicrofono adorante e genuflessa; lo sarà il fido scudiero (pardon assessore-“andratuttobene”) che già si candida a sindaco della martoriata Milano. Altra calamità in arrivo. Dio aiuti Milano.

Poi ci siamo noi, cittadini-sudditi o popolo bue: trattati tutti - per l’imbecillità di pochi criminal-cialtroni da mettere in gabbia e gettar via la chiave - come irresponsabili/disobbedienti/untori/furbetti fino a prova contraria. Martellati fino alle più remote sinapsi, con una comunicazione da grande fratello orwelliano, dai minacciosi continui offensivi “state a casa”. Come fosse, ciascuno di noi, un minus habens bisognoso di reiterate supponenti istruzioni-raccomandazioni-ordini e, se del caso, anche delle maniere forti.
     
        Come se avessimo voglia, in questa apocalisse, di giocare a dadi con la nostra pelle e con quella del prossimo; come se non ci bastassero tutto il dolore che vediamo e sperimentiamo, tutta la sofferenza e tutta la tristezza di quei morti che se ne vanno soli, senza persone care che possano, per loro, rapire “una scintilla al sole a illuminar la sotterranea notte”.

                          #andratuttobeneuncazzo


Sara Di Giuseppe - 31 Marzo 2020

Foto tratta da "Dire.it"