27/10/21

I TRIONFI


“…Così riportando il trionfo per la terza volta entrò in Roma e venne chiamato "secondo Romolo" come fosse egli stesso fondatore della patria."
(Eutropio, Breviarium ab Urba condita)
 
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San Benedetto T.,
 Anno Domini 2021
Bisogna risalire indietro fino ai fasti di Roma antica, per trovare Trionfi degni di quelli che il neo sindaco sambenedettese Spazzafumo ha tributato a sè stesso dopo la vittoria elettorale.
Preceduta da ludi circensi e porchettata propiziatoria [impossibile ahilui la seconda distribuzione alla plebe, dopo la vittoria, per la nota fuga in massa delle intelligenti suine], la proclamazione imperial/sindachese è stata improntata a sobrietà, misura, austerità; momenti topici: l’inginocchiamento del Nostro con bacio al pavimento della sala consiliare nella Civica Residenza – vedere per credere – e il trionfo celebrato su megapalco con undici pretoriani – insomma i sindaci del circondario – a fargli corona.
Vero è che in antico il Trionfo doveva essere approvato dal Senato, e richiesto dal generale glorioso fuori dal pomerium dell’Urbe sennò perdeva il diritto. Solo dopo poteva entrare dalla Porta Triumphalis e dare la stura ai festeggiamenti.

Quisquilie, oggi, naturalmente: in tempi di rispetto delle regole democratiche degno dello Stato libero di Bananas; di pennuti generalissimi a presidiare vaccini; di algidi uomini delle banche, ops della provvidenza, a governare senza essere eletti, di trionfi agli uni e agli altri tributati a prescindere, di candidature di pregiudicati alla massima carica dello Stato, chi vorrà negare a uno Spazzafumo qualsiasi il suo bravo trionfo in una sperduta provincetta dell’Impero, pur se non si è ancora coperto di glorie militari, se non ha combattuto campagne marcomanniche o sterminato i barbari in Pannonia?
 
Semmai destano perplessità il linguaggio e il tono della comunicazione da parte del miles gloriosus e dei suoi legionari: in particolare il lessico bellicista - “ora vogliamo prendere il Comune”, aveva detto - applicato al progetto di governo della città, l’idea di “vittoria” - scompostamente agitata come si fosse in guerra o in una gara sportiva - inappropriata a definire l’elezione ad una carica e ruolo gravosi e difficili, che dovrebbero far tremar le vene e i polsi al prescelto, anziché scatenare tripudi bacchici come quelli che si son visti.
 
Desta perplessità anche l’accorrere dei sindaci limitrofi a condividere l’autocelebrazione, le banalità e luoghi comuni prodotti in dosi industriali dal neo eletto, del genere “l’unione fa la forza” - apperò -  e “bisogna unirsi e pensare in grande”, e “non si può pensare al proprio orticello” e non dobbiamo essere sparpagliati (modello Pappagone/Peppino De Filippo col suo siamo vincoli o sparpagliati? ).
 
E visto che americanamente gravitiamo in zona-Halloween, la domanda del giorno è: che razza di zucche hanno ‘sti sindaci al posto della testa, per prestarsi a partecipare a simili narcisistici, autocelebrativi, inopportuni, scomposti Trionfi?

Sara Di Giuseppe - 27 ottobre 2021
 

 

26/10/21

CHRISTO SI E’ FERMATO (pure) A CUPRA

        In tanti luoghi CHRISTO si è fermato a impacchettare di immensi teli bianchi monumenti, ponti, palazzi. In tutto il mondo. Miracolosamente continua anche adesso che è morto, coi suoi discepoli a terminare l’imponente fasciatura-con-drappeggi niente meno che dell’Arco di Trionfo di Parigi, come lui voleva.
Sarà un evento chiacchierato ma sicuramente redditizio, come sempre. CHRISTO funziona, credeteci. Dove si ferma lascia il segno, se ne parlerà per secoli, usciranno libri grossi come vangeli, la LAND ART l’ha creata lui. Anche se di norma le sue opere sono a tempo, durano poco, qualche mese e poi per incanto ZAC spariscono: tutto torna come prima, non è successo niente. Ma ne resta l’immaginario, per sempre.

Ovvio, perciò, che tutti vorrebbero CHRISTO: città, paesi, ogni luogo del mondo. Mica è facile. Non è che lo chiami e lui viene, si ferma, compie il prodigio, lo paghi e ciao. Lui riceve una visione e poi decide da solo, è autonomo, non sente nessuno, neanche il Padre. E’ pure tanto buono, paga tutto di sua tasca.
Eppure anche Lui ha (aveva) dell’umano, perché attardandosi ormai nella vita ha esaudito – in Italia, nelle Marche, sulla costa picena, proprio qua, pensate! – le preghiere di due sindaci illuminati, di Grottammare e di Cupra.
 -  A Grottammare, CHRISTO ha mirabilmente impacchettato la Scuola Elementare “Speranza”, curando eccezionalmente pure di lasciarla fasciata come una neonata per lunghissimo tempo, rallentandone ad arte i lavori edilizi sul tetto fino a far fallire la ditta. Gli alunni e i loro soddisfatti genitori hanno potuto così girargli intorno per quasi tutti e cinque anni delle “elementari” e serberanno festosi ricordi di tanta bellezza. 
-  Poi nella vicina Cupra, ancora da vivo, ha scelto il modesto Palazzo del Comune. Siccome nel frattempo è morto, i lavori li continuano con calma i suoi discepoli. Durano da anni, tre, quattro, o più. Che cosa succeda dietro i teli mal posizionati (ah, i discepoli non sono come il Maestro…) non è dato sapere, chissà quanti operai-bradipi faticano forzosamente al ralenti… Però - specie con la luce del pomeriggio - godiamocela, la visione di ‘sto palazzetto impacchettato: già i fotografi della domenica ruzzolano emozionati dalle sgarrupate scalinate di fronte; nella piazzetta, i pullman alla fermata non vogliono più ripartire; le auto pagano volentieri le multe per sosta oltre l’orario; i grupponi di ciclisti-con-panza inchiodano e vanno uno sopra l’altro; i pedoni attraversano in trance, come attratti da una calamita, lasciandosi gioiosamente investire sulle strisce: tanto ti arrotano comunque, almeno muori guardando l’opera del CHRISTO e vai in paradiso.
 
Se Grottammare è diventata famosa per “la Speranza che mai finiva”, anche Cupra lo diventerà, per il suo Comunicchio dai lavori eterni.
 
 
PGC - 26 ottobre 2021


 

21/10/21

Il secondo dettaglio


CLUG – FORSYTHE – McGREGOR

Teatro dell’Opera
Praga
Première 14 ottobre 2021    h19 
 
 “Se la danza offre sempre esattamente ciò che ci si aspetta, ristagnerà, perderà la sua lucentezza e il suo magnetismo e alla fine cadrà nell'oblio 
(W.Forsythe)

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Per l’amor di Dio, Bill, ma perché hai fatto questa cosa?”, si dice che esclamasse la madre di William Forsythe davanti alle avanguardistiche creazioni coreografiche del figlio, rivoluzionario genio della coreutica, gigante del balletto postclassico e della postmoderne dance statunitense, fenomeno senza età capace ancor oggi a settant’anni suonati - classe 1949 - di influenzare la danza d’arte del nostro tempo.
Quanto a visionarietà è in ottima compagnia, Forsythe, in questa première all’Opera di Praga, con gli altri due più giovani innovatori della danza mondiale, il britannico Wayne McGregor e il romeno Edward Clug: li accomuna un oggetto del desiderio che è la riflessione sul principio estetico della danza, sull’arte coreutica come processo che trascende la danza stessa, sulla capacità di questa di interagire con linguaggi profondamente diversi quali quelli dell’antropologia e della filosofia, delle neuroscienze cognitive, della biomeccanica, fino alle audaci ibridazioni con le tecnologie e l’universo digitale.
 
Questa sera è il corpo con la sua poetica, al centro delle tre diverse creazioni: quella “musica del corpo” di cui parlava Balanchine - fusione tra linguaggio fisico e architettura del brano musicale - in Forsythe diviene un alfabeto di movimento che mescola rigore e simmetrie del repertorio classico con geometrie, dinamiche spaziali e temporali proprie dell’arte del nostro secolo.
Su una scena minimalista di prevalenti bianco e grigio, in “ The second detail ” - coreografia creata nel 1991 per il Canadian National Ballet - Forsythe intreccia il rigore neoclassico ai movimenti fuori asse dei danzatori, di intensità e velocità crescenti, quasi “macchina umana“ guidata con percussiva aggressività dalla partitura dell’olandese Thom Willems. Creazione di sofisticata tecnica e al tempo stesso giocosa e potente, dove un “secondo dettaglio” irrompe improvviso a scardinare equilibri e simmetrie, a frantumare l’unitarietà del contesto con la danzatrice a piedi nudi che nelle movenze disarticolate e convulse evoca il dionisiaco furore di un rito pagano.

Uguale energia percorre Handman, la creazione di Clug declinata in movimenti più fluidi e tuttavia, nella loro intransigenza, quasi al limite delle possibilità fisiche dei danzatori: al punto che “la danza sembra provenire dai loro tessi corpi”, dentro una musicalità rarefatta di solo piano e percussioni dove ogni più piccolo movimento dei danzatori, ogni gesto, inclinazione della testa, espressione, ha la sua precisa ragione e collocazione nel tempo e nello spazio.

E in forme surreali, perfino agghiaccianti si fissa la tensione verso un irraggiungibile Eden nella creazione di McGregor, dove la replicazione del titolo allude alla possibilità di universi paralleli immaginati e desiderati, e si addensa in una coreografia di altissimo rigore tecnico, quasi ad esplorare e indagare i limiti fisici del corpo umano: riducendolo a nuda essenzialità, quasi scarnificandolo, disarticolandone le singole parti, ne riproduce le disarmonie e le disfunzionalità, l’irrisolto conflitto tra fragilità e speranza, il perenne contrasto con l’inesorabilità delle tecnologie.
 
Che si parli di danza decostruzionista, o post-moderna o di balletto post-classico, è sicuramente al di là delle definizioni e degli schematismi la visionarietà di questi artisti, la loro tensione e la sfida a “costeggiare sempre la vertigine”, a creare un idioma del movimento che travalichi il formalismo dell’arte per farsi sostanza umana e corporea: per svelare quel 
secondo dettaglio che è costituito dalla “matematica invisibile degli stati d’animo” e dal rapporto strettissimo di questa con la totalità dell’esistenza.
 
“E il corpo può prepararsi a una trasformazione, attivare un lume interno, qualcosa di simile a un fuoco luminoso, procedere per rapide dissolvenze, fosforescenze e pulviscoli, spostare il paradigma esistenziale dal dominio rinunciando a tutte le proprie abitudini mentali” 
[Cristina Kristal Rizzo, in OperaViva Magazine]
 
Sara Di Giuseppe - 20 ottobre 2021


 

08/10/21

FRATELLI D’ITALIA FRATELLI DI “QUELLO”

 
Se “è la somma che fa il totale” (copyright Totò), basta fare la somma delle ultime impresucce di certi Fratelli d’Italia per trovare il “totale”: capire di che pasta sono, a chi si ispirano, di chi sono “fratelli”.

 -  Pesaro.
Il Fratello d’Italia assessore alla Regione Castelli (ex sindaco di Ascoli Piceno), si oppone all’intitolazione a Gino Strada del nuovo padiglione ospedaliero del corso di laurea infermieristica: perché “Gino Strada è una figura sopravvalutata e profondamente ideologizzata”, perché “aveva posizioni politiche molto radicali e dure”, perché “fu membro del sevizio di vigilanza del Movimento Studentesco milanese negli anni di piombo”, perché “considerava nazisti Meloni e Salvini quando parlava di Decreti Sicurezza”, perché “ha sempre criticato i nostri militari nei teatri di guerra”. Poi - ciliegina sulla torta - collega l’uccisione di Sergio Ramelli (1975) a Gino Strada! Da restare secchi.

-  Con sprezzo del pericolo lo spalleggia il capogruppo in Regione di Fratelli d’Italia, l’on. Carlo Ciccioli (psichiatra!), ex Fronte della Gioventù (gruppo politico neo-post fascista), FUAN, MSI, e Alleanza Nazionale. Chi non ricorda le sue memorabili imprese, questa non sarà mica l’ultima.

-  Rachele Mussolini
(nomen-cognomen omen) figlia di Romano (bravo jazzista) e nipote del Duce, di fresco eletta consigliera a Roma in Fratelli d’Italia - la consigliera a più votata, col record di oltre 8.200 preferenze - interrogata sul suo pensiero politico, dichiara che no, non è fascista (“il discorso sarebbe lungo…” e dicci allora) e che l’eloquente foto-che-ha-fatto-il-giro-del-mondo - Il 25 aprile festeggio solo San Marco!! -è una foto vecchia” (di 2 annucci tesoro!) anzi “è una provocazione” (ma guarda un po’). Poi vaneggia di “Pacificazione Nazionale del 25 Aprile”, evidentemente sotto suggerimento dei “fratelli”… Ciao bellaa!!

-  Massimo Rabella
di Fratelli d’Italia, eletto consigliere a Torino, “ringrazia su Facebook i tanti camerati che lo hanno aiutato”. Quando uno è educato è educato, tra camerati…

 -  Votazioni comunali a San Benedetto T.
Al ballottaggio tra destrorsi - mentre Fratelli d’Italia diventa il primo partito della città - è ampiamente in testa il sindaco uscente (ex Alleanza Nazionale e Casa della Libertà, come dire un bravo fratello). Una delle imprese di cui va fiero: il 25 Aprile la banda cittadina non deve assolutamente suonare Bella ciao. Guai! Bruciati gli spartiti proibiti, il direttore s’inchina e ubbidisce: evvài col Piave. Tanto (quasi) nessuno protesta.
 
L’elenco (la somma, direbbe Totò) sarebbe lungo. Ma a dimostrare l’assioma di cui al titolo, è sufficiente già da solo il rutilante simbolo di Fratelli d’Italia: quella storica fiamma del MSI al centro ben in evidenza, non vuol dire che i FRATELLI D’ITALIA sono chiaramente FRATELLI DI “QUELLO”
 
PGC - 8 ottobre 2021

06/10/21

Cercasi porchetta disperatamente

La comunicazione fu breve. Parla il presidente di seggio […], sono molto preoccupato, qui sta accadendo qualcosa di francamente strano, fino a questo momento non si è presentato un unico elettore a votare […], neanche un’anima […]
(José Saramago, Saggio sulla lucidità, 2004) 

S. Benedetto T., elezioni comunali 2021.

Ha funzionato! La porchetta offerta in p
iazza ha funzionato, il candidato-sindaco-alla-porchetta è arrivato al ballottaggio e dice, nientemeno, ora vogliamo prendere il Comune (linguaggio da presa di Porta Pia o da generale Figliuolo, dovuto all’emozione del momento topico).
E ora che la prima fetta di porchetta è stata distribuita, bisogna tener fede alla promessa fatta agli elettori: la seconda fettona a voto ottenuto. E, va da sé, dopo la vittoria porchetta libera per tutti (i votanti per lui).
Senonchè abbiamo un problema. Le porchette - tutte - se la sono data a gambe, insomma a zampe.

Un attimo dopo la buona novella del successo elettorale con obbligo contrattuale di seconda fetta, il fuggi-fuggi delle interessate è stato massiccio e fulmineo.
 
Ci rendiamo conto. Ma è comunque il caso di rivolgere alle fuggitive un appello accorato: tornate, e nessuno si farà male (tranne voi, ma dovete capire…).

Possono farlo innanzi tutto la stampa e i media previo invio di velina già pronta da copiare (si eviteranno così gli errori d’italiano); possono farlo i social, dove il numero elevato dei like sarà un efficace pungolo per le sconsiderate; si può indire una raccolta firme, i poco meno di 15 giorni che mancano al ballottaggio basteranno; si può infine organizzare una sensibilizzatrice fiaccolata per le vie cittadine.
 
Confidiamo che tale dispiegamento di energie e volontà induca le suine ad abbandonare un cieco egoismo che non giova a nessuno. L’accorata richiesta di istituzioni, notabili, semplici cittadini le indurrà a tornare accettando di buon grado il sacrificio di sé. 
È troppo decisivo questo frangente, perché le suine possano far prevalere l’istinto di vender cara la pelle: lo è per le sorti della popolazione sambenedettese, lo è per quelle della città che il candidato-alla-porchetta riscatterà facendola rifiorire più bella e più grande che pria. Lo ha detto lui stesso e c’è da credergli, non foss’altro perché peggio che pria non può andare. Ma anche sì.

Temiamo tuttavia che qualora le suine non si riconsegnassero spontaneamente sarebbe quasi impossibile rintracciarle. 
Potrebbero aver trovato rifugio, infatti, presso un centro anti-violenza accanto a loro compagni/e di sventura fuggit/e degli allevamenti dove vivono - si fa per dire - in condizioni tristissime e spesso orribili per poi fare la finaccia che sappiamo; o potrebbero esser riparate all’estero e chiesto asilo politico con la valida motivazione - sono animali di vivace intelligenza - che non vogliono sacrificarsi per questi imbarazzanti politici e per il loro ancor più imbarazzante elettorato.
 
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Era passata la mezzanotte quando lo scrutinio terminò. I voti validi non arrivavano al venticinque per cento […] Pochissimi i voti nulli, pochissime le astensioni. Tutte le altre schede, più del settanta per cento del totale erano bianche
.”
(J. Saramago, ibidem)



Sara Di Giuseppe - 6 Ottobre 2021

02/10/21

CANDIDATI ALLA PORCHETTA



San Benedetto T.
       A onor del vero, dei nuovi canditati-sindaco a San Benedetto forse solo uno attira i votanti a spese della povera porchetta; gli altri si affidano rispettivamente a: 
- pesce fritto, più graziosa parlamentare di medio corso e medio calibro planata apposta quaggiù; 
- megapalco più musicaccia e decibel fuori controllo; 
- comico/cabarettista locale (è pertinente); 
- quanto al sindaco uscente e ri-candidato, lui ha già ospitato Salvini e il danno è fatto.
       Va detto: meglio della porchetta non ce n’è, che attiri le folle facendo leva su nobili pulsioni, quindi lo sventurato suino ammazzato si dia pace*.

Anche se sa di déjà-vu: fu Achille Lauro l’apripista, creativo come solo i napoletani, anno domini 1952. Dei sontuosi suoi banchetti pre-elettorali, a Napoli ancor oggi si favoleggia, distribuiva pure pacchi di pasta da 1kg. 
Soprattutto fu suo - è leggenda ma forse è vero - l’espediente della scarpa sinistra e della mezza millelire distribuite al popolo: la scarpa destra e l’altra mezza banconota a voto dato e dimostrato.
Diventò sindaco, plebiscitariamente, raddoppiò i consensi alle politiche dell’anno dopo, e nel ’56 successe a sè stesso. Meno si sa degli “omaggi” promessi.

[È quasi mitologia, quell’italietta povera e disgraziata, in bianco e nero come i film di De Sica; poi sono arrivati quelli che la lezione del parlare alla pancia della gente l’hanno imparata e perfezionata con profili di criminalità, gli scambi con mafia erano già collaudati, le cene eleganti ne sono state l’apoteosi, e ci hanno consegnato il triste paese che abbiamo].
       A San Benedetto, settant’anni dopo la Napoli di Lauro, il candidato-alla-porchetta deve aver seriamente riflettuto che oggi le scarpe le abbiamo tutti, la millelire non c’è più e l’euro provatevi a dividerlo in due; alla pancia invece non si comanda, e fatti i dovuti rapporti distribuire una fettaccia di porchetta subito e la seconda (forse) a voto ottenuto può essere comunque una buona idea. Vino, birra e bassa musica per completare, e le folle saranno sue. O così crede lui.
Non hanno ancora pensato, qui, al monumento alla porchetta come a Roma-Trastevere nel giugno scorso, ma considerato il livello di consapevolezza animalista dei candidati e di parte dell’elettorato, ce la possono fare. Intanto potrebbero farsi regalare quello di Roma, visto che è stato rimosso.
Anche l’ambientalismo può attendere. N
ell’ultimo giorno - grazieadio - di campagna elettorale a San Benedetto non si respira, e non è solo metafora: camion-vela e scarichi democraticamente puzzolenti per tutti, vele che s’incrociano e si sfiorano come all’autoscontro - con le foniche sovrapposte in una babele demenziale e fracassona - e i fumi dell’arrosto e del fritto; su tutto, megapalco e decibel a manetta per un candidato che fu assessore verde (!) in amministrazioni sciagurate non meno di questa in scadenza [sappiamo com’è finita grazie a loro: per trovare un pino a San Benedetto lo devi cercare sui libri].

Sono le elezioni, bellezza.
 

Vedete che la ricca e satolla San Benedetto non ha nulla da invidiare alla Napoli del fascista monarchico Achille Lauro, le manca solo la fame.
 
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*  “I maiali sono tra gli animali più sfruttati dall’industria zootecnica, sottoposti a pratiche crudeli […]”
     (Walter Caporale)

Sara Di Giuseppe - 1 ottobre 2021

 

VOGLIO FARE L’ASSESSORE

Avevo questa stessa voglia il 4.4.2010, quando mi autoproposi ufficialmente per un assessorato alla Regione Marche, ma il presidente/governatore Spacca non mi scelse, preferì altri meno adatti di me, neanche mi telefonò, perbacco, non ero raccomandato…

La stessa voglia mi torna adesso dopo 11 anni, a San Benedetto domenica si vota per le comunali, certamente tanti assessori - se non tutti - saranno nuovi: io voglio fermamente essere uno di questi, stavolta sono raccomandato in alto, da (omissis, omissis, omissis, omissis).  

Ma non voglio essere sfacciato e scegliere la delega, basta che il sindaco eletto mi chiami e mi piazzi nell’assessorato che vuole, la legge dice che gli assessori possono essere scelti anche al di fuori dei consiglieri eletti, quando ne valga la pena.

Eccome se ne vale la pena, guarda qua: 

-          Non ho tessere di partito, sono mimetico, accomodante, qualsiasi sindaco mi va bene, giuro.

-
          Il mio cuore non batte né a destra né a sinistra, praticamente non batte. Però può battere a comando, impetuosamente, da qualsiasi parte. Senza infarti.

-
          Niente mi atterrisce, sono come un soldato, un carabiniere, un robot. Con l’indole gregaria che mi ritrovo, ubbidisco meglio di uno yes-men
        Per es. se mi dici di tagliare un albero, io ne taglio due.

-
         Alzo la mano a comando, sorrido a comando, porto la borsa senza toccare i soldi, firmo quello che devo firmare senza fiatare. Quando mi concentro son capace
       di qualsiasi bassezza, a comando.

-
         Non ho cultura (non sono un intellettuale, un poeta, un artista, un professore, un pensatore, sennò mi candidavo a Grottammare), a San Benedetto potrei ben
        fare l’assessore alla Cultura.

-
          Non sono giornalista, cosa mi impedirebbe di dirigere l’Ufficio Stampa del Comune?

-
          Non sono avvocato, medico, generale, ingegnere, architetto, commercialista, prete… e neanche pescatore, ristoratore, albergatore, (im)prenditore. Non ho
        uno chalet. Non so fare niente, ma posso far finta. Qualsiasi delega sarebbe okkey per me, non ho i lacciuoli del professionista.

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          Non sono intelligente ma lo sembro. Non ho idee, le mie idee sono quelle del sindaco che mi si prende. Sono un somaro di lusso, senza ambizioni di carriera,
        senza pretese a parte lo stipendio.

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          Andrei d’accordo con tutti i dirigenti graditi al sindaco, con gli altri assessori e consiglieri graditi al sindaco, ma anche difenderei il mio sindaco da ogni nemico
       con sprezzo del pericolo. [Intanto lo dico...]

-
          Potrei anche diventare il più acceso degli ultras della Samb, se qualcuno mi dice dove sta lo stadio.

…….

-
      Ma la cosa più importante è che non manderei più i miei stupidi green fax né scriverei più quei ridicoli pezzi firmati PGC. Anzi, chiedo scusa per il fastidio  procurato. E diventerò amico fraterno di tutti i giornalisti, di tutti i velinari, di tutti i pennivendoli che adesso non mi possono vedere.

-
         Sono perfetto, no? Quindi caro sindaco sceglimi, chiunque tu sia. Dammi retta, fidati, non perdere questa occasione. Dammi l’assessorato che ti pare, ti servirò come un cagnolino, non te ne pentirai. Uno meglio-peggio di me non c’è. Se vuoi mi taglio la barba.
 

PGC -1 ottobre2021