18/07/14

Eleonora Abbagnato e le Stelle dell’Opéra di Parigi al Civitanova Danza 2014. “Qualcosa di alto”

In the Middle Somewhat Elevated” (poco traducibile, ma più o meno “Al centro, qualcosa di alto”) è forse uno dei passaggi più belli della serata, coreografia di William Forsythe, sulle ossessive martellanti note di Thom Willems. Ma “Qualcosa di alto” è anche metafora di questa sera di danza - e che danza - al Teatro Rossini: mostri sacri della coreografia internazionale (Béjart e Forsythe, Nureyev e Petit, Preljocaj e Stevenson), e interpreti che danno corpo all’idea di perfezione, stelle dell’Opéra di Parigi ed Eleonora Abbagnato su tutte, raro amalgama di rigore formale, intensità espressiva e travolgente seduzione.
Il percorso - antologico - segue uno schema circolare che dall’apertura sulle intermittenze amorose dei Three Prelude coreografati da Stevenson su musica di Rachmaninoff, si chiude nella seconda parte sulle tre coreografie In the Night da notturni di Chopin eseguiti dal vivo al pianoforte da Enrica Ruggiero.
All’interno del “circolo”, il programma trascorre dalle vette del balletto classico all’inquieto vigore della danza contemporanea fra simmetrie e antitesi: il più romantico dei passi a due, dal Romeo e Giulietta di Prokofiev coreografato da Nureyev, è contrapposto a quello modernissimo di In the Middle Somewhat Elevated di Forsythe sulle note urticanti di Thom Willems. Interpretati dalla stessa coppia di danzatori, il primo imprime alla drammatica sensualità degli sposi il presagio dell’incombente destino, mentre la coreografia di Forsyte è pura forza vitale, “balletto astratto fatto di puro movimento” che destrutturando il linguaggio classico conferisce alla danza “la caratteristica della dinamica atletica”.
Il classicismo mozartiano della coreografia di Uwe Scholz con la forza teatrale del suo “Jeune Homme”, torna nell’intenso “Le Parc” (la Abbagnato con Benjamin Pech) del franco-albanese Preljocaj, perfetta congiunzione di età classica e coreografia moderna.
Le tragiche figure di Esmeralda e Quasimodo (Abbagnato e LeRiche) in Notre Dame de Paris animano un balletto d’azione di prorompente energia drammatica; e ancora, il potente assolo, di assoluta perfezione formale, di Alessio Carbone (primo ballerino dell’Opéra) sensuale e sulfureo nel béjartiano “Arepo” su musica di Gounot.
Ce n’è quanto basta per elettrizzare qualsiasi spettatore. Ma proprio qui è forse il limite della serata: a dispetto dell’eccellenza, indiscussa cifra di questo appuntamento, è difficile sottrarsi alla sensazione di aver assistito ad una serata “volutamente” accattivante, con un impianto antologico eterogeneo e di sicura presa sul grande pubblico. Penso, per quel che vale, che una partitura unica o comunque più coesa rispetto ad un’antologica pur stellare, avrebbe impresso alla serata un sapore forse meno “piacione”, forse meno turistico, di certo più corroborante.
Tra il pubblico, presenze decisamente poco consapevoli: quelli che arrivano in ritardo, quelli che scartano rumorosamente caramelle, quelli che perfino pescano patatine dal loro bravo sacchetto…
Più di una pecca, purtroppo, nell’organizzazione: sorvolando sulla struttura pochissimo funzionale della sala (e quei bagni da stazione ferroviaria…), dirò “solo” dell’incomprensibile scelta di far entrare il pubblico in sala tutto insieme (immotivata, essendo i posti tutti numerati) e a pochi minuti dall’orario d’inizio: risultato, ammassare i presenti scomodamente e rumorosamente nell’atrio per un tempo infinito, rallentare inopportunamente la sistemazione in sala creando disagio e ritardo nell’inizio; dirò dell’assurda tolleranza di ammettere scostumatissimi ritardatari a spettacolo iniziato; del continuo passaggio di operatori televisivi e/o altri - chissà quali - “addetti ai lavori” lungo i corridoi laterali durante lo spettacolo; del vezzo di non comunicare la durata dell’intervallo (basterebbe indicarlo, insieme alla durata della serata, nel programma di sala come si fa altrove), che lascia nell’incertezza i puntuali e incoraggia la maleducazione di chi ama tornare al suo posto all’ultimo secondo e a proprio comodo. E, ahimè, quel “saluto dell’autorità” in apertura, insopprimibile insostenibile municipalistica mania autoctona…
Una serata stellare, ma anche una serata normale, meritano di meglio.

Sara Di Giuseppe


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