23/03/14

Teatro dell'Aquila di Fermo: il coccodrillo di Leopardi. Mario Martone porta in scena il “grande recanatese”

Mortali, destatevi. Non siete ancora liberi dalla vita.
(G.Leopardi, “Cantico del Gallo Silvestre”)

Sul palco, davanti al sipario chiuso, una sedia vuota e un coccodrillo acquattato: aria più sorniona che truce, come si conviene a un lucertolone di plastica, senza spargimento di sangue tornerà dietro le quinte a missione compiuta. Inganniamo l’attesa compilando diligenti il questionario consegnatoci all’ingresso (tra i desiderata indichiamo di getto - sommersi da cappotti e sciarpe - “attivare il servizio guardaroba” e “più puntualità”); invano, perché non vedremo qualcosa o qualcuno che li raccolga all’uscita. Di sicuro siamo noi a non aver trovato, siamo anzianotti. Pazienza.

Intrigante l’idea di una trasposizione drammaturgica delle Operette Morali, operazione a cui il corpus parrebbe prestarsi in virtù della struttura variegata, della pluralità dei registri, la cui organicità risiede nel fine che è quello di irridere alle mistificazioni antropocentriche, respingere "ogni illusione riparatoria rispetto all’infelicità dei mortali" (che sia il mito del progresso o la prospettiva religiosa), accogliere senza infingimenti la tragica umana consapevolezza del vero. E tuttavia sarà un crescente senso di delusione a insinuarsi col procedere dello spettacolo e a fissarsi come l’impronta più netta della serata. Indubbia la fedeltà ai testi e sicuro il professionismo degli interpreti, ma la complessità argomentativa e i registri stilistici che dei Dialoghi compongono la poderosa struttura scoloriscono appiattendosi nella trasposizione scenica e molto si perde del registro lirico e del potente afflato tragico che permeano l’opera.
Se il comico è funzionale nei Dialoghi alla rappresentazione del tragico, e l'ironia prevale anche nel dipanarsi di temi filosofici dolorosi e terribili, chi abbia amato - fra gli altri - il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, troverà imperdonabile l’averlo reso una sorta di happening di zombies dalla faccia verdastra; imperdonabile che del “Coro dei morti”, stanza di canzone che apre il Dialogo, si perdano la tragica potenza - Che fummo? Che fu quel punto acerbo che di vita ebbe nome? - e la limpida intenzione filosofica nei versi poco distinguibili cantati dal Coro dietro il sipario chiuso (pur se di qualche suggestione emotiva). Complici sono forse le scene poco efficaci (benché di Mimmo Paladino) unite a non indovinati espedienti (un po’ da recita scolastica): i globi luminosi in testa alle personificazioni della Terra e della Luna nel Dialogo omonimo; il testone di gallinaceo di modello carro-viareggino per il Cantico del Gallo Silvestre; il pupazzone con nicchia su cui, nel Dialogo della Natura e di un Islandese è poco ieraticamente appollaiata la Natura stessa coi piedi penzoloni: resta poco del respiro tragico con cui quella “forma smisurata di donna […] di volto mezzo tra bello e terribile” afferma le leggi di un inesorabile materialismo (“Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione”), la propria totale indifferenza alle sorti umane e la marginalità dell’uomo nell’universo (“…Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei”) e lascia irrisolte le disperate domande di senso dell’IslandeseEd è un peccato che proprio il personaggio Leopardi/Tristano del “Dialogo di Tristano e di un Amico”, con la sua sfida all'ottimismo del secolo, sia quello più in ombra di tutti.
Ci sono eccezioni. La “Storia del genere umano”, efficacemente trasferita dal narratore esterno a un canuto severo Giove narrante, mantiene integra la dimensione mitica e allegorica entro la quale si dispiegano le vicende di una umanità tragicamente destinata alla più completa e consapevole infelicità.
Il “Dialogo di Plotino e di Porfirio” conserva il tono dolente e pensoso del confronto fra i due neoplatonici, che alla rivendicazione del suicidio da parte di Porfirio come rimedio alla condizione esistenziale - “contro natura” perché votata all’infelicità - oppone con Plotino/Leopardi una morale che da filosofica si fa sociale e solidaristica (“Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme”) anticipando l’altissimo tema civile della “Ginestra”. Nel Cantico del Gallo Silvestre, neppure la viareggina testa di pennuto riesce ad oscurare la desolata visione di un universo proiettato verso il nulla, quando “un silenzio nudo, e una quiete altissima empieranno lo spazio immenso”.
Improbabile, insomma, che il Leopardi di questa sera abbia innamorato di sé lo studente avventuratosi in teatro dietro minaccia del prof… Se aggiungiamo Dustin Hoffman, milionario piazzista della Regione Marche per interposto Leopardi, cominciamo a capire perché sul recanatese Colle dell’Infinito stiano per schiaffarci un Bed&Breakfast.


Sara Di Giuseppe

1 commento:

  1. E allora non resta che dire anche noi "viviamo e confortiamoci insieme".... Comunque non è la prima volta che, andando molto controcorrente, penso che la fama di Martone sia alquanto usurpata... Ma anche su questo aspetto del problema Giacomino troverebbe senz'altro uno dei suoi straordinari commenti, quindi noi tacciamo.

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