08/10/13

“Rush” di Ron Howard. Il bello e la bestia

E’ vero.
Il film è piacevole e si esce dalla sala soddisfatti di aver trascorso due ore in compagnia di ottimi professionisti del cinema e di una bella storia. Ma basta così poco perché un film sia definito una buona opera artistica? Se sei un fan della Formula Uno o se, come me, hai vissuto quegli eventi sportivi incollata per ore al teleschermo a fianco di tuo padre e tuo fratello, il film non può che appassionarti ed emozionarti.
Ma se, oltre a vivere di ricordi sei anche un’irriducibile cinefila, sono sempre io, il film suona a vuoto, con la profondità di una pozzanghera, una delle tante che trovò in pista Niki Lauda durante le prove del suo rientro a Monza nel 1976.
La storia, scritta da Peter Morgan, a oggi uno dei più acclamati sceneggiatori, si muove dalla griglia di partenza della gara di Monza, sei settimane dopo l’incidente di Lauda al Nurburing, quando il pilota rischiò di morire nella sua auto, riportando gravi ustioni al volto.
Il film inizia con la voce di Lauda fuori campo che, in linea con il suo carattere calcolatore, recita alcune statistiche: “Venticinque piloti sono ai posti di partenza ogni stagione e ogni anno due di noi muore. Che tipo di persona può fare questo per un posto di lavoro?” Morgan racconta una dicotomia interessante nella rivalità tra il playboy britannico James Hunt e l'austriaco uomo-macchina Niki Lauda. Hunt, interpretato dal bellissimo attore australiano Chris Hemsworth (Thor, The Avengers) è tutto ego, un dio biondo che ama lo champagne, le donne e soprattutto il rischio: un banale James Bond in tuta rossa, con uno snob accento britannico. Lauda, interpretato dall'attore tedesco Daniel Brühl, è completamente l'opposto: piccolo, brutto, sobrio, arrogante sulle sue capacità. Lauda pensa a tutto mentre Hunt non pensa a niente, tranne che alla sua prossima conquista femminile, in qualsiasi situazione, l’infermiera che lo medica dopo una rissa o, con il ginocchio rotto, un’assistente di volo. Lauda è tutto testa, Hunt è tutto cuore (o forse qualche altro organo), e il film continua a battere sul tema degli opposti, non certo un’idea originale. Ma la grande sorpresa è che Ron Howard, così tardi nella sua carriera, abbia impiegato tanta energia e talento per un cartone animato sulla mascolinità. Ma forse non è un caso.
Il film è frutto di un calcolo per arrivare ad un pubblico giovane, che non ha vissuto quegli anni, attraverso l’adozione di una fotografia dai colori bruniti ed irreali, tipici di serie televisive di successo come CSI o di stupidi film come “300”. Ron Howard, inoltre, caratterizza superficialmente i personaggi secondari del film, in modo che si pensi che la gente che vive attorno alle corse automobilistiche sia vacua e poco intelligente.
Esiste una fiera tradizione di film di corse automobilistiche, in particolare negli anni ‘60 e '70, “Vincere” con Paul Newman, “Bobby Deerfield” con Al Pacino, anche “Le Mans” con Steve McQueen, dove la morte è la protagonista di queste storie. Questo è vero anche per “Rush”, ma in tempi e modi diversi. La morte ha, infatti, un posto secondario in griglia di partenza.
La scarica di adrenalina è diventata la protagonista principale dei film d’azione moderni, ma non c’è bisogno di una macchina veloce per mostrarla. Può essere benissimo un camion, un “Trasformer” o un film d'animazione con gli aeroplani per bambini. Howard ha affrontato il dilemma inevitabile: come si fa a raggiungere un pubblico giovane dato che fin da bambini hanno già visto e provato tutto? La sua risposta è stata quella di trovare una storia semplice e forte, comprensibile a tutti: due uomini, un premio, una rivalità per la morte.
E’ vero che Lauda e Hunt erano feroci rivali in pista e non particolarmente amici fuori di essa, ma questo vale per quasi tutti i piloti di F1. Allora perché la scelta è caduta su questi due in particolare?
La risposta è che il loro braccio di ferro diventò epico nel 1976, quando Lauda ebbe il terribile incidente, dando ad Hunt la possibilità di vincere il suo primo ed unico Campionato del Mondo.
Mi aspettavo di più da un film diretto da Howard con la sceneggiatura di Peter Morgan, che ha scritto “The Queen” e “The Special Relationship”. Non dimentichiamo che l'ultima volta che questi due hanno lavorato insieme hanno realizzato lo splendido “Frost / Nixon”.
Questa volta si tratta di una battaglia, bandiera a scacchi o morte, tra una “faccia da topo” capace non solo di guidare, ma di modificare una macchina e un inglese beone che sa solo spingere sull’accelleratore. Dopo l'incidente, la storia diventa simile alla favola “La Bella e la Bestia”, ma è solo Lauda che ne emerge con vero coraggio e carattere. In questa caratterizzazione Hunt è sgradevole, maleducato e insulso, appena degno di considerazione, uno sbruffone dai lunghi capelli biondi.
Mentre il film va avanti, Lauda dimostra invece di essere un gigante rispetto al rivale, in pista e fuori, eppure Howard continua fino alla fine la storia della loro rivalità. Anche nei manifesti promozionali del film, il viso di Lauda è in secondo piano e in altre versioni c’è solo la bella faccia dell’attore australiano. La storia del recupero di Niki Lauda dopo l’incidente è straordinaria, (non dimentichiamo che si fece costruire un casco che non gli facesse sanguinare le ferite ancora fresche), un esempio di coraggio e una grande pagina della storia dello sport. E Ron Howard lo sa.
La rivalità non è molto più che un episodio, ma diventa l'evento principale del film solo per finalità di marketing. Si tratta di un'occasione mancata, guidata dal cinismo di un grande regista.


Antonella Roncarolo

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