07/10/13

“Ho dentro il mio paese”. Omaggio a Pericle Fazzini nel Centenario della nascita. Giarmando Dimarti, a dispetto del tempo

Ho dentro il mio paese”, annotava Pericle Fazzini e di certo “le piante, il vento, gli ulivi, il mare” non lo hanno “lasciato”. Il suo paese sì, forse Grottammare non l’ha mai accolto davvero, neanche da vivo.
Dev’essere così, se il suo “Ragazzo con i gabbiani” posato sullo scoglio in riva al mare suscitò, per quel sedere nudo, più d’un mugugno tra le intemerate schiere del bacchettonismo locale; se l’incuria di oggi
lascia spenti i due faretti che a sera dovrebbero fargli compagnia (mentre illuminatissima è la brutta installazione che più avanti magniloquente celebra la casualità geografica dell’essere attraversati dal 43°parallelo, quasi fosse per meriti nostri); se nella centralissima piazzetta a lui intitolata, alla sua “Metamorfosi” (bozzetto di un monumento a Kennnedy) appendono - quasi - mutande e merce bancarellara nel mercato settimanale, e in estate la soffocano coi turpi concerti di musicaccia fracassona; se l’unico - bellissimo - Museo interamente dedicato alla sua opera l’ha fatto Assisi… Se il Convegno che Grottammare gli dedicherà a dicembre, dovrà essere risparmioso. Se San Benedetto, due passi da qui, ne ha “celebrato” il Centenario con un’opera esposta in piazza Giorgini per qualche ora appena, e rimossa poi per far posto al cafoname di auto da matrimonio, apripista al mercatone espanso di un “Antico e le Palme” che vende aspirapolveri Folletto accanto a cassapanche simil-antico.
Forse per questo, nel bell’Happy hour culturale di sabato 5 ottobre dedicato all’artista, alla Galleria Opus i grottammaresi nativi si contavano sulle dita di una mano, e accanto al sindaco di oggi non c’erano quelli di ieri che finsero di occuparsi di cultura finché fu buona a portar voti. E neppure c’erano giovani, nè studenti… Così quel Fazzini che ieri ci parlava attraverso il visionario Dimarti e il travolgente Di Bonaventura (non-grottammaresi anche loro) ce lo siamo goduti in pochi, e quasi “stranieri”.
Versificare potente e aspro, “difficile”, quello della raccolta “A dispetto del tempo” (da Dimarti dedicata “A Pericle Fazzini dopo la mostra “Il luogo dei natali” del 2003) che dai frammenti di annotazioni del “maniaco fabbricante di forme” s’innalza e s’inabissa e scava dentro il travaglio creativo dell’artista, fino all’opera più grande, quella "Resurrezione" nella quale “siccare adverto vigoria” e che lo segnerà definitivamente nel corpo.
Vincenzo Di Bonaventura voce recitante, maneggia poderosamente la lingua poetica di Dimarti quando si fa antichissima e dotta, e quando improvvisamente torna sperimentale e modernissima, a marcare la distanza dal superficiale chiacchiericcio, dal tumulto “su omne omato squittire”; perché il ricordo, dice il poeta, pur “necesso”, è “acqua che s’impipa tra le dita” se ridotto a vuota forma e pretesto per piazzare “gracule cibarie a sciagurare esorcismi indulgenziali”.
Aveva “l’Adriatico sulle spalle”, Pericle Fazzini; conosceva l’armonia del vento “che rasa con violenza e con dolcezza il mare”; per lui “anche un mucchio di sassi ha il suo senso armonico”. Oggi, che i sassi non ci sono più, coperti dalle sabbie nere; che non ci sono più le canne da lui amate; che in luogo di sassi canne e tamerici antiche (“il ciottame scalzo le straripe sradiche tesine radici l’erboso fastidiato canneto”) e abbiamo lungomari di cemento e di finti giardini, ed erigendi muretti e cordoli per far la città più bella e più grande che pria, chissà se oggi l’avrebbe ancora “dentro”, questo suo paese bulimico e arreso al brutto. Per me, se tornasse, se ne scapperebbe con un barcone… magari per “toccare l’infinito, poi morire”.

Sara Di Giuseppe


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