05/05/13

Le maratone di Vincenzo. Una Divina Commedia da Guinness dei primati.

Alle “infernali” maratone di Vincenzo Di Bonaventura siamo abituati. Ma quella di ieri è stata tra le più epiche entusiasmanti coinvolgenti massacranti istruttive e commoventi. I primi undici Canti dell’Inferno - quasi 1500 versi - a memoria in 2 ore e 11 minuti. Incluse le “istruzioni” all’ascolto e alla comprensione dell’opera poetica più maestosa e terrificante della letteratura mondiale. E dopo, ancora avventurose incursioni in altri Canti e Gironi. 2 ore 11 minuti è un tempo da maratone di NewYork Londra Boston Praha, ma prova a correrle senza una pausa, un ristoro, neanche un bicchier d’acqua! Fin dalla partenza Vincenzo è andato come un treno, ritmi altissimi, sfiancanti, potenti. Senza un cedimento.
Senza un’amnesia. Finendo esausto ma grintoso, quasi sfidandoci a continuare la maratona con lui. Solo la complessa attrezzatura tecnica (comandata sempre dalle cento mani del nostro attore solista) ha un po’ tradito causa l’età, ma lo spettacolo si è sempre mantenuto su tensione di livelli altissimi, stregando i radi spettatori. Nessun altro “concorrente”, ovvio: Vincenzo il “suo” Inferno lo corre da solo, e “fa” tutti i personaggi che incontra per strada. Con soltanto un arbitro, e che arbitro: Virgilio. Certo, ci sono altri pur bravi e volenterosi attori che si cimentano in Dante, ma producono Inferni convenzionali, morbidi, statici, benigni, dai percorsi poco accidentati. Senza infernali insidie. E s’aiutano pure con gobbi leggii scenografie orchestre cori balletti manovalanza in quantità… Giusto, si capisce. Li seguono grandi pubblici, nelle piazze, nei teatri, in tv, e pure all’estero. Mentre un Canto tira l’altro e versi neniosi scorrono lisci, pianeggianti e monotoni come asfalti di Danimarca, però t’intontisci e quasi t’addormenti. Fortuna ogni tanto la pubblicità. Niente pugni allo stomaco, né sussulti. Recitazione a velocità e intensità costanti, da imperturbabile motore elettrico. Linguaggi del corpo minimi, economia di respiri e di gesti. Tutto prevedibile, rassicurante, scontato. Insomma: Inferni stanchi da liceo, con la sordina, da trangugiare per contratto, da capire quel poco per non farsi bocciare, da stentata sufficienza. Inferni senza scosse, senza dannazione, senza peccato, senza paura, senza orrore, senz’anima... Inferni annacquati, per niente infernali. Da ri-dimenticare subito. Infatti. La distanza tra l’Inferno di Vincenzo e gli altri è quella che c’è tra uno sconosciuto ineguagliato campione kenyota degli altopiani e un pallido atleta famoso costruito in provetta dagli sponsor. Le faticatissime maratone di Vincenzo Di Bonaventura poi non si corrono nelle sfavillanti NewYork Londra Boston Praha, ma all’Aikot 27, il bellissimo glorioso e negletto teatrino auto-costruito del paese alto, condannato purtroppo ad un altro trasloco…

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