25/06/14

Giacomo Marramao: “L’Europa dei filosofi”

Curioso trovarsi ad ascoltare Giacomo Marramao una sera nelle Marche, a Fermo, e il giorno dopo in Umbria, a Perugia (tanto che gli chiediamo dove sarà l’indomani, magari capita di incontrarlo di nuovo…). Ma l’esperienza è apprezzabile, e la visuale offertaci dalla conferenza marchigiana nell’interessante contenitore “Fermo Sui Libri” non è meno suggestiva della Lectio Magistralis perugina, “L’Europa dei filosofi”.
Tema centrale degli incontri, il ruolo dell’Europa nel mondo globalizzato. Punto di partenza, l’idea di universalismo, oggi.
“Il fenomeno di vastissime proporzioni che va sotto il nome di globalizzazione o mondializzazione non può essere inquadrato entro limiti esclusivamente tecno-economici”, ma va ripensato nella prospettiva di un “universalismo delle differenze”. Come osserva il filosofo, nella degenerazione delle democrazie odierne condizionate dai poteri finanziari non si è realizzato il pluralismo delle identità bensì quello degli interessi, e il modello unificante del mercato non è più in grado di funzionare come strumento di governo poiché accoglie una dimensione della vita, quella economica, che non produce identità (e “questa è una delle tragedie della modernità”).
La casa dell’universale non è già costruita”: va costruita dunque multilateralmente, come un sistema aperto che parta da una nuova idea dell’inclusione e realizzi una “politica universalista della differenza” (che implichi, aggiunge il filosofo, una politica interna europea - per esempio una politica dei flussi migratori - e una politica estera europea, e una politica del lavoro europea, ecc.).
Muove dall’antico, il filosofo, per ricordarci ciò che grandi storici americani, tedeschi e francesi hanno da tempo dimostrato: che le civiltà delle poleis declinarono proprio a causa della loro tendenza entropica, non contemplando al loro interno l’inclusione delle diversità. La cittadinanza greca non comprendeva infatti i “barbari”, gli stranieri, così come escludeva le donne: gli uni e le altre erano fuori dalla politica cui avevano accesso solo i maschi adulti liberi e autoctoni. Saranno i due grandi macedoni, Filippo II° e poi Alessandro con la sua orientalizzazione del mondo greco, a realizzare la prima globalizzazione della storia: da essa la civiltà greca risorge dal declino cui la condannava l’assenza di quell’indispensabile dispositivo di civiltà che è l’inclusione. D’altra parte, ricorda Marramao, “la storia è sempre stata storia di fenomeni migratori”, e questi hanno sempre preceduto i grandi cambiamenti nella struttura delle società. La globalizzazione realizzata da Alessandro delinea già, a quanto pare, una configurazione dell’Europa, segnata da quattro città-simbolo: Atene, Gerusalemme, Alessandria e Roma (è in quest’ultima in particolare che si realizza l’idea della civitas come spazio suscettibile di racchiudere una pluralità di gentes, pur nel rispetto delle leggi di Roma).
A partire dal Medioevo, e poi soprattutto dalla pace di Westfalia (1648) - con il nuovo sistema geopolitico che ne nasce e che ingloba quasi tutta l’Europa - un fenomeno di intensissima urbanizzazione fa di questa il “continente delle città”: città fortificate, economicamente autonome e in affari tra loro, la cui nascita precede quella degli Stati e che - differentemente da questi - realizzano un’integrazione orizzontale che è nel contempo sociale, etnica, culturale, religiosa. Anche la cultura è in movimento, così le città vanno rassomigliandosi, nell’arte come nell’architettura, come nell’urbanistica. Importanti più delle “Regioni”, più delle stesse “Nazioni”: un modello vincente, quello delle città-mondo.
Ecco, ci dice Marramao, è attraverso le città che l’Europa va ricostruita; e l’Italia, che in questa Europa è il paese delle città-mondo per eccellenza (Firenze, Venezia, Palermo, Ferrara, Perugia, ecc. sono tali, nel giudizio del filosofo), ha un potenziale straordinario che le consentirebbe oggi di svolgere un ruolo guida. Oggi, il modello della piccola e media impresa la rende simile infatti a ciò che essa è stata nel ‘500, quando era il paese non solo più culturalmente avanzato d’Europa, ma anche il più ricco dell’Occidente per la rete di tecniche manifatturiere e bancarie che le conferivano un livello economico-produttivo-tecnologico sofisticato e apprezzato fuori dai confini. Una realtà sulla quale rifletteva con passione Machiavelli, convinto che non trovare il moltiplicatore in grado di sfruttare questa potenzialità avrebbe portato i “barbari” a sopravanzarci (ciò che è effettivamente avvenuto).
Purtroppo - sottolinea il filosofo - mai come oggi la coscienza collettiva appare lontana da questo obiettivo. Scetticismo da condividere, ci sembra, specialmente riguardo al ruolo dell’Italia. Il “paese delle città-mondo per eccellenza” appare lontano dalla possibilità di realizzare quella auspicata “rete di città auto-organizzantesi in creativa autonomia”. Ciò che le città europee - anche se non tutte - furono capaci di realizzare secoli fa, riunendosi in reti di leghe e associazioni (le città anseatiche, ad esempio, che durarono secoli: economie simili, la dipendenza dall’acqua, esportazioni, importazioni, traffici) appare utopico di fronte al separatismo municipalistico e competitivo delle città italiane.
Certo l’Italia del 1500 può essere considerata un prototipo di Europa come osserva Marramao. Ma nell’Italia di oggi queste “città-mondo” - mi pare - sono prive di respiro comune, lontane da quel progetto di “civitates” legate, in un sincretismo di esperienze, all’idea di una rete delle città; frenate piuttosto da campanilismi e individualismi, divise da protezionismi e conservatorismi (l’assurdo perpetuarsi delle Regioni a statuto speciale, la gelosa conservazione di Province e Regioni, per esempio…). Devastate infine dalla cattiva politica.
O forse Marramao ha ragione, al di là degli scetticismi, nel dare fiducia alle nostre città come “punto di partenza” per un’Europa diversa. Ma occorrerà approfondire il problema, magari in un… terzo incontro: forse nella cornice pesarese dell’imminente Popsophia, il cui tema conduttore - l’intrigante “Nostalgia del presente” - ci porterà ancor più lontano.


Sara Di Giuseppe

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