07/11/13

Ultimi passi alla 55. Biennale di Venezia: il laboratorio di Sze al padiglione degli Stati Uniti

Il Padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia dall’anno della premiazione di Robert Rauschenberg avvenuta nel 1964, che consacrò il filone della Pop Art e dei mercanti americani, ha lasciato nel tempo il dubbio su possibili interpretazioni commerciali. Tali tendenze nel corso degli anni, a onor del vero, si sono viste più nel Padiglione ex Italia (o Centrale, o La Biennale) e lungo le Corderie dell’Arsenale, rispetto ai contenuti proposti dall’edificio del 1930, di struttura pseudo palladiana, sede Usa.
Infatti, senza andare troppo indietro nel tempo, nel 2011 il duo Jennifer Allora (americana) e Guillermo Calzadilla (cubano), attualmente alla Fondazione Trussardi di Milano, firmarono la loro presenza con il titolo Gloria perché “piaceva l’idea di dare un nome femminile al padiglione degli Usa con opere marcate da uno spirito di attività critica e di profanazione”. Di conseguenza, l’emblema di due anni fa era rappresentato da Track and Field, ossia un carro armato dai mille significati trasformato in un tapis roulant usato per fare jogging.
Dunque un filone concettuale e di basi scientifiche che continua anche nel 2013 alla 55. Biennale di Venezia presso i Giardini, fino al 24 novembre, con il progetto di “Sarah Sze: triple point”. Come afferma la stessa artista “al centro della mostra è la nozione di bussola e come noi ci situiamo in un mondo perennemente disorientante. Ciascuna delle sale opera come un sito sperimentale, in cui gli oggetti tendono a diventare strumenti o montaggi per misurare o modellare la nostra posizione nello spazio e nel tempo. L’aspirazione a costruire modelli che catturino la complessità e l’impossibilità di quell’impresa, è il punto centrale dell’opera”. Un grande laboratorio che la Sze compone di “resti archeologici di esperimenti falliti”. Dal 1990 l’artista Sarah Sze, classe ‘69, ha sviluppato un’estetica scultorea che trasforma gli spazi attraverso mutamenti radicali di scala, colonizzando spazi trascurati o periferici, dialogando con il tessuto e la storia di un edificio. La percezione dello spettatore e l’esperienza architettonica sono spostate attraverso interventi specifici di grandi dimensioni. A livello tecnico tutto parte dalla definizione che la termodinamica indica al termine “triple point” che designa una singolare combinazione di temperatura in cui tutte le tre fasi di una sostanza (gassosa, liquida e solida) coesistono in perfetto equilibrio. La triangolazione, cioè la misurazione della distanza da tre punti ordinali, è anche usata per determinare un punto specifico dello spazio. L’opera di Sze fa riferimento a entrambi questi concetti, la fragilità dell’equilibrio e il desiderio costante di ritrovare stabilità e posizione. Contrariamente ad altri allestimenti di altri artisti, in questa edizione l’ingresso del Padiglione è stato trasferito a una vecchia porta di uscita a sinistra della rotonda d’ingresso. All’interno lo spettatore incontra strutture improvvisate, alcune apparentemente ancora in costruzione, che richiamano modelli, macchine e strutture come in un planetario, un osservatorio, un laboratorio, un pendolo e dispositivi di misurazione o elementi per localizzare i corpi nello spazio.

Alain Chivilò

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