23/11/13

Un viaggio a Praga emozioni incluse. Before I die I want to…

Novembre 2013. Praga, Kampa Park. Il muro in mattoni divide i viali ben curati del parco dall’argine della Vltlava, per noi Moldava: trasformato in sorprendente lunghissima lavagna a cielo aperto, invita la fantasia dei passanti a interrogarsi su cosa vorrebbero prima di morire. Before I die I want to, Předtím než zemřu, chci… (Prima di morire, voglio…).
Si confondono sovrapponendosi le risposte scritte col gesso, cancellate, riscritte, ricancellate. C’è chi vuol “Visit Jerusalem”(!), chi vuol abolire il capitalismo (“Odstranit Kapitalismu”), i meno fantasiosi vorrebbero dirle-che-l’amo e altro di non riferibile in fascia protetta…
Al di là del muro e del fiume, l’interminabile merletto dei palazzi antichi, la splendente corona dorata del Národní Divadlo o Teatro Nazionale, il profilo severo e scuro del Karlúv Most o Ponte Carlo… Travolse tutto, il fiume, straripando in quell’agosto del 2002; centro e periferie sotto milioni di metri cubi d’acqua e Kampa Park proprio lì, figurarsi, nulla si salvò dalla piena marron che raggiunse i secondi piani. Non passò che qualche mese, e quel piccolo gioiello tornò incredibilmente a vivere, identico nella sua struggente bellezza.
Ancora un’esondazione quest’anno, ancora in estate: ma le tecnologiche paratie stagne impiantate dopo il 2002 si sono tempestivamente innalzate contenendo le acque, e il parco, senza danni questa volta, è tornato godibile dopo una settimana. A fatica ricacci indietro i paragoni che ti sorgono dentro: troppo mortificante il confronto tra la sciatta arruffoneria nostrana e l’efficienza mitteleuropea per noi inarrivabile. Qui, la Sardegna, L’Aquila, le Cinque Terre, Genova, la Campania… le metterebbero in sicurezza e le aggiusterebbero in un amen.
Meglio sorvolare, allora, arrendersi con semplicità al piacere sottile di una veduta, di uno scorcio inaspettato, anche di un’atmosfera insolita; come quando sul volo ČSA, sobria compagnia di bandiera, il comandante dalla cabina saluta e si scusa in perfetto italiano “se il personale di volo non parla italiano”; e quando appena atterrato, l’aereo diffonde in sordina ma fedelissimo il secondo movimento (“Vltava”) del Má Vlast (La mia Patria) di B. Smetana (ispirato alla grande Moldava che scorre, è lo stesso che accompagna ad ogni primavera il “fiume” di atleti allo start dell’internazionale partecipatissima Half Marathon, e ogni volta ti emoziona); o come nell’affettuoso Café Savoy quando scesa in toilette ti avvolge suadente la voce di Frank Sinatra che sembra canti solo per te: ti commuovi alle lacrime, quasi, e tardi a risalire… E ahimè, torni a fare confronti, non puoi farne a meno, coi pretenziosi caffè del mio e dei nostri centro-città uccisi dalle musichette idiote e con servizi igienici da periferie afghane; con certi bar dove per la toilette (oddio, toilette) devi rumorosamente “chiedere-la-chiave” così che un ampio uditorio partecipi dell’impellenza della tua pipì…; o con quel borghese caffè del quartiere Zara – a Milano, nella città dell’Expo 2015 - con il… wc alla turca!! Cose di casa nostra, meglio camminare oltre.
E camminando verso Josefov ti compare, sotto il portico dell’Università, quel vecchissimo pianoforte: nero e solitario, incatenato ad un’alta inferriata (perché nessuno lo porti via?). Schiena contro la facciata della facoltà di Filosofia, praticamente in piazza, e per sgabello una vecchia sedia da cucina. Più tardi si animerà sotto le dita di un concentratissimo barbone, la sua busta con le poche masserizie poggiata a terra. E’ bravo, esegue Mozart e qualcos’altro. Mi fermo, per chissà che pudore non mi avvicino, ascolto un po’, poi via…
Before I die I want to… tornare lì, e fargli domande, stavolta.

Sara Di Giuseppe

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