07/10/14

E' uscita la biografia di don Primo Mazzolari, il "prete contro"

Nella biografia del prete di Bozzolo, Primo Mazzolari, non si troveranno i segni di una fede acquiescente, passata all’ombra confortante dei rituali ecclesiastici e delle canoniche orazioni. Piuttosto il grido doloroso, lo squarcio che la coscienza cristiana opera nel velo degli accomodamenti e delle abitudini.
Precursore dello spirito conciliare, sin da giovanissimo, Don Primo ebbe come riferimenti i termini dell’insegnamento evangelico: la carità, l’amore fraterno, il perdono senza speranza di ritorno, la purezza d’animo, una rivoluzione che non sopporta riduzioni di senso.
“Rivoluzione cristiana” (1955) è uno dei suoi testi più significativi in cui, non a caso, Mazzolari spiega il motivo di un atto spirituale di adesione alle radici del credere che, pur traendo spunto da una tradizione millenaria, si rinnova ogni giorno al contatto vivo dell’uomo con la realtà.
“L’impegno con Cristo” – altra opera fondativa della sua Weltanschauung uscita nel 1943 – ha al suo centro il tema del rinnovamento costante delle promesse evangeliche e della lotta duratura, condotta con fermezza e serenità, per l’affermazione di un mondo dove giustizia e fratellanza non siano i termini di un discorso sempre più astratto, lasciato alla retorica, ma i capisaldi di una matura convivenza civile.
L’umile ascolto della parola diviene allora scatto ed ulteriore motivo per difendere le ragioni degli ultimi, per soccorrere i bisognosi, per passare dall’altra parte della barricata nel sempre labile confine tra il Bene ed il Male ed assumere il punto vista dell’afflitto, del peccatore, del perseguitato. Sempre sorretto nel faticoso, eppure avvincente, incontro con l’altro dall’esempio costante del “compagno Cristo”.
In vita questo atteggiamento intransigente di Don Primo, votato alla rinuncia, lontano dal calcolo, avverso alle svariate forme di una religione appariscente, enfatizzata o – peggio ancora – ideologizzata, non trovò, a parte qualche eccezione, intelligenze sufficientemente reattive e sensibili, soprattutto negli ambienti della gerarchia cattolica. Sin dalla pubblicazione di uno dei suoi primi volumi – “Una Bella Avventura” del 1936, incentrato sulla figura del Figliol Prodigo – è l’immagine del “lontano”, come soleva esprimersi Don Primo, del non allineato rispetto ad una tranquillizzante normalità – a tenere banco. L’allusione non puntava tanto a coloro che avevano preso le distanze dalla religione, le vittime dei meccanismi, via via più affinati, di esclusione sociale, quanto su una Chiesa, al contrario, distante dai bisogni della gente, distratta, piena di limiti e debolezze.
La sequela di veti al pensiero di rottura del prete è una triste lista di proscrizioni a cui le parole, essenziali ed asciutte, severe ed accorate del “curato di campagna” – volendo parafrase il titolo un romanzo di Georges Bernanos, il cui protagonista, nella sua sofferta tensione spirituale, sembra da più parti richiamare la vocazione di Mazzolari – non si sono mai sottratte. Prima il regime fascista – che fa pesare la scure della censura su coloro che non rispondono ai canoni di un’Istituzione inginocchiata ai voleri uniformanti della dittatura – poi il periodo post-bellico – dominato dall’egemonia culturale di sinistra e dall’asettico potere politico democristiano – in cui Mazzolari, pur criticando aspramente il comunismo come mezzo di sopraffazione ideologica, ne riconosce i semi di una società trasformata. “Combatto il comunismo, amo il comunismo” divenne l’emblema di una condizione di apertura non condizionata e di un ostinato dialogo verso la diversità di pensiero in cui, al fondo, si scoprono sorprendenti punti di contatto. L’alterità accolta e lasciata fruttificare.
“Adesso”, la rivista da lui fondata nel 1949, procedeva lungo tale linea di condotta. Un foglio contrastato, “Adesso”, inviso al Vaticano, sospeso temporaneamente nel 1950 e poi ripreso sotto la direzione di un laico, Giulio Vaggi, in cui Mazzolari era costretto – proprio per gli anatemi lanciati a più riprese dai superiori – a riparare dietro pseudonimi. Resta ancora oggi – datosi che viene tuttora pubblicato – il carattere coraggioso ed interventista del periodico di un tempo, in grado di affrontare robustamente problemi urgenti per il destino del mondo e di raccogliere le testimonianze di alcuni dei più importanti intellettuali e scrittori cattolici.
D’altronde, Don Primo Mazzolari proveniva da una fase di profonda innovazione del Cristianesimo, rimesso in discussione dall’interno, riformato e ri-discusso. In tempi non sospetti, e prima ancora del Concilio Vaticano II, in piena Seconda Guerra Mondiale, sono alcuni cristiani coraggiosi a tuonare contro l’asservimento ideologico dei credenti: in Francia, con il Mounier – anche qui – de “La rivoluzione personalista e comunitaria” e il Maritain di “Umanesimo integrale”; in Italia con le voci di Dossetti e Lazzati e dei cosiddetti “professorini” di Firenze – La Pira e Fanfani – anticipate, in qualche modo, dal filone “modernista” di Antonio Rosmini e Romolo Murri, il sacerdote marchigiano scomunicato per avere posto a contatto la Chiesa con la complesse sfide della società di inizio Novecento.
Come Murri, Mazzolari non avrà paura di dichiarare le proprie verità – le verità di tutti senza distinzioni ed appartenenze – ovvero la difesa dei poveri, l’esigenza di una Chiesa umile, il bisogno di ascolto, l’ostinazione per la pace, l’impegno per l’eguaglianza e la giustizia. Come Murri diverrà l’apostolo di una fede “agonica”, per dirla con il filosofo spagnolo Miguel De Unamuno, vissuta al pari di una conquista giornaliera.
La riabilitazione di Mazzolari giunse tardiva, poco prima della morte, da parte – e non poteva essere diversamente – dei due papi del Concilio Vaticano II: Giovanni XXIII e Paolo VI. Di lui, anzi, papa Montini – un altro pensatore tormentato, in grado di captare le “res novae” del proprio tempo – così ebbe a dire: “lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro”. Ancora oggi si stenta a riconoscerne la grandezza, per un difetto di approssimazione, nel presente indistinto e poco nutrito di parole autentiche della società attuale. Ma forse – continuando ancora il ragionamento di Paolo VI – questo è il destino che tocca in sorte a tutti i profeti.

Alceo Lucidi

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