22/04/13

Atiq Rahimi: “Come pietra paziente”. Un film declinato interamente al femminile.


Per troppo tempo, le donne afghane non hanno mai avuto un volto e una voce. Fino ad ora.
Con Syngué Sabour – Pierre de patience, lo scrittore e regista afgano, rifugiato politico a Parigi, Atiq Rahimi, dona un volto e una voce a una indimenticabile donna senza nome, una splendida Golshifteh Farahani di origine iraniana, che vive in una delle tante città distrutte dalla guerra civile tra fazioni opposte di combattenti.
Il titolo italiano, Come pietra paziente, deforma il suo reale significato e non capiamo ancora una volta perché nella traduzione il titolo va storpiato e perché c’era bisogno del “come”.
Nella tradizione orientale, la storia della Pietra Paziente viene raccontata, alla protagonista, da sua zia, una donna che da giovane aveva ucciso il suocero che la violentava e che ora è la tenutaria di un bordello. È il nome di una pietra nera magica che assorbe come una spugna i segreti e i dolori di colui che li racconta. Il giorno in cui la pietra, troppo gonfia di pensieri, esploderà in mille pezzi, sarà il giorno in cui il confidente sarà per sempre libero.
Un film asciutto ed essenziale. Una giovane madre e un uomo molto più vecchio, combattente di Dio, in coma per un proiettile al collo dopo un litigio con un suo compagno d’armi. Attorno alla casa la guerra incombe. Probabilmente la guerra civile degli Anni '90, quando a Kabul si affrontavano le bande rivali dei mujahidin che, dopo aver cacciato i russi dall’Afghanistan, si disputavano il potere della città come cani rabbiosi.
Dopo qualche immagine, siamo già lontani dai cliché esotici di cui si nutre la letteratura occidentale sulle gesta dei guerrieri, l’onore, la tradizione e la bellezza del paesaggio. Non c’è nulla nella strada, nulla nella casa nuda sotto la tutela di un sontuoso Corano poggiato su una mensola. L’eroe, colui che non aveva saputo resistere al richiamo della guerra, è steso a terra su un tappeto con una vecchia flebo che la moglie, dopo averlo lavato, accudito e pregato per lui, riempie di acqua zucchero e sale per nutrirlo. Ma l’uomo, alla giovane moglie, non fa più paura ed ecco che le parole che lui non ha mai ascoltato cominciano ad uscire dalla bocca della donna, dapprima lentamente poi, come un fiume in piena, raccontando una vita senza amore, schiava di una cultura medievale in un paese che usa armi e tecnologie moderne. E l’uomo diventa la pietra paziente della giovane fino al suo risveglio dal coma, il giorno in cui, di fronte alla sua ennesima violenza, lei deciderà di essere libera.
Negli anni 80, il grande poeta afgano Bahodine Majrough, ucciso nel 1988 da una fazione islamica, aveva raccolto i versi improvvisati dei contadini e dei pastori del suo paese. Grande fu la sua sorpresa, e quella dei suoi lettori, nel leggere nelle parole delle donne, sotto il giogo maschile dalla nascita fino alla morte, grida di rivolta impudiche contro i padri e i mariti, appelli all’adulterio che ribaltavano tutti i principi sociali e religiosi. Atiq Rahimi segue la stessa strada verso la verità, svelando l’anima afghana e ce la mostra scevra di maschere e cliché. La sua denuncia dei tabù è terribile, e ciò lo ha portato a scrivere questo libro direttamente in francese, ritenendosi così non un rifugiato politico, ma un rifugiato culturale.
Tra le tante stupende parole dette dalla donna ricordo quelle che riportano agli slogan e alle idee pacifiste mai realizzate del secolo scorso: “Ha ragione mia zia, gli uomini che non sanno fare l’amore, amano la guerra”.

Antonella Roncarolo

1 commento:

  1. Grazie per il riferimento a Bahodine Majrough, che leggero'! Ma il film non mi sembra cosi' meritevole... Non interessante dal punto cinematografico; la vicenda: luoghi comuni pseudo-femminili e iper-intimistici (alla Comencini-Tamaro, per restare da noi), e quanto anacronismo! (non sembra un po' troppo 'occidentale' la protagonista? abiti che indossa a parte); una co-produzione europeo-afghana che ha voluto un film americano. Un discreto prodotto per un pubblico sensibile ed emotivo. Ma, anche al di la' del valore artistico (nullo), nessuno scavo autentico nel mondo femminile afghano, annacquato per bene per un gusto occidentale di poche pretese. Per fortuna non c'e' solo questo 'femminile'. Come non c'e' solo questo cinema di mercato. Ma grazie per l'apertura alla letteratura afghana autentica!

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