26/11/16

Ho visto un Re. Cyrus Chestnut e Chiara Pancaldi al Cotton Jazz Club di Ascoli Piceno


Il motivo principale per il quale siamo andati a sentire questo concerto era lui, Cyrus Chestnut. Ascoltato e ammirato fin dai tempi di Kansas City, il film di Robert Altman del 1996, da Chestnut ci aspettavamo una conferma e una scoperta. La conferma riguardava il ruolo di star di prima grandezza del Jazz mondiale, la sorpresa invece era legata più a un aspetto “lunare”, quasi immateriale, di saper suonare, di produrre note in quello spazio siderale che porta al godimento estatico della musica che si sta ascoltando.
Un estraniamento dal corpo e dalla materialità di un palcoscenico costruito per artisti ed esecutori, per proiettarci direttamente lassù, dove l'aria è rarefatta e si respira a fatica per colpa dell'ossigeno puro. Tutto ciò è accaduto. Chestnut ha davvero il “tocco del diavolo” o se si preferisce “dell'angelo”, tutto dipende dai punti di vista. Orfani del Keith Jarrett pre-marchette ma soprattutto di Michel Petrucciani, andavamo alla ricerca da tempo di un pianista che sapesse non diciamo emularli, ma farci prendere atto che la “tastiera lunga” non era finita con loro, che esisteva qualcuno in grado di portare avanti un discorso innovativo pur avendo radici solidissime nella tradizione, di quel genio che sperimenta sapendo di farlo e mette in gioco tutta la sua creatività e abilità. Per cui, dal richiamo all'Honky Tonky ai passaggi Blues, dal Be Bop al Free, dal Gospel al Soul, Chestnut è sembrato padrone assoluto di tutti i generi possibili che mixa per crearne uno suo. Le dieci dita con cui suona, diventano prolungamenti dei martelletti, con il risultato che il suono inizia prima che tocchino la tastiera. E poi, ancora, quel particolarissimo “tocco vibrato” che, lo diciamo con un amore sconfinato, avevamo ascoltato solo da Petrucciani, a Bologna, il 27 settembre di quasi venti anni fa. Se si pensa che ancora oggi, nonostante un palmares di prim'ordine, gira le chiese di Baltimora per suonare Gospel, ci si può e deve rendere conto che al di là dell'artista c'è l'uomo e che la stazza, notevole di Cyrus, nasconde spesso spunti di gentilezza ai quali gli esseri umani contemporanei non sono più abituati. Chestnut è un pianista eccezionale, trovare altre parole per definirne l'arte è davvero complicato.


Ma al Cotton Jazz Club di Ascoli Piceno, c'erano anche gli altri musicisti: Darryl Hall al contrabbasso, Bern Reiter alla batteria e la cantante Chiara Pancaldi. Purtroppo, con un leader di tanta grandezza, il loro ruolo può apparire secondario, quasi da sottofondo, però in alcuni momenti non è stato così.


Darryl Hall, abito a tinta unita di taglio italo-americano e cravatta abbinata con gusto, è un fior di contrabbassista. Anche lui mischia generi e sonorità con grande competenza e professionalità. Si lascia andare ad assoli che ne denotano tecnica raffinata ed estrema musicalità e, diciamolo, nel Blues eccelle e tutti sappiamo quanto sia difficile suonare Blues a certi livelli. Dotato di una ottima velocità, volendo proprio muovere un appunto alla sua esibizione, potremmo dire che è risultato a volte piatto, unicorde e mono-tono anche se i contrappunti con il contrabbasso non sono propriamente uno scherzo.


Bern Reiter, abito a tinta unita scura, cravatta (oddio!) abbinata e fazzoletto bianco a triangolo nel taschino, è un batterista che ha svolto onestamente e scolasticamente il suo lavoro. Non abbiamo appunti né osservazioni particolari perché ha una tecnica invidiabile anche se, e ne siamo sempre convinti, la tecnica da sola non basta. 
E chiudiamo con Chiara Pancaldi, vestito nero attillato, bella presenza scenica, indubbiamente una bella voce. Abbiamo stentato molto a percepire nelle sue modulazioni spunti originali. Bella tecnica, gorgheggi e improvvisazioni non sempre azzeccati, voglia di rendere la voce uno strumento musicale a parte. È riuscita a vocalizzare l'idea di musica di Cyrus Chestnut? Questa è la domanda che ci siamo posti sulla strada del ritorno a casa, con la pioggia che aveva smesso di cadere e la strada lucida da periferia di Baltimora. Il fatto è che le voci, tutte le voci che abbiamo ascoltato, sembra non c'entrino nulla con il Jazz e che si adattino molto di più al Blues e alla Bossa Nova. Esattamente come questa sera. Un po' come sempre.

Massimo Consorti

Nessun commento:

Posta un commento