17/11/25

“Stasera non morirà nessuno”

31° Incontro Nazionale dei TEATRI INVISIBILI
 Direzione artistica   Laboratorio Teatrale Re Nudo

 

GIULIETTA E ROMEO
Stai leggero nel salto

Drammaturgia Roberto Latini

con
Roberto Latini e Federica Carra

Musiche e suono Gianluca Misiti

 

Teatro Concordia - San Benedetto del Tronto
15 Novembre 2025


“Stasera non morirà nessuno”


      È su questa battuta di Latini/Romeo, che il sipario idealmente cala. Non sugli shakespeariani amanti ma sulla rotazione completa intorno al proprio asse che quella tragedia immortale ha fatto stasera, uscendo dalla fissità cui la sua stessa bellezza l’ha condannata nel tempo, e arrivando fino al nostro presente per raccontarci qualcosa di noi, dell’immutabilità delle sorti umane che del tempo si fa beffe. 
Cosicchè il dramma lontano è oggi più che mai vicino, e ciò che è consegnato al mito torna a parlarci col linguaggio del quotidiano.

 

Il salto è “leggero”?  Lo è, pur nella profondità degli interrogativi che ci vengono incontro: che come nel salto restano per secondi sospesi a mezz’aria, che come nel salto possono portarci lontano o farci ricadere giù, mancando la meta. 

 

Ci dice questo, la pluralità delle brevi storie che si alternano sullo schermo: volti giovani-non giovanissimi, forse il doppio degli anni dei due tragici adolescenti veronesi, e dell’amore hanno già incontrato il disincanto e le trappole, la bellezza e la forza. Ne parlano, il linguaggio è colloquiale, non perciò meno intenso: ne accolgono il richiamo il “Romeo” e la “Giulietta” sul palco, e intanto si calano con ironia nei miti divistici del nostro tempo malato - così l’imitatore di Elvis, così l’imitatrice della Winehouse - ma sanno bene, nel farlo, di non voler sottrarre quei frammenti di un discorso amoroso al confronto necessario ed eterno con ciò che viene da lontano, con la potenza dei classici che tutto già hanno detto di noi perché tutto di noi hanno già conosciuto e compreso.

 

È così che il dramma elisabettiano si fa oggi metateatro mescolandosi ai neon, ai bauli, alla telecamera, ai microfoni, al registratore a nastro, mentre la poesia percorre - nelle voci di Latini (timbrica alla Carmelo Bene) e della Carra - le strade sperimentate da secoli sui palcoscenici dove la vita e la morte dei due sventurati amanti si sono incontrate milioni di volte.

 

Le parole sono quelle dell’amore e della preghiera – Esaudisci è il verbo sussurrato fuori campo come un’eco continua – dalle poche scene che nel dramma elisabettiano vedono i protagonisti insieme, quando tutto deve ancora compiersi, quando la tragedia è ancora presagio vago benché prossimo, quando l’amore potrebbe ancora sradicare i giovani amanti dall’aiuola triste che li stringe.
È in questo bagliore - di vita e di speranza, di passione - il centro poetico, nell'annuncio di una felicità dovuta e intravista, e che sarà negata.

 

Nel dramma shakespeariano, emblematicamente, sono soltanto i giovani a morire e (come nel nostro tragico presente) muoiono per le colpe e l’odio degli adulti (“Tutti siamo stati puniti […] Una cupa pace porta con sé questo giorno” sono le parole del Principe di Verona): così su questo palco protagonista è, dei giovani, la disillusione, è la caduta delle speranze, è il rimpianto di una felicità cercata e mai raggiunta.

 

Eppure siamo in fondo tutti noi a poterci rispecchiare nel dramma antico. 
È ciò che il particolarissimo impianto teatrale di questa riscrittura scenica ci invita a fare: riconoscerci portatori - alcuni sani, altri no - di rimpianto. Per le occasioni mancate, per ciò che abbiamo interrotto, per l’incertezza che ci ha trattenuti al di qua del salto, per tutte le volte che avremmo potuto essere, e non siamo stati, leggeri nel salto.
 

 

Non giurare. Sebbene ne gioisca, 
Stanotte non provo gioia per questo patto.
È troppo rapido, improvviso, inaspettato,
Troppo simile al lampo che cessa di esistere 

Prima che si possa dire “lampeggia”.

       (W.Shakespeare, Romeo e Giulietta, II.2) 
 

 

Sara Di Giuseppe - 17 novembre 2025

 



12/11/25

Trash test

 Andrea Cosentino
 
 Sala Kursaal – Grottammare
 9 Ottobre 2025
 
 31° Incontro Nazionale dei 
 TEATRI INVISIBILI
 
 Direzione artistica
 Laboratorio Teatrale Re Nudo
 
 

Se un pomeriggio d’autunno un clown nichilista ….

….incontra un’Intelligenza Artificiale, molte cose possono accadere, ma non che il clown e il suo teatro cessino d’essere Invisibili nell’accezione migliore del termine. 

Perché un clown nichilista – come Cosentino definisce sé stesso -  è esattamente ciò che sono i Teatri Invisibili da ben 31 anni: “spettacolo autentico” - così nella definizione di Artaud - libero dalla sudditanza al testo e lontano dalla sclerosi dell’ufficialità, vicino a quello spazio vuoto che per Peter Brook è da riempire fisicamente ed emotivamente alla costante ricerca di senso.

Di certo, niente è più antitetico di un Clown - perfino nichilista! - e di una Intelligenza Artificiale: figura antica, buffone medievale o maschera della Commedia dell’Arte  (“il più bel teatro del mondo”) il primo; quanto di più futuribile la tecnologia renda oggi disponibile, la seconda. 

E dal contrasto nasce la lezione di teatro in Trash test (“Collaudo distruttivo delle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale di produrre materiali teatrabili”): che è corpo a corpo – esilarante, straniante, stralunato – fra l’attore-clown-uomo e la macchina; fra l’attore e il suo pubblico; tra il perfetto e il perfettibile, tra ciò che è umano e fallibile e sconnesso, e la raggelante levigata imperturbabilità della macchina.

È il gioco di Trash test: quanto mai serio, pur nella comicità che sprigiona, nel lasciare che agiscano l’essere in scena, l’improvvisazione, l’imprevisto, la compresenza col pubblico, il superamento della demarcazione fra attore e autore, il prendersi gioco dell’autorialità e del tipo di spettacolo - legato ai vecchi codici - che ne deriva.

Da un lato dunque il testo che non c’è, il testo che è l’attore stesso: improgrammabile, modificabile, questi coinvolge il pubblico, sollecita e provoca, fornisce input argomentativi e ne riceve a sua volta, attraversa da funambolo i registri linguistici, disfa la lingua e la ricompone e perfino “convoca” in scena i grandi (Foscolo, De Filippo…), crea un micro, personalissimo caos. 
Dall’altro quella voce generata dalla macchina, immutabilmente disponibile, educata, imperturbabile. 
Quasi vera ma perfetta, perciò non vera… 

Ma siamo al centro del gioco: Cosentino offre suggerimenti e spunti alla macchina, invita, inventa nomi e personaggi - Peppino e Pasqualino, spiccatamente regionali, offrono concretezza alle macchiette da costruire – e si delineano i contorni di una storia da narrare - “Chi lascia la strada vecchia…” – dalla trama incerta, che forse si narrerà o forse no. 
L’uomo provoca, deraglia, improvvisa, inciampa, sbaglia…”fa teatro”. 
Homo sum….
ChatGPT sta al gioco, corrette e sempre innocue le risposte, totale la disponibilità; si nega solo al coinvolgimento su temi omofobici o razzisti… è irremovibile, troppo umani quei contenuti, il suo territorio è altro, deve restare neutro, nessun conflitto che trascini nel magma dell’umano. 
L’homo sum non le appartiene. 

Ecco infine la sfida maggiore: comporre la trama di un film distopico. 
ChatGPT raccoglie ed esegue con efficienza, organizza prontamente gli input, la trama è delineata sullo schermo, si raccolgono suggerimenti dal pubblico, si disegnano linee temporali, tipologie attoriali. 
Il plot è strampalato quanto basta, vi sono gli uomini e i topi e i belli di Hollywood, signori la distopia è servita. 
L’IA ha eseguito il suo compito con perfezione algoritmica priva di scintilla. 
La sfida può spingersi oltre, adesso: si crei dunque una storia bellissima, e così bella che duri per sempre. 
La macchina accetta, non esita: elegante e tranquilla, imperturbabile.

 

Ma è qui l’inciampo, è qui il cortocircuito: l’eternità non è dell’umano, e il clown –  troppo umano - esce di scena.

 

Il saluto affettuoso del pubblico, il calore e i lunghi applausi dicono ancora che Cosentino è “dei nostri”, patrimonio d’umanità degli Invisibili da sempre,  di certo per i prossimi 31 anni e oltre…
 
Sara Di Giuseppe . 11 novembre 2025
 
 

10/11/25

IL CASO ALMASRI alla Raymond Queneau

alla Raymond Queneau*
(“Esercizi di stile” - Novantanove modi di raccontare una storia)


La storia.
 
19 gennaio '25. Almasri è arrestato a Torino su mandato della C.P.I. (Corte Penale Internazionale) per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Libia. 
21 gennaio '25. Almasri è liberato dal governo italiano e rimpatriato in Libia con un volo di Stato dei servizi segreti italiani e accolto trionfalmente in Libia dai suoi sostenitori. 

5 novembre '25 Almasri è arrestato dal governo libico per torture e omicidio nei confronti di migranti detenuti in un centro di sua responsabilità.

 

La versione della storia da parte del governo italiano. 

          Versione giuridico-procedurale. 

Governo, in coro:

"Signori miei, il governo italiano sapeva già fin dall'inizio che la Libia si apprestava ad arrestare Almasri, per questo è stato liberato qui e rimpatriato, per consentire al governo libico di arrestarlo! La legalità innanzi tutto!
Eh? Come? La Libia ha impiegato nove mesi per arrestarlo? 
Eh? Come? Scarcerando Almasri l'Italia ha violato lo Statuto di Roma del 1999 e l’impegno di collaborazione con la Corte Penale Internazionale? 
Ma il perché ve lo abbiamo spiegato nei mesi scorsi!
Andare alla voce "Versioni precedenti", please! (ahò, a questi je devi spiega' proprio tutto!). 

 

 

Versioni precedenti.
 
-          Versione 1.  (Gennaio '25 e seguenti). 
"Fumus persecutionis" . 

 

Meloni: "Mica 'o so, che vonno da noi. Sempre' sta macchina der fango communista pe' getta' er discredito sulle istituzioni”. 
Il governo ha ottemperato alla richiesta di estradizione inviata dalla Libia, capito? 
Dite che la spiegazione fa acqua e che la richiesta è di poche ore prima del rimpatrio già organizzato? embè che c’è, stiamo a bada’ ar capello? 
Ndo' sta er problema? Nun ve va bbe' mai gnente, ahò!"

 

-          Versione 2.
" Mi chiamo Bond. James Bond". 

 

Mantovano, Nordio, Piantedosi (gli 007 che il mondo c'invidia. Avercene!):
"Raga, se la sono bevuta: il tribunale dei ministri ci ha scagionati perché abbiamo agito seguendo la Ragion di Stato, nell’interesse della sicurezza nazionaleInfatti si è trattato non di estradizione ma di provvedimento amministrativo di allontanamento. Me cojoni! (a' Nordio, vedi de posa' er fiasco, nun se famo riconosce sempre!). Magari 'sto Almasri era pure er nipote de Mubarak, che tte sai... 
Facciamoci uno spritz per festeggiare, dai! " 

 

-          Versione 3.
" Importanza delle lingue" . 

 

Nordio (restando serio): c'è stato un qui pro quo, gli atti trasmessi dalla C.P.I. erano scritti in inglese, belin, c’è stato mica il tempo di tradurli! 
E poi questi scrivono da cani, proprio uguale a noi! 
Se vi sta bene è così, e pure se non vi sta bene. E mo' mi faccio uno spritz.

 

-          Versione 4. 
"Italia first"

 

Mantovano 1: abbiamo rimpatriato Almasri per timore di ritorsioni del governo libico contro italiani in Libia (Intervista al Corriere della Sera) 
Mantovano 2: Questa è potente, raga, la mejio balla der secolo. Fámose 'sto spritz, dai! 

 

-          Versione 5. 
"I soliti comunisti" .
 
Meloni: ci sono stati errori giuridici e vizi di forma nella procedura della C.P.I.
(Chiaro che ha stato Putin. Non fa parte della C.P.I. ma non sottilizziamo: il Grande Fratello è ovunque) .

 

-          Versione 6. 
"I soliti magistrati" . 

 

Meloni:
Ha stata la Corte d’Appello. Alla fine i magistrati c'entrano sempre. Li possino…

 

 


Ci fermiamo alla versione n. 6. Ne restano 93. 
To be continued.

* Raymond Queneau, “Esercizi di stile” Novantanove modi di raccontare una storia. 
  Gallimard, 1947
 
Sara Di Giuseppe - 9 novembre 2025
 

28/10/25

“Omaggio a Stefano Benni”

con Piergiorgio Cinì

fisarmonica Sergio Capoferri


Teatro dell'Olmo 
San Benedetto del Tronto
26 ottobre 2025 h18

 


31° Incontro Nazionale dei TEATRI INVISIBILI
San Benedetto del Tronto  - Grottammare
26-28 Ottobre - 8-9-15 Novembre

 

Direzione artistica
Laboratorio Teatrale Re Nudo

 

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“È momentaneamente vivo” si legge nel sito in cui lui, Stefano Benni, parla di sé. 
La data non c’è e non importa: è noto, parola di monsieur de Lapalisse, che chiunque prima della dipartita è vivo.
Nel caso di Benni riteniamo anzi da fondati indizi che vivo lo sia tuttora: per esempio continua a farci ridere di gusto; per esempio Re Nudo e gli Invisibili gli dedicano un recital teatral-poetico-musicale e la sua satira sociale continua a colpire nel segno senza tregua: roba da vivi, no?

E dunque.

Piergiorgio Cinì e Sergio Capoferri fanno già da soli una compagnia teatrale: Cinì parla, mima, declama, spumeggia; Capoferri risponde a suon di fisarmonica e Piazzolla irrompe dalla lontana Buenos Aires fra i legni affettuosi del Teatro dell'Olmo. 
I testi di Benni strappano risate e meraviglia, sono una festa della parola e del paradosso, sono il trionfo dell’iperbole ma sono anche la verità su di noi e ci mettono a nudo, bizzarre creature davanti a uno specchio deformante.

 

Ecco allora il mercante d’armi rivendicare la propria buona fede e perbacco, se avessi saputo che un cliente / può diventare nemico / della mia patria/ dell’Occidente (…) gli avrei fatto pagare / il cinquanta per cento in più… Quando si dice il rigore etico sposato alla solida morale… Avercene!

 

Ecco l’amore, ecco “Le piccole cose che amo di te”; ecco “Ti amo”, e “Prima o poi l’amore arriva”: già, l’amore. Quello che, comunque lo vedi, declinato dal quotidiano al surreale al grottesco come in Benni, sempre rende imprevedibile e surreale ciò che è ordinario e Benni sa come prendersi gioco di "questo guazzabuglio del cuore umano" . 

 

Ecco l’impareggiabile “Storia di Pronto Soccorso e Beauty Case”: amore anche qui, e tanto, e paradossi e iperboli. Sedici anni lui, passione per i motori ereditata seguendo il padre sul lavoro cioè a rubare le gomme;  quindici lei, figlia di una sarta e di un ladro di Tir, così piccola che la madre le cuce le  minigonne con le vecchie cravatte del babbo. 
S’incontrano, s’innamorano una sera di prima estate, si baciano dalle nove e un quarto alle sei di mattina, e “sono innamorato” confesserà Pronto a quattro scarafaggi che dalle nostre parti parlano piuttosto colorito e rispondono di conseguenza. 
Tra una carambola e l’altra di Pronto Soccorso – nomen omen, in un anno s’imbustò col motorino duecentoquindici volte sempre in modi diversi - alla fine la legge arriva nella persona di Joe Blocchetto, spietato comminatore di multe: per Pronto sarebbe finita, se tutto il quartiere di Manolenza - entri che ce l’hai ed esci senza - non si mobilitasse scatenando il più colossale ingorgo che memoria di vigile ricordi: il quale vigile, va da sé, esce fuori di testa. Ma tutto finisce in gloria: il feroce Joe Blocchetto dopo un periodo in manicomio dirige ora un autoscontro, e Pronto e Beauty si sono sposati, lui trucca le auto, lei le pettina.

Potere dell’amore! Perfino se è quello, mercenario e proibito che - ne “Il porno sabato del cinema Splendor” - sconvolge il paese di Sompazzo il cui cinema (il primo ad essere aperto in paese!) inserisce nella programmazione un film a luce rosse, sconvolgendo codici morali ed equilibri famigliari; e dove per involontario scambio di bobine invece che il secondo tempo del porno viene proiettato l’arrivo di Coppi al Giro d’Italia e l’accaduto viene così commentato: Coppi è bestiale. Pensa, nel primo tempo scopa per un’ora di fila, poi salta in bicicletta e vince” .

 

Il Piazzolla degli intermezzi alla fisarmonica del maestro Capoferri – durante i quali l’umorismo dei testi sembra raccogliersi in momenti di abbandono e riflessione – evoca mondi ben lontani dalla colorita provincia emiliana di Benni: eppure il vitalismo porteño che occhieggia nella melodia struggente di Astor (“negli accordi ci sono antiche cose / l’altro cortile e la nascosta orditura”: così il tango, nei versi di Borges) si coniuga intimamente  col microcosmo “diabolicamente” smascherato da Benni, col caleidoscopio di voci e di volti che ci vengono incontro: stralunati o struggenti, e tutti - grazie all'immaginario di Benni, alla scrittura acuminata, al sorriso in agguato dietro la malinconia e viceversa - sono eroi senza medaglie di quell’avventura che tutti ci accomuna ed è la vita. 
“E a morire non riuscirò mai”, scriveva Benni nella sua Canzone per De André.
 Ed ha avuto ragione: non c’è riuscito.
 

 

 
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Povere genti che ai menestrelli credete
Dimenticarvi di me non potrete
E io di voi scordarmi non posso
Dentro un tramonto feroce e rosso 
Dentro un cielo di sangue e vino
Ascoltate come sembra il primo 
L’ultimo accordo che io imparai
Io non voglio non voglio morire 
E a morire non riuscirò mai.
 
[S.Benni Quello che non voglio  (una canzone per Fabrizio De André ) – 2011]



 

Liliom

Coreografia John Neumeier

Corpo di ballo del Teatro Nazionale di Praga
Musica Michel Legrand
Orchestra dell’Opera di Stato di Praga e Top Big Band

 

Teatro dell’Opera – Praga
première 23 Ottobre 2025 h19


Foto NárodnÍ Divadlo

SULLA GIOSTRA [NON] C’È POSTO PER TUTTI

 

…E se la giostra è quella metaforica della vita, di spazio ce n’è ancor meno, e si fa labile il confine fra il gioco e la tragedia. 

Ben lo aveva rappresentato Ferenc Molnár nel dramma teatrale del 1909, da cui il prestigioso John Neumeier trae la coreografia “Liliom”.

 

Mutata l’ambientazione - dalle periferie dei giostrai ungheresi ai parchi di divertimento dell’America degli anni Trenta e della Grande Depressione - l’umanità che vi si rappresenta, nel dramma di Molnár come nella coreografia di Neumeier, è composta da coloro che il Verga chiamerebbe “i vinti”.
E tuttavia, come è stato scritto, “non si tratta semplicemente di un dramma sociale ma di una riflessione poetica sul teatro del mondo”. Tanto da attirare all’epoca l’interesse di compositori del calibro di Kurt Weill e Puccini.

 

La giostra, dunque: centro simbolico del mondo suburbano, raduna intorno sé un microcosmo proletario e variegato di solitudini e coralità; le relazioni interpersonali, i sentimenti eternamente umani - amore, gelosia, collera, frustrazione – vivono nella cornice di un disagio sociale che relega i vinti ai margini della storia, circoscrive la loro libertà di vivere e amare, ne segna crudelmente i destini. Una realtà che, pur storicamente determinata – il disastro economico e sociale dell’America degli anni Trenta – presenta connessioni drammatiche con il presente e il recente passato.

 

Liliom e Julie - i protagonisti - si attraggono e si respingono, inconsapevolmente presaghi di una felicità che sarà breve: nel dramma di Molnár agisce un determinismo sociale che fa del giovane imbonitore da giostre una vittima predestinata, la cui genuinità di sentimenti annega nella palude malsana del degrado sociale e nella violenza che ne segnerà la fine tragica. 

Diverge qui dal modello teatrale, per approdare ad un finale meno fosco, la versione coreografica di Neumeier. Pur se la miserabilità della giustizia terrena verso gli emarginati e gli esclusi si riproduce  infatti tal quale nell’al di là, la condanna di Liliom e il successivo suo ritorno temporaneo in terra (concessogli per conoscere il figlio ormai 17enne e confessargli le sue colpe) porteranno al riscatto. 
In quello spazio sospeso tra il presente e l’eternità l’intervento amorevole di Julie farà sì, infatti, che Liliom torni tra le ombre senza essere dannato per sempre. 

 

La coreografia di Neumeier sovrappone genialmente i piani narrativi – nel prologo la morte di Liliom è già avvenuta, i quadri successivi sono altrettanti flashback lungo i quali si snoda l’intero dramma – enfatizzando nel vocabolario della danza sia gli interrogativi filosofici ed esistenziali che l’aspetto metafisico della storia. Realtà terrena e oltremondo finiscono per fondersi: la ieratica figura nerovestita, il Balloonmen - l’uomo dei palloncini -  ne è il misterioso inquietante raccordo e la storia  trascende il tempo e i confini culturali per farsi parabola esistenziale “sulla impossibilità di esprimere l’amore, sulla fragilità umana, sulla ricerca di redenzione”.

 

L’originalissimo dialogo musicale – musiche composte da Michel Legrand, suggestiva mescolanza di genere classico e jazzistico – tra l’orchestra nel golfo mistico e la big band collocata in alto sul proscenio, crea un’architettura sonora nella quale, se le variazioni ritmiche e le improvvisazioni del jazz rimandano a disarmonie e conflitti emozionali, gli elementi classici a loro volta ne enfatizzano i moti compresi fra gli opposti poli dell'amore e dell'odio.

 

Tessuto sonoro e alfabeto di movimento su cui l'eccellenza degli interpreti – splendidi protagonisti il “nostro” Giovanni Rotolo, primo ballerino del Teatro Nazionale, e l'intensa Alina Nanu – disegna un affresco di rara energia; nel brulicare delle scene corali come nell’intimismo dei duetti, nello struggimento dell’amore tradito, ostacolato, represso, nella pregnanza del conflitto sociale che ne è sfondo e cornice, percepiamo una realtà senza tempo nella quale prende corpo, prepotente, la riflessione dello stesso Neumeier per il quale il teatro non può cambiare il mondo ma può offrire la visione di un mondo diverso. E da qui il cambiamento può iniziare.

 

“Solo l’osservatore […] ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpassati domani”.

 

(G.Verga Prefazione a I Malavoglia, 1881)
 
 
Sara Di Giuseppe - 26 ottobre 2025

 

15/10/25

TRANSUMANZE*


Muriel, la capra, sapeva leggere un po’ meglio dei cani e talvolta, la sera, leggeva ad alta voce frammenti di giornali che aveva trovato nell’immondizia
(G.Orwell, La fattoria degli animali, 1945)



Settembre, andiamo. È tempo di migrare. (G.D’Annunzio I pastori, in Alcyone, 1903). 
Curioso: nel lontano 1903 il migrare era usato dal genio poetico dannunziano a indicare il passaggio di animali e pastori dalla montagna al mare (e la lingua si faceva manifesto del rispetto amorevole per quel mondo e quelle storie); oggi, a più di un secolo da allora, l’ignoranza caprina (non si offenda, il pacifico animale) di giornalisti e politici definisce transumanza il movimento migratorio del disperato popolo palestinese (quello che ne resta) nel ritorno al deserto di macerie e morte che oggi l’ipocrisia occidentale chiama pace. 
 
Significa che siamo andati avanti, che siamo più belli e più grandi che pria.

  

Non è stato l’unico, il sopravvalutato Mentana delle maratone tivù e del perbenismo finto progressista: precedenti illustri (si fa per dire) sono il Giambruno principe consorte decaduto che definì transumanza le migrazioni in Europa; prima di lui (2015) la stessa fratelladitaglia tuonava fuori dalla grazia di dio un improbabile nomadare (“…Se sei nomade devi nomadare”, sic), seguito appunto - a indicare le migrazioni umane - da uno spettacolare “quando hai nomadato, transumi e vai”. Impagabile. Meno male che Giorgia c’è.

 

Ora che quotidiani e tivù affogano nella retorica a buon mercato e - perfino - dei vaneggiamenti trumpiani davanti alla plaudentissima Knesset israeliana ci viene inflitto l’integrale in diretta tivù (comprensivo di “Netanyahu mi ha chiesto tutti i giorni armi potentissime che non sapevo di avere e gliele ho date”: è questo, che tocca sentire, a meno di rifugiarsi su altro pianeta), è palpabile il sollievo che anima i politici complici (silenti di fronte al genocidio e che ora chiamano, questo silenzio  e questa complicità, “contributo silenzioso alla pace”: ah il potere mistificatorio delle parole!) e un certo giornalismo - nostra vergogna nazionale - di quelli che (alla Paolo Mieli)  “se è vero [se è vero?! n.d.A.] che i palestinesi muoiono di fame, Flotilla poteva consegnare gli aiuti alimentari eccetera…”. 

 

Insomma, ora finalmente ‘sti palestinesi se ne tornano a casetta loro (si chiamano macerie e deserto, risulta?); i buoni hanno fatto i buoni e nella Striscia rasa al suolo affari d’oro e arraffo colonialistico li attendono. Premio bontà 2025. Non è ancora il Nobel per la pace ma lo sarà; nessuno si stupirà, sputtanato com’è il premio visti i soggetti cui viene conferito: come la Machado (esponente della destra venezuelana più reazionaria, golpista nel 2002 contro Chavez, dichiarata nel 2023 ineleggibile per 15 anni per frode fiscale, dal programma politico simile a quello di Milei tra cui l’eliminazione dei programmi sociali, trumpiana col botto, amica del Likud e per la quale Israele è “un genuino alleato della libertà”). 

Transumanza, dunque: la disumanizzazione passa anche per il linguaggio. 

Per quello dell’ignoranza, certo, ma anche per quello del retropensiero farisaico di pennivendoli, politici, pseudo intellettuali, opinionisti e bellagente. Di coloro per i quali è più comodo ignorare la storia recente, quella che dalla metà del secolo scorso vede il popolo palestinese oggetto di negazione costante, da parte di Israele, del diritto all’autodeterminazione. 
Nel silenzio e nella complicità del mondo.

Ignoranza, certo: quella vera, ascrivibile alla desolante mediocrità - anche culturale e linguistica - del nostro ceto politico; e quella voluta, strumentalmente applicata dai media e dagli apparati politici occidentali che li rende di fatto complici della costante, impunita violazione dei diritti del popolo palestinese, fino allo sterminio. 

Finchè le piazze di tutto il mondo non hanno plasticamente e inequivocabilmente dimostrato che i popoli - nonché le creature transumanti - sono migliori di chi li governa. 

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Gaza è imparagonabile a tutte le altre esperienze, per il grado di violenza, per l’intensità dei bombardamenti, di distruzioni (…) Gaza è un concentrato di tutti gli altri teatri di guerra (…) Se devo pensare a un’espressione per Gaza, penso too much, è troppo.

 

(Gennaro Giudetti, operatore umanitario a Gaza, intervista video ad Alessandro Di Battista, 14 ottobre ’25 )
 

*Transumanza: s.f., Trasferimento del bestiame in estate ai pascoli della montagna e in autunno al piano. 

(in: lo Zingarelli - Vocabolario della lingua italiana - 2003)

 
Sara Di Giuseppe - 15 ottobre 2025