05/07/21

Je déteste le football

CIVITANOVA DANZA 2021

BOYS DON’T CRY

Compagnia Hervé Koubi
Coreografia: Hervé Koubi Fayçal Hamlat
Testo: Chantal Thomas Hervé Koubi

Teatro Rossini
Civitanova Marche
2 Luglio h 21.30


 Je déteste le footballj’aime la nuit 

 

“Quanto a me, mi sento vivo solo quando danzo”
 
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Il calcio, io lo detesto… mi piace la notte, di notte sogno, e vedo cose magnifiche… Houssni: mi chiamo così, Houssni. Vuol dire “bello” in arabo.
Houssni detesta il calcio, alzarsi la mattina per andare a scuola sapendo che lì dovrà giocare al calcio è una tortura: è pieno di cattivi soggetti un campo di calcio, non sai mai se calciano per segnare un gol o per fracassarti la testa
 
Ama la danza, Houssni: le mie gambe iniziano a ballare, è più forte di me, hanno il ritmo giusto e io, io le seguo, andiamo all’unisono, io e le mie gambe… Le mani le braccia, i fianchi, la schiena, la testa, la bocca
 
È questa la storia che si srotola sul palcoscenico stasera, che si riavvolge all’indietro e si slancia verso il domani: ha l’energia e la grazia della danza, e ogni singolo movimento è pura forza e geometrica precisione ma appare naturale e leggero come il vento e come  l’aria, racchiude lo studio, la tecnica, il talento; e ha i volti e i corpi dei sette danzatori di Hervé Koubi, che a turno recitano il testo e raccordano al moto coreografico una narrazione ora colloquiale ora comica, intimista o beffarda, scanzonata o dolente.
Ogni monologo è tappa del cammino di formazione del caparbio Houssni: un perdente nato nelle discipline dove bisogna menar le mani o tirar calci - mi faccio bullizzare continuamente – perché invece tutto in lui è danza, danzare per me è la vita, permettimi di danzare, papà
 
Ne parlano, in platea prima che si alzi il sipario, a tu per tu col pubblico, i due coreografi: in volenteroso italo-francese narrano la genesi dello spettacolo e la nascita della compagnia anni fa, la collaborazione fra loro due, compagni nella vita e nel lavoro, di vedute e indoli opposte, franco-algerino di lingua francese Hervé, algerino di lingua araba Faiçal, questi musulmano, l’altro di religione ebraica. Quale miglior miscela per tesservi l’arabesco incantato e colto di una coreografia che nasce dalla pagina scritta e a questa si intreccia di continuo.
 
Perché la storia di stasera è uguale, forse, alla loro e a quella di ciascuno di quegli artisti sul palco: in un contesto sociale e familiare che marchia e gerarchizza le differenze di genere e i relativi ruoli, il calcio è lo sport macho per eccellenza, la danza è per femminucce; e guai se invece tutto, in Houssni, è danza, anche quando riceve le pallonate in faccia, anche quando nel judo - che il padre gli impone perché diventi un vero uomo - ne prende quasi da morirne e ride immaginando che sulla lapide scriveranno “morto per schiacciamento in una sala di judo”. No, non si può morire facendo ridere, bisogna morire con dignità, e dunque…
Meglio andare al mare, quando guardi il mare a lungo tu oublies le temps, tu oublies tout.
 
E che il padre sia orgoglioso di lui è il sogno di Houssni, il padre non dovrà più vergognarsi di lui; ma non ne avrà il tempo, sembra che il buon Dio ti abbia chiamato prima del previsto, troppo presto per me, papà. E allora lasciami danzare per te, papà.
 
Non scivola nella retorica la danza, neppure se racconta un sogno rivoluzionario – e nei miei sogni danzo e sento la tua voce che dice danza figlio mio, sono fiero di te – ed è anzi forza che si fonde a leggerezza, e quella dei sette danzatori che fluttuano sulla scena in apparente assenza di gravità è tecnica rigorosa che si unisce ad espressività contagiosa e rara.
Arrivano a noi tutte intere, la gioia e l’energia profonda del loro danzare, e da quel palcoscenico le sentiamo attraversarci in ogni fibra. L’entusiasmo del pubblico che li saluta e con cui loro salutano il pubblico, dice che il messaggio è passato.
 
Ma uscendo, nella sera in cui la partita di un’Italietta del calcio ha desertificato le strade di un’intera nazione, capiamo rassegnati che il sogno ce lo siamo lasciati alle spalle, in quel teatro e fra quei danzatori, e che di quella “mascolinità tossica” che nutre gli stadi e i relativi colossali interessi economici, di quella no, non ci libereremo mai.
 
“Dans certaines culture, on danse pour les morts […] parce que la Danse est tellement importante que pour rendre hommage à celui qui part, on danse pour lui”
 
(Ch.Thomas – H.Koubi)
 
 
Sara Di Giuseppe - 4 Luglio 2021
 

 

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