31/10/18

“Reattività molecolare”

OFFICINA TEATRALE
GRUPPO TEATRALE AEOIDOS

Sotto lerba dei campi da golf
da un testo Fabio Cavalli

Riscrittura scenica di   
Vincenzo Di Bonaventura

con 
Vincenzo Di Bonaventura e Simone Cameli

Ospitale delle Associazioni
Grottammare Paese Alto
28 ottobre 2018  h17


Reattività molecolare


        È così che Di Bonaventura definisce, conversando col suo pubblico, il flusso di energia attoriale che procedendo dal bravissimo Simone a se stesso, e viceversa, plasma in solo poche ore di preparazione una messa in scena in cui lattore ri-crea il testo - il testo è lattore, per Carmelo Bene  e dis-apprendendolo dopo averlo appreso mette in gioco la propria capacità di creatore. Attori/artefici che oggi, su una scena pressoché nuda, lontani da ufficialità e mode, navigano a proprio rischio e sono essi stessi teatro, infinita rappresentabilità ogni volta nuova e diversa.

        La scommessa è ardita, perché gli attori agiscono un lavoro teatrale mai edito, la geniale creazione di Fabio Cavalli scrittore-attore-drammaturgo-scenografo: quel Sotto l'erba dei campi da golf che vide la luce su Hystrio, autorevole rivista di settore, e fu vincitore del premio Manerba Teatro e Scienza 1994.

        Rappresentato per la prima volta un decennio fa da Di Bonaventura nel glorioso Teatrlaboratorium Aikot 27 di via Fileni a San Benedetto - con la presenza dellautore - eccolo ora di nuovo, per noi. Le prossime repliche - promette Vincenzo - saranno a casa mia, 14 posti a sedere, cane compreso. [Ed è anche oggi fra il pubblico, la dolce sapiente Toffee].

        Federico De Andrade (Vincenzo) tecnico informatico, il prof. Allen Bachman (Simone) paleografo, un laboratorio universitario, un venerdì sera; le unità di tempo (la notte) e di luogo (il claustrofobico laboratorio) che circoscrivono lazione si dilatano ben presto nelluniverso - sotterraneo, forse fantascientifico, certo misterioso - evocato nel febbrile dialogo/scontro tra i due.

        Il sottosuolo del laboratorio, percorso dai cavi telematici di cui De Andrade è tecnico responsabile, è solo parte infinitesima di un labirintico mondo di sotto, da lui incessantemente esplorato e scavato (Tutta la vita ho dedicato a questo Non ho fatto altro che scavare…”) con lossessione di una certezza: che il mondo di sopra non è il solo reale; che un altro ce nè, di sotto, altrettanto esteso, infinitamente replicato per antri e cunicoli. 

Una Città del Buio, ramificata sotto le nostre città e metropoli, sotto lerba dei nostri campi da golf, sotto la terra che calpestiamo; dove unumanità del sottosuolo vive da millenni ad un livello altissimo di organizzazione e di felicità. Milioni dindividui che hanno rinunciato alla luce, ma capaci di gioia e di canto, di allegria e di amore; protetti dalla propria cecità (la vista è il più ingannevole dei sensi) e dalla lingua indecifrata e misteriosa che li rende inconoscibili al mondo di sopra. Sono liberi e felici. Sono immuni da violenza. E ci stanno aspettando, è la rivelazione di De Andrade a Bachman.

        La chiave daccesso allutopica città del buio, forse Annelise - compagna del professore, paleografa e conoscitrice del sanscrito - laveva trovata: nellunica epigrafe bilingue, in sanscrito e nella lingua del mondo di sotto. Per questo è morta. Loro lhanno espulsa era incontrollabile sono superiori, lhanno espulsa perché temono che qualcuno scopra il loro mondo: è ciò che De Andrade rivela al professore - sequestrato nel suo laboratorio, nella notte in cui nessuno lo cercherà - mentre gli consegna la metà dellepigrafe, la chiave a lungo cercata. Bachman tuttavia non ha dubbi, è lo stesso De Andrade ad aver ucciso (Avevate trovato la pietra, tu e Annelise; lei voleva condividere la scoperta, tu no, ed eri pronto a tutto).   

Ma nel teatro che supera il testo, qui e ora il finale resta aperto: De Andrade è sognatore e - dice Vincenzo - un sognatore non può uccidere 

        Distrutta l'epigrafe, la chiave daccesso è perduta: è lo stesso Bachman a frantumare i reperti che la contengono, e lUtopia di quel mondo altro e diverso, sotterraneo e cieco, liricamente felice, sarà irraggiungibile per millenni ancora, o per sempre Distruggi un sogno, è la disperata conclusione per De Andrade.

        Dramma visionario e geniale, che attraversa i generi: è thriller, che avvince con lo svelarsi di dinamiche altre e segrete; è giallo, indagine e sfida intorno ad un crimine; è fantascienza e scienza, è archeologia e geologia, forse teologia La riscrittura scenica di Vincenzo ne fa climax di irrisolvibile tensione, concitato gioco di registri che procedono dal colloquiale al sarcastico, dal lirico allapocalittico. Su tutto, a dispetto del titolo ambiguamente leggero (Cavalli), lopera tocca corde profonde, dilemmi antichi. 

        Perché il mondo sotterraneo popolato di angeli ribelli e felici riconduce la coscienza alla più ancestrale delle verità: il nostro essere figli della scelta di Caino, segnati dallanecessità della colpa - il fratricidio necessario - da cui discendiamo e da cui discende la storia; tormentati come Caino dallinvidia per la limpida purezza di Abele, coscienti della nostra asimmetria nellarmonia delluniverso, umanità zoppa destinata alla nostalgia di ciò che, prima della scelta ineluttabile, eravamo e che ancora possiamo e cerchiamo di essere quando nellUtopia scorgiamo orizzonti di dignità e bellezza.

Il Signore disse a Caino: «Dovè Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?».  Genesi 4, 9


Sara Di Giuseppe - 31 ottobre 2018 


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