08/08/18

QUI

QUI è un docu-film di quattro anni fa, visto e recensito allora sembra opportuno riproporlo oggi perché la questione di cui tratta è più che mai aperta e per aggiornamenti basta cercare in rete. Il dibattito politico pro e contro è ancora in atto, le ragioni della protesta sono sempre attuali, la disinformazione è grande e il disinteresse dell’opinione pubblica pure. Aggiungere un piccolo tassello servendosi di un film forse aiuta, si spera!

“Tu che ne pensi delle ragioni di chi protesta in Val di Susa?”.

Inizia così il film di Daniele Gaglianone, vincitore del premio Gli Occhiali di Gandhi al TFF 32. E’ in didascalia ed è tratto dal dialogo del regista con un funzionario di polizia durante le riprese, ma la domanda dovrebbe essere rivolta ad un pubblico molto più ampio, a tutti noi, cittadini di un’Italia mal informata e mal messa, che di questa piccola valle alpina, poco conosciuta e poco frequentata, sa ben poco che non sia la disinformazione sistematica propinata quotidianamente dai media.

Eppure questa popolazione, circa sessantamila valligiani sparsi nei vari centri del territorio, lotta da decenni e sta scontando sulla sua pelle le conseguenze della protesta.

Stiamo parlando del NO TAV, movimento che si oppone alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione e dei suoi piccoli eroi del quotidiano, gente qualsiasi, massaie e impiegati, ragazzi e contadini, che lottano da anni per salvare la propria terra, la casa, la qualità della vita contro la giustizia ingiusta che scatena interi plotoni di polizia in tenuta anti sommossa a lanciare lacrimogeni e fare addirittura prigionieri.

Non sembri esagerato e di parte, bisogna seguire per due ore Gaglianone e il suo modo onesto di condurci sui posti, di far parlare la gente qualsiasi, fuori da ogni retorica, senza toni tribunizi, semplicemente registrando il cosiddetto stato dell’arte in un territorio condannato a morte. Ci si convince ancora una volta di quanto l’informazione e la partecipazione politica siano dovere civile, non optional o, peggio, occasione per perder tempo.

Dieci abitanti della Val Susa sono stati scelti a campione, il regista li ha fatti parlare riprendendoli a casa o sui luoghi della discordia, e il variegato mosaico di questa lunga storia si è man mano ricomposto. Ognuno ha una storia da raccontare, la sua, ma diventa ben presto storia collettiva e, insieme, parte di un collage da cui affiorano le piaghe ben note di un Paese vissuto per decenni sull’impunità e il malgoverno.

Appalti truccati e dossier spaventosi sull’impatto ambientale delle cosiddette Grandi Opere, studi di settore che dichiarano il traffico passeggeri e merci in forte calo lì dove s’investono milioni di euro per un’alta velocità che non serve, anzi, farebbe danni enormi all’ecosistema e alla gente, esproprio di terreni, taglio di boschi, dissesto idrogeologico, sorgenti disseccate, alluvioni periodiche e frane,c’è di tutto nei racconti della gente.

Sfilano davanti all’obiettivo persone semplici e tranquille che un bel giorno, per caso, han dovuto vedere sul plastico, esposto da qualche parte, la propria abitazione prossima ad essere chiusa in una morsa fra autostrada e ferrovia; passano simpatiche massaie che, mentre fanno il caffè, raccontano di quella volta in cui si sono incatenate ai cancelli del cantiere e sono state lì per ore; giovani impiegate, studentesse, operaie raccontano di posti di blocco dove, per passare, bisognava mostrare i documenti, ogni volta, anche i bambini diretti a scuola.

Medio Oriente? Gaza? No, Val di Susa.

E poi le cariche della polizia, il capitolo più agghiacciante, incomprensibile affronto alla protesta non violenta di un popolo che lotta per i propri diritti. Fino alla detenzione di Chiara, Niccolò, Claudio e Mattia, accusati di terrorismo e in carcere dal 9 dicembre 2013, per cui sono stati chiesti dalla procura 9 anni e 6 mesi per un atto di sabotaggio, avendo incendiato un compressore.

Fare una sintesi di tutto l’orrore che emerge da queste videoriprese che hanno il sapore vero delle riprese amatoriali è impossibile. Video caricati su you tube soccorrono dove è utile documentare dal vivo, ma l’impatto forte è proprio nei volti, nelle parole, nei racconti di queste persone.

QUI accade, qui è la parola che sentiamo ripetere continuamente, qui è dove siamo tutti noi.

La motivazione del premio al regista non poteva essere più pertinente:

Per aver saputo raccontare in modo onesto e diretto come una comunità stia portando avanti da tempo una lotta per i diritti e i beni comuni con molteplici strumenti nonviolenti. Una riflessione sulla democrazia che rovescia gli stereotipi della politica e dell’informazione.


Paola Di Giuseppe - 7 AGOSTO 2018 
articolo tratto da http://www.paoladigiuseppe.it/qui/ 

2 commenti: