09/11/17

Porto San Giorgio, Teatro Comunale. Purple Whales “Inspired by Jimi Hendrix”


“Inspired by Jimi Hendrix”. “Ispirati”? Mmm… Poco e per fortuna, secondo me.

        Non solo e non tanto perché le cover hanno ormai stufato (e col jazz non c’entrano niente) ma perché, se questo gruppo s’è davvero ispirato a J.H., lo ha fatto arrangiandolo con studio e intelligenza, estraendone il meglio, non la teatralità e gli eccessi. Studiando reinventando e riscrivendo solo quello che c’è di unico speciale inimitabile e intramontabile. E, con questo bagaglio ma con originalità propria, continuando con la loro musica, la loro  personalità.

        Un concerto “moderato”, quello di stasera: un ossimoro, data l’ispirazione. Nulla fuori dalle righe, non  rumori, grida, tumulti, droga, turbolenze, sul palco o tra il pubblico. Niente chitarre spaccate o bruciate, niente di violento o appena tellurico. Non è dovuta intervenire la polizia. 
Lo spirito rivoluzionario di Jimi Hendrix in un piccolo antico teatro marchigiano, pure col suo bel CASTIGAT RIDENDO MORES sulla facciata (sai le risate di Jimi…) e con appena 100 anime: non in uno stadio o in un’arena d’America.
Poi si sa che Porto San Giorgio non è Woodstock. A fine concerto, se l’Alessandro Lanzoni non l’avesse confessato “che ci crediate o no, siamo partiti da Jimi Hendrix”, sta’ sicuro che non ci avremmo creduto.

        Così come, tapino, conosco poco Hendrix (appena Hey JoeAngel e qualcos’altro) e perciò forse poco lo amo, altrettanto imperdonabilmente non conoscevo questi sei musicisti. Sono venuto al buio, tanto se confidi in “tam” non bagli. E non ho sbagliato: un’ora e mezza saldamente incollato alla sedia (come tutti), che se lo sa Hendrix che lo abbiamo ascoltato così…

        Un concerto-quasi suite, “moderato e ordinato” ma coraggioso. Un ascolto talvolta impegnativo, certo. Magicamente narrativo nei suoi scenari jazz-rock, comprensibile sempre, e godibile se seguito più con la testa che con le orecchie, respirando a tempo, senza distrazioni. 
Se arrangiare J.H. – mi dicono e ci credo – è quasi impossibile, questi sei ci sono riusciti unendo il rigore alle loro calcolatissime fantasie, con poliritmie improbabili ma avvolgenti, senza scivolare in chewingum sonori ubriacanti ma poveri di emozioni. Niente accordi bellici né aggressività. Nessuna agitazione, tutti quieti ai loro posti, ogni gesto al ralenti. La buona musica non può essere solo spettacolo. E torrenti di note ordinate, arrangiamenti intensi in punta di penna, quasi una seducente flanérie musicale.
     
        Assente apposta (ma presente nell’aria) la mitica Fender Stratocaster, la “scena” – si fa per dire – se l’è presa il violoncello d’Irlanda, anche per la sua giovane e bella e femminile voce di bosco. Note lunghe, coloriture pensose, spruzzi d’oceano, attese, silenzi di tundra.
Dal canto loro, i due piani (un coda d’ordinanza e per l’occasione un raro Fender Rhodes – sarebbe lo zio della Stratocaster…, che ha dovuto pure inventarsi contrabbasso) e i due ottimi sax hanno dialogato quasi incessantemente tessendo e disfacendo melodie che mai ci resteranno in mente, tanto sono jazz.

        Antitesi di J.H. soprattutto Alessandro Lanzoni sullo Yamaha: tocchi riflessivi, levigatezza dei dettagli, niente sfoggio di tecnicismi; suona solo le note necessarie, le altre le lascia (come raccomandava sempre Joao Gilberto); corde mai arroventate, “calde” sì, ma non nel senso della fisica. Orchestrazione epica, quasi da camera, e il suo batterista (Tamborrino, nomen omen) anche lui tanto statuario quanto completo e solido: i suoi vuoti-pieni, gli eleganti tratteggi ritmici, i chiaroscuri architettonici, i suoi momenti sospesi, i suoi tocchi cristallini, i suoi  (contro)tempi dispari…

        Un “ensemble” da riascoltare subito, ma non hanno portato il CD… Magari, in qualche parte, ci sarebbe anche stato spiegato questo titolo strambo: “Purple Whales”, balena purpurea. Scusate l’ignoranza – ve l’ho detto che Jimi Hendrix l’ho poco frequentato e me ne pento – ma che vor di’?

PGC

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