01/05/17

Riflessioni [postume ma mica tanto] sul 25 Aprile


L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli
Questa citazione di Pietro Calamandrei dell’ art. 11 della nostra Costituzione ha sottolineato lo spirito del concerto del coro “In...cantare” che, nella sede della CGIL di Treviso, ha cantato il dolore e i sacrifici ma anche la forza e la bellezza delle classi subalterne ed oppresse: operaie/i e contadine/i , mondine, “impiraresse” (infilatrici di perle) e partigiani uniti nel rivendicare lavoro e dignità, giustizia e libertà.
Viene spontaneo, quindi, ricordare Calamandrei quando, in quel discorso, diceva:
Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.
Ogni frammento di questa Costituzione, scritta con il sudore ed il sangue dei lavoratori e dei partigiani, ha trovato la sua canzone. Le donne delle risaie hanno cantato: son la mondina son la sfruttata...c’è tanto fango nelle risaie, ma non porta macchia il simbol del lavoro; le operaie hanno intonato: se otto ore vi sembran poche provate voi a lavorare e proverete la differenza tra lavorare e comandare! Le infilatrici di perle hanno sussurrato il lamento: semo tutte impiraresse....semo tose che consuma de la vita i più bei ani per un fià de carantani che non basta per magna.
E i partigiani hanno cantato: se libero un uomo muore non gliene importa di morir e le loro Donne trascinate in prigione, stuprate, torturate e umiliate gridavano: conosco il mio pugnale ha il manico rotondo, nel cuore dei fascisti lo piantai a fondo e, prima di morire non si sentirono i colpi di mitraglia ma si sentìva un grido: viva l’Italia.
Quella era gente che amava il proprio Paese anche se i padroni ne facevano sterco mandandoli a morire sul Montello, a Caporetto, nella neve di Russia o nella sabbia di El Alamein: o vigliacchi che voi ve ne state con le mogli sui letti di lana, schernitori di noi carne umana...qui si muore gridando “ASSASSINI !” maledetti sarete un dì.
Quella gente per amore del proprio Paese discendeva l’oscura montagna...scalzi e laceri eppure felici... a combattere la barbarie fascista per un avvenire d’un mondo più umano e più giusto, più libero e lieto.
Chi di quella gente avrebbe mai cantato l’inno di Mameli con la mano destra sul cuore e la sinistra dietro la schiena...a nascondere la dichiarazione dei redditi?
Chi di loro avrebbe mai riso mentre un terremoto uccideva e distruggeva?
Chi di loro avrebbe mai sparato sui braccianti di Portella della ginestra?
Chi di loro avrebbe mai messo le infami e vigliacche bombe di Piazza Fontana, di Brescia, della stazione di Bologna?
Quella era gente che cantava l’amore e la dignità: partigiana te si la me mama, partigiana te si me sorela, partigiana te mori co mi, me insenocio davanti de ti.
Tra quella gente c’era anche Gino Donè, partigiano della Brigata Piave ed unico italiano tra gli 82 di Fidel e “Che” Guevara. Partì con loro a bordo della “naveGranma alla volta di Cuba inseguendo il sogno della sua vita: la libertà per gli ultimi e per gli oppressi. Come tanti altri partigiani aveva la dignità della discrezione, per lui ”apparire” non aveva significato.
E’ stato, perciò, benvenuto il ricordo che ha voluto dedicargli il Teatro dei Pazzi, con “REVOLUCION”: ricordare è fondamentale perchè ci si possa ispirare ai valori di umiltà e coraggio che dalla Resistenza ci hanno portato ad essere un pò più liberi. La stessa umiltà con cui Eros Umberto Lorenzoni (92 anni – tra gli ultimi partigiani della provincia di Treviso) ha accolto, stupito, il grazie che gli è stato rivolto: grazie per averci dato la speranza di un Paese migliore.
Ma un ringraziamento va rivolto, soprattutto, alle DONNE del coro.
Loro erano le mondine, le operaie, le contadine, le impiraresse e le partigiane delle canzoni eseguite: con lo stesso trasporto e la stessa convinzione di chi sa di stare cantando la libertà, la giustizia e, essendo donne, l’amore, onorando così il sangue di quei centomila morti con il quale è stata scritta la Costituzione più bella del mondo.
BELLA CIAO

Francesco Di Giuseppe

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