C'è
una linea di continuità nelle scelte musicali di Emiliano D'Auria,
direttore artistico del Cotton Jazz Club, ed è quella della raffinatezza
che segna indelebilmente questa stagione di concerti 2016/17.
Ne
abbiamo scritto e continueremo e farlo perché raramente si assiste a
tanto buon (ottimo in qualche caso) Jazz nella landa desolata del
Piceno, una terra che non vive di respiri a lungo termine ma di
sussulti, di occasioni e non di un progetto culturale che abbia un
senso compiuto.
Il
Cotton Lab, un vero, solido, reale laboratorio di musica è uno di
questi sussurri, un progetto realizzato, un punto di riferimento che
ancora in molti ignorano colpevolmente. I suoi locali trasudano
passione, quella passione quasi sacra che non consente di proporre
mediocrità perché l'orecchio è avvezzo al meglio e il meglio,
come dimostra il Cotton Club, c'è e si può proporre.
Il
concerto di Eddie Henderson con Piero Odorici al sax tenore, Willie
Jones III alla batteria e Mark Abrams al contrabbasso, ne è stato,
qualora fosse necessario, la riprova.
Parliamo
delle vette del Jazz contemporaneo e non di una compagnia di
buontemponi che si diverte un po' a improvvisare e un po' a swingare
travolti dal ritmo e dall'alcol. Parliamo di quel fenomenale
“Black-Jazz” che parte da radici storiche consolidate per andare
a sfociare dove la creatività vuole e la fantasia non trova barriere
insuperabili.
Il
Quartet di Eddie Henderson ha basi solidissime, tre musicisti solisti
che si fondono quando serve e quando il brano che stanno eseguendo lo
richiede. Il repertorio è vastissimo e nei due set proposti, lo si
apprezza al meglio visto che nulla è lasciato al caso.
Eddie
Henderson ha la cultura Jazz nel suo dna. E se un bambino ha la
fortuna di avere il padre (ce lo dicono le note biografiche del
musicista) che canta nel gruppo gospel dei Charioteers, la madre
ballerina al Cotton Club di New York dove si esibiscono Billie
Holiday, Lena Horne e Sarah Vaughan, un patrigno medico che ha in
cura Count Basie e Duke Ellington, il primo insegnante di tromba
Louis Armstrong e mentore Miles Davis, si capisce che non solo la
vita, ma anche la carriera è segnata. Se poi durante il concerto,
sfodera Phantom di Kenny Baron, First Light di Freddie Hubbard e El
Gaucho di Wayne Shorter (gigante in questa esecuzione Piero Odorici),
la serata è fatta e il Jazz servito a tavola.
Due
fiati, quelli di Eddie Henderson e di Piero Odorici, che si fondono
alla perfezione e se il sax tenore italiano spesso agisce da
contrappunto, Henderson ricambia con quella generosità, simpatia-empatia con il pubblico che hanno solo i grandi, sottolineandone
passaggi e svisate. Quando duettano si ascolta una cascata di note
mai gratuite e sempre, costantemente funzionali allo standard che
stanno eseguendo: grande Jazz e grandissimi musicisti.
C'è
da aggiungere che Willie Jones III è un drummer che trova nello
swing la sua migliore dimensione e che Mark Abrams, chiamato a
sostituire Daryl Hall all'ultimo momento, si è dimostrato un
contrabbasso all'altezza anche se guidato silenziosamente da un Piero
Odorici che ci ha lasciato, è il caso di dirlo, senza fiato.
Finale, prima del richiestissimo bis, all'insegna della musica e delle atmosfere di Herbie Hancock e non poteva essere diversamente. Di Hancock, Henderson è stato fedele e straordinario collaboratore fin dagli anni '70, e con lui ha contribuito in maniera decisiva al passaggio dal Jazz al Jazz-Rock.
Finale, prima del richiestissimo bis, all'insegna della musica e delle atmosfere di Herbie Hancock e non poteva essere diversamente. Di Hancock, Henderson è stato fedele e straordinario collaboratore fin dagli anni '70, e con lui ha contribuito in maniera decisiva al passaggio dal Jazz al Jazz-Rock.
Il 31
marzo ci aspetta Tony Momrelle, alcuni lo definiscono lo Stevie
Wonder del XXI Secolo, altra stella di prima grandezza, altro giro,
altra corsa con arrivo assicurato.
Massimo Consorti
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