30/09/25

Per "Vedere oltre una 'realtà' condizionata dall'abitudine": il Collage de 'Pataphysique

 

Tania Sofia Lorandi, “Trascendente Satrapessa” del Collage de ’Pataphisique (CD’P), ci manda l'invito ad abbonarsi o acquistare dei numeri pubblicati dallo stesso Collage nel corso degli anni, per conoscere o approfondire un pensiero 'laterale' rispetto alla quotidianità e alle consuetudini personali e sociali. E noi lo inoltriamo volentieri.

Ricordiamo che Tania, con il suo Collage, è stata una stretta collaboratrice della nostra Rivista d’Arte e fatti Culturali "UT”, rivista che ha dato vita a questo Magazine. Insieme alla Lorandi vi hanno participato, svolgendo con creatività e bravura alcuni dei temi pubblicati da UT, artisti e scrittori come: Mario De Carolis, Stefano Malosso, Mauro Rea, Antonio Castronovo, Tonia Copertino, Marco Maiocchi, Pino Guzzonato, Melania Piumino, Ezia Mitolo, Donato Di Poce, Miriam Ravasio, Nataly Wolf, Luciano Fadini, Carmen Carlotta, Alessio Balduzzi e molti altri con visibilità a carattere nazionale ed europea.

Perciò, e in qualità di amici estimatori della ’patafisica nonché cittadini sambenedettesi, ospitanti forse tra le ultime opere monumentali di Enrico Baj “Ubu re” (personaggio del dramma surrealista di Alfred Jarry, inventore del teatro dell’assurdo e riferimento ideale della “scienza delle soluzioni immaginarie” del CD'P), invitiamo tutti ad aderire, sostenendo e seguendo le numerose pubblicazioni del Collage anche attraverso il web.

https://www.collagedepataphysique.it/

n.d.r. - San Benedetto del Tronto - 30 settembre 2025

21/09/25

La scomparsa dei vigili pistoleri

 

Giuda murì / Patò spirì / Spirì Patò / Cu l’ammazzò? / Quantu patì? / E po’: pirchì / Patò spirò?*

 

Ripatransone.

La cittadinanza è in subbuglio. Da quando s’è notata l’ormai prolungata assenza dei vigili pistoleri dal centro cittadino, sempre più preoccupate si sono fatte le ipotesi sulle ragioni dell’inspiegabile scomparsa e sulle oscure, temibili conseguenze di questa.

Scomparsi come Patò, i vigili pistoleri de noantri.

I ripani sono attoniti, sull’orlo di una crisi di nervi. 
Abituati da tre anni a vederli comparire in piazza davanti alla cattedrale - di domenica e non solo - questi Vigili della “Colonna Mobile Blu” del Consorzio dei Comuni Montani dei Monti Azzurri  - con fata turchina per armocromia e sede a San Ginesio (MC) - con penzoloni la pesante BERETTA semiautomatica calibro 9, cinturone con 2 caricatori e bombola spray di chissaché (in sede hanno anche sciabola e fucile come da loro statuto ma non se li portano, qui a Ripa), i cittadini oggi s’interrogano sgomenti. 

 

C’è un rapimento, dietro tutto questo? Hanno forse litigato col sindaco o col parroco? 
O magari li ha inghiottiti una botola, proprio come - nel romanzo di Camilleri - il ragionier Patò nei panni di Giuda durante la scena dell’impiccagione, nella sacra rappresentazione “Mortorio” sul palco in Piazza Grande presso il palazzo dei marchesi Curtò di Baucina di fronte alla Chiesa Madre?

 

Tutte le ipotesi sono al vaglio, scriverebbero i carabinieri e i giornalisti da riporto.

 

Sia come sia, la città ora non si sente sicura. I negozi abbassano le saracinesche, gli abitanti hanno messo sacchi di sabbia vicino alle finestre, la banca ha esposto in vetrina il cartello “Non c’è denaro contante”, che è come annunciare “Al cimitero non ci sono tombe” (per dire come siano tutti fuori di testa).

 

Insomma è il caos. 
Ma nel silenzio. Nessuno parla, solo mormorii, sguardi in tralice, mai esporsi è il motto della casa.
Intanto, va da sé, bande di gangster armati fino ai denti si aggirano ora indisturbati per le vie cittadine come nella Chicago degli anni venti (qualcuno s’incastra con l’arma nel vicolo più stretto d'Italia e lo tirano fuori a fatica). 
Chi può abbandona la casa di paese per rifugiarsi in campagna ma finisce miseramente vittima delle strade comunali dissestate come a Gaza.

 

Qualche nostalgico (ce n'è sempre di più, di 'sti tempi) rimpiange le fulgide giornate in cui gli intrepidi vigili-Rambo dei Monti Azzurri arrivavano in piazza con le loro pitturazzate macchine o coi bianchi SUV Nissan ruggenti grandi come carrarmati Leopard3, e piazzavano sbarre e divieti e multe, poi andavano al bar a far la pipì…
Sentivi tremar le vene e i polsi, ma ti sentivi al sicuro, diamine!

 

Altri più pragmatici fanno due conti e s’incazzano. 
Ben sanno infatti che gli angeli col pistolone e il macchinone e il cipiglio fiero, col quadernone delle multe appioppate mentula canis su e giù per le strade del contado, non cadevano dal cielo aggratis e con grandi ali bensì erano ingaggiati dal Comune ripano (come da altri Comuni) con contratto a suon di bei dobloni…
 
Ben sanno che questa edificante storia è andata avanti per tre anni: durante i quali risorse pubbliche sono state spese per mandare in giro gente armata fino ai denti nelle strade di una cittadina sonnolenta come una marmotta delle Montagne Rocciose a fine letargo. 
Anni durante i quali la sicurezza dei cittadini è stata messa a rischio, questo sì, dalle tante armi circolanti appese alle pance degli angeli custodi.
 
E s’interrogano allora sulle ragioni oscure di tali scelte, sul fatto che un’amministrazione comunale non sia chiamata a render conto dell’utilizzo dissennato di risorse pubbliche, investite in iniziative dal connotato muscolare e cialtrone, finalizzate ad ingrassar le tasche di pochi e a compiacere le psicotiche logiche securitarie di questo nostro tempo cupo, a mostrare il ghigno truce di un potere e di una politica - fedelmente modellati su quelli nazionali - tanto mascelluti e arroganti quanto inetti.
 
 
*A.Camilleri, La scomparsa di Patò, 2000.
 
Sara Di Giuseppe - 20 settembre 2025
 

17/09/25

“Bei cipressetti, cipressetti miei…” *

 

   L’archistar Canali pensava di inserire anche dei cipressi “alti e schietti” nella ristrutturazione dello stadio Ballarin, ma la Soprintendenza a quest’ennesima canalata pazzesca ha detto NO.

 Quindi gli spaventosi lavori edilizi interrotti non ripartono: l’archistar progettista capato nel mazzo, la Soprintendenza cattiva, il non amato Sindaco con le sue mangiabili pedine comunali, dovranno ancora riunirsi in conclave per decidere cosa diavolo piantare invece dei cipressi (non a caso associati alla morte). Si dice che s’incontreranno davanti San Guido recitando Carducci come somari.

Senza memoria, senza nostalgia né rispetto, nemmeno per il prato del Ballarin che hanno ucciso.
  

 

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
rosso e turchino, non si scomoderà:
  tutto quel chiasso ei non degnerà d’un guardo
e a brucar serio e lento seguiterà. *
 
*(Giosuè Carducci - saccheggiato come il Ballarin)
 
PGC - 17 settembre 2025

11/09/25

GOLD RUSH - Corsa all’oro

ovvero 
Elezioni regionali 2025
 

 
1848-2025, come vola il tempo.
Arrivavano in California da ogni parte d'America seguendo la pista dell'oro, percorrendo ogni possibile rotta, per mare e per terra, con ogni possibile mezzo – navi, canoe, muli – cantavano Oh!Susanna e qualcuno si arricchiva di brutto, altri restavano miserabili e con un pugno di mosche.

 

Oggi non occorre tanta fatica: ci si candida in Regione e - a patto di venir eletti - piovono pepite d’oro, non serve neanche il setaccio, ti arrivano dall’alto. 
E non è necessaria la presidenza: consigliere o assessore andrà benone, congratulazioni, hai svoltato.

 

Cinquecentoventisei (!) i candidati nelle Marche. Per 30 posti di consigliere (!). 

Ohibò, se non è gold rush questo… 

 

Sembra di vederli, ai blocchi di partenza: più affollati, proporzionalmente, della maratona di New York. 
Esaltante, se tanta foga zampilla dal volersi spendere per il bene comune, migliorare la realtà, incidere positivamente  nella condizione di tutti elevando la qualità del vivere, avendo potere e strumenti per farlo. Soprattutto cervello e idee. 
Pulsioni sì nobili e impellenti da spingere una tal pletora di candidati ad offrire il proprio disinteressato aiuto a colui/colei che guiderà la Regione, e a conseguentemente riempire dei loro faccioni sorridenti, rassicuranti, positivi, i muri di vie, piazze, rotatorie… 

 

Ma, ahinoi, è qui che la storia diverge: perché ciò che proprio non si può sperare dai nostrani cercatori d’oro, è che dalle loro imprese possa nascere l’equivalente del sogno californiano come lo si chiamò allora.
Basterà, per convincersene, mettere in fila l’uno dopo l’altro gli slogan che compaiono sul “santino” di ciascun candidato (riempiono tavoli e banconi di bar, caffè, negozi, ristoranti; di altrettanto fastidioso c’è solo l'invasione estiva delle cimici nelle campagne e abitazioni circostanti). 

 

Vero laboratorio di politichese applicato, è tutto un tripudio di Vento che parte dal basso - qualunque cosa voglia dire - di Coerenza e competenza, un'alluvione di Cambiamento, uno tsunami di Futuro, una tempesta di Noi, voi, fino ai più sofisticati Il Piceno protagonista (versione casereccia di America first), o Pace salute lavoro (ma non è l’aspirante missitalia). E via farneticando. 
Cime tempestose di pensiero creativo che ritroviamo poi sui cartelloni che ti guardano da ovunque, come in un incubo orwelliano .

 

Occorre un robusto volo di fantasia per immaginare che un ceto politico o aspirante tale che affida il proprio messaggio a un mucchio di scemenze e slogan che sembrano presi dall’incarto unticcio dei Fonzie’s possa improvvisamente, una volta conquistate le pepite d’oro - pardon il seggio regionale - rivelarsi per colui/colei che cambierà le sorti della Regione spazzando via i miasmi dell’inefficienza e dell’imperizia, degli sprechi e degli inciuci che ammorbano le Regioni, specie dopo la riforma costituzionale del Titolo V nel 2001.
 
Se è vero che non bisogna fermarsi alle parole, queste tuttavia contano se ad esse si affida la fiducia della gente, la spinta a confidare nel nuovo che avanza. 
[Specie se quest'ultimo è rappresentato da vecchie glorie già sperimentate e a cui affideremmo a malapena l'innaffiatura delle piante quando siamo fuori].

E dunque. 
Se è dura reggere il fastidio di questa campagna elettorale over size - arcaica, petulante, invadente, vuota di ogni sensato messaggio e significato - del tutto indigeribile è l’idea di contribuire col proprio voto - quale che sia - al mantenimento di carrozzoni moltiplicatori di parassitismo e clientele, familismo e sperpero di risorse pubbliche, galleggianti sugli irrisolti problemi e sulle infinite contraddizioni del regionalismo italiota, centro di potere anacronistico e pletorico.
 
(A fronte della Francia che dal 2015 ha ridotto drasticamente il numero delle Regioni, l’Italia l’ha aumentato).

 

Impossibile, allora, sottrarsi alla fastidiosa certezza che quelle facce ammiccanti dai “santini” altri non siano che i cercatori d’oro de noantri (nella Marche e non solo, naturalmente), convinti d’aver trovato la loro lucrosa pista per la California: un seggio in Regione.
 
Sara Di Giuseppe - 10 settembre 2025

06/09/25

Il nuovo Colle del Giglio


      Piccolo universo di quiete mescolanze umane, le tre ore di tramonto passate in queste colline di Tullio Pericoli che invecchiano con misteriosa eleganza, riambientando “dentro” le essenziali canzoni d’antan di Padre e Figlio (di non intimidatoria bravura). Ma insieme anche guardarsi e parlare, ri-conoscersi senza ossessioni, sorridere senza fingere, e ascoltare, ricordare, galleggiare nei pensieri… Con intorno silenzio attonito, naturale. La vita normale sospesa, come in un’atmosfera retrofuturista.

                                      

      Niente rumori di minacciose macchine splendenti, niente schermi giganti con imprese di sport iniettate di vile pubblicità, niente torcimenti di parole standard microfonate. 
      Niente orrende architetture assassine a vista, né infiltrati politici in punto di elezioni, o altri artifici per viverli male, questi tempi abbreviati.

 

     Nuovo Colle del Giglio, premiata oasi (di gigli e) di pace in scadenza, piccola bolla di dolcezza come in un acquerello di Eugenio Cellini. Mondo a tutto orizzonte - di piacevole gusto vintage - in territori dell’aria liberi ma indifesi, che di sera scuriscono in dissolvenza - la mezzaluna da tempo fuori dalla collina. 

 

PGC - 3 settembre 2025

03/09/25

“HO POSTO IL GIORNO AD ASCIUGARE…”

 
IL VIATORE

Recital dalle raccolte “Il Viatore” e “…ndo”

di Giarmando Dimarti

Voce : Vincenzo Di Bonaventura
Chitarra: Danilo Cognigni

 

Ospitale delle Associazioni  - Grottammare
30 -31 agosto 2025
 
 
Come farò a crescere di nuovo su tutto ciò che conosco 
se ciò che conosco è oceano e labirinta la mia poca esistenza
di sciupata eternità?
(G.A.Dimarti  -  …ndo -  2023)
 
 
Un viatore / è il poeta: sua è l’urgenza d’individuare, in questo povero tempo sgomento, appigli per strade nuove, per bagliori di orizzonti diversi. 
“Tergiversa con l’esistere” il poeta, nella realtà di un mondo in avaria dell’umano, svenduto alla barbarie di ritorno. 
Dicono questo stasera i versi di Dimarti, e Vincenzo attore-solista ne disegna il soffio poderoso, ne tambureggia il grido, ci inchioda all’ascolto; si fanno musica - nella chitarra tormentata accarezzata abbracciata di Danilo - lo sradicamento del cuore, la confessione e il grido.

 

E ancora oggi è volo, per noi pochi fortunati, è decollo di navicella spaziale verso uno sconosciuto altrove, nel limitare nuovo d’autunno.

 

Attenti al mio nome, avverte il poeta, è un atroce gerundio indefinito. Come quel “…ndo” che dà nome alla raccolta: gerundio, “forma non finita del verbo” - recitano le grammatiche - indicante un “processo considerato in relazione ad altro avvenimento”.  E dunque tempo aperto slabbrato: è qui che può inserirsi la poesia, qui ri-creare attraverso la parola il reale, scardinare il linguaggio perché sovvertendone il senso proclami la propria estraneità al conformismo del mondo.

 

Riparlatemi al cuore - dice il poeta - basta con tutte le parole / spese a non dire: nella lingua destrutturata, ai limiti dell’ermetico, egli sa di poter ritrovare significati perduti, riannodare i fili di un reale che s’è fatto indicibile, ritrovarvi al fondo il chiarore di una perduta umanità.

Ecco allora la parola farsi musica, aprirsi al fluire del tempo, al prorompere delle emozioni, alla confessione e alla rivolta, al brivido oscuro per il dies irae verso il quale marciamo con decisa allucinata coerenza.
Eccola farsi canto sommesso, preghiera quasi: è quando la natura reclama e riprende i suoi spazi, è quando il limone ha palpitato la sua amara fragranza, quando da vicino mi osserva il nudo melograno o il fuoco denso del lucente rosmarino.

Sempre, tuttavia, è la vita concreta che urge e si sublima nel verso: sono gli accadimenti di un presente che sgomenta - oggi balbuzia il mio pensare - è il silenzio pandemico, sono le piazze deserte, è la pena per l’amico scomparso, il giorno è greve come l’anima; è il ritrovare luoghi meravigliosi e antichi e d’infanzia snaturati dall’uomo e da un tempo nemico, mostrificati nella burocrazia di strade / senza pudore senza pudore / le case come conficcate a caso / in un delirio imbecille di altezze.

 

 È ancora la poesia, pur nell’urgenza e nella denuncia, ad offrire appigli perché la cecità del quotidiano non ci smarrisca e ci perda: abbisogno di luce diamanta che rompa ogni confuso segnale / abbisogno di te poesia.
Potrà essere la poesia in musica di Joan Baez e quella di Bob Dylan - People Have The Power  il tuo sogno la tua preghiera - potrà essere la tragica passione di quel I have a dream che arriva intatta da un lontanissimo 1963: sempre è tensione agonistica verso un recupero di umanità, perché torni il geranio ardente di ciò che fummo.
 
Viatore d’una fragile terra sperduta, è il poeta. Sperimentale e apocalittico, visionario, il verso dimartiano taglia il velo delle cose, si fa duro e scosceso, con un tonfo freddo di sasso precipita nello sgomento dell’oggi.
Si fa grido e rivolta nella voce attoriale e nel tambureggiare di djembe, si fa lamento di chitarra per il disumanato presente. 

Ho paura dell’uomo, scriveva altrove.

Ma si china dolente, ancora, ad auscultare la pena – chi, ditemi, ci ridusse a tanto sciupio dell’essere -  se mai il nostro frantumato presente di vuoti a perdere possa ricomporsi; se mai possa mutare il corso di giorni senza futuro / a giocare ancora alla guerra come un tempo alla pietra / follemente / inesorabilmente. 

 

Forse domani, sì forse domani, potremo chissà porre il giorno ad asciugare sulle ore segnate. *

 

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… fuori è tardi e dentro non ho trovato dove appoggiare il cuore 
     (G.A.Dimarti  IL VIATORE, 2025)
 
*Le citazioni in corsivo provengono dalle raccolte dimartiane “ Il Viatore” e “…ndo
 
Sara Di Giuseppe - 3 settembre 2025