27/06/21

IL RITORNO DEL COLOSSAL

ovvero
Il cinemato’ ai tempi del colera

Chi se l’aspettava che ci volessero pandemia e PNRR per resuscitare la romana Cinecittà e riportarla agli antichi fasti.

Ma è andata proprio così, e la rinascita la si è celebrata niente meno che con la realizzazione di un Colossal, quello dell’incontro Draghi – Von der Leyen (in “Tour delle Capitali”, quest’ultima) per la formale approvazione del Piano.
 
Del colossal, cinematografico genere destinato a colpire l’immaginario del pubblico all’epoca dei Ben Hur e dei Quo vadis, l’incontro ha avuto la retorica, gli anacronismi, le ridondanze. 
Con pepli e corazze e calzari sostituiti ahinoi da tailleurini bon-ton e anonimi completi blu, e tristi cortei di blindate auto blu al posto delle pittoresche caciarone gare di bighe (dove qualcuno si faceva male di brutto tranne Ben Hur/Charlton Heston che già lui era una prova dell’esistenza di Dio).
Suggestivo, certo, il progetto del Piano di destinare parte ragguardevole dei fondi europei del Recovery alla trasformazione della “Hollywood sul Tevere” in una “Hollywood europea”, obiettivo auspicato dal ministro Franceschini (che però se un progetto piace a lui c’è da fare gli scongiuri).
E lodevoli gli obiettivi relativi a Cinecittà contenuti nel Piano: dal ”potenziare la competitività del settore cinematografico e audiovisivo italiano”, all’attenuare la crisi abbattutasi sul settore, all’ampliamento e ammodernamento degli studi, alla formazione di giovani talenti, all’”internazionalizzazione del Centro”, ai nuovi teatri hi-tech da realizzare negli spazi; e poi tecnologie digitali, scambi culturali e tanto altro*.
 
Come poteva tutto ciò non incontrare l’ampio consenso dei vertici europei?
 
Ma dunque era necessario allestire quest’imbarazzante colossal de noantri, che sa così tanto di cafone e di provinciale? Mostrare a signore e signori importanti venuti da fuori l’eccellenza cinematografica italiana (del passato) come si porta il cliente ricco a vedere la casa avìta che perde i calcinacci sperando che se la compri? Gironzolare per gli studi visitando teatri e set, mostrando cimeli e foto e abiti di scena, “partendo dall’area intitolata nel 2013 a Fellini”
(Sole24Ore), per sottolineare quanto siamo poveri ma bravi oltre che Poveri ma belli? Essù…
Mancava solo che riesumassero il barone Bertolaso von Münchhausen
delle Meravigliose Avventure a cavallo della palla di cannone, liquidatore di ogni catastrofe mondiale o paesana, e il colossal casereccio avrebbe celebrato la sua apoteosi.
A meno che…
A meno che non sia stata soltanto una recita, e Cinecittà il set di una fiction all’italiana - sennò che Cinecittà sei a fare? -  con bravi attori nei ruoli chiave della Pulzella Ursula e di San Mario de’ Miracoli, ben calati nella parte e resi da un sapiente trucco in tutto simili agli originali (i quali se ne stavano intanto altrove a firmar scartoffie e disquisire di massimi sistemi).
Allora sì, il fantasma di Federico che aleggia lieve con la bonomia del genio su quegli studi che amò, sorridente sornione per l'inganno cinematografico, e il suo Guido Anselmi dirigerebbe di nuovo per noi con gioia infantile la parade a tempo di marcetta del poetico struggente Fellini 8 ½.



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"Meglio lasciar andare giù tutto e far spargere sale come facevano gli antichi per purificare i campi di battaglia. In fondo avremmo solo bisogno di un po' di igiene, di pulizia, di disinfettare. Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto"
(Daumier, in 8 ½.)

(*Sole24Ore)  

Sara Di Giuseppe - 26 giugno 2021

 

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