22/09/16

Modena. FestivalFilosofia. "Badate bene". La lezione dei classici: Giacomo Marramao, Leviatano


Giusto che con un gigante del pensiero e la sua gigantesca creatura, con Hobbes e il suo “Leviatano”, si apra un FestivalFilosofia dedicato all’ “agonismo”, tema declinato lungo i tre giorni in ogni possibile accezione: politica, esistenziale, etica, psicoanalitica, sociologica, sportiva e via agoneggiando.
Giusta la soddisfazione di organizzatori e amministratori per gli sforzi largamente premiati da partecipazione qualità e consenso. E però, come uno strumento stonato in una buona orchestra, emerge nelle esternazioni delle figure istituzionali il chiodo fisso delle “ricadute positive”: visibilità, economia, commercio, e non-c’è-un-posto-libero-negli-hotel… Ahinoi, se cultura si mescola a visibilità e commercio, e l’imprudente confusione è assunta a indicatore di crescita culturale…
Ma oggi, giornata prima e prima conferenza del Festival, il ragionare incalzante e rigoroso di Giacomo Marramao intorno all’agonismo della riflessione politica hobbesiana rende impossibile ogni distrazione.
Così, quel suo caratteristico intercalare - badate bene - è richiamo certamente superfluo, perfino per i 6/700 liceali che occupano metà del tendone di Piazza XX Settembre, attenti nonostante i 6/700 smartphone sguainati (di ultima generazione, s’intende): più dello sguardo dei prof, più della pioggia maledetta fredda e greve che frustra clandestine velleità di fuga, più di tutto potè il calamitante argomentare dell’oratore.
Perché è subito chiaro che il Leviatano di Hobbes, Libro occasionato dai disordini del tempo presente”, proviene da un mondo - pur distante nei secoli - molto simile al nostro, e dal quale nasce quella teoria della sovranità moderna che Hobbes per primo elabora in un modello sistematico.
Nella nuova immagine di realtà prodotta dalla rivoluzione scientifica galileiana, all’indomani della Pace di Westfalia (1648) che conclude la Guerra dei Trent’anni, e mentre il Navigation Act (1651) traccia la linea di una supremazia inglese sui mari, il filosofo riflette sulla possibilità dello sconvolgimento di una guerra civile dal connotato politico e religioso che gli appare imminente. La nuova idea di sovranità nasce da qui, ed ha alle spalle la scena della (prima) decapitazione di un sovrano, Carlo I Stuart (1649). Nessuna potestà può essere affidata alla sovranità dinastica: il solo potere legittimo è quello che scaturisce dal patto, imposto dalla necessità di superare lo stato di natura in cui l’uguaglianza di tutti contiene in sé i germi mortali del conflitto.
Lo ius omnium in omnia - il diritto di tutti ad avere tutto - infatti, unito all’illimitatezza del desiderio e alla spinta ad acquisire tutto il possibile - beni materiali ma anche simbolici come gloria e potere -  fa sì che dall’uguaglianza dello stato di natura scaturisca una permanente condizione di homo homini lupus (pur sottolineando, Marramao, l’infondatezza del sintagma plautino, essendo la specie umana la sola e unica capace di scatenare guerre intraspecie, anche di sterminio).


La costruzione dell’ordine è dunque necessaria al superamento del conflitto insito nello stato di natura. Nel dispositivo hobbesiano - ripreso poi dalla filosofia del ‘900 - il patto nasce dalla destituzione dello ius omnium in omnia, dall’alienazione di tutti i diritti posseduti in natura ad un terzo, ad un “sovrano”, sia esso individuo, assemblea, parlamento, o altro. Il Leviatano è creazione artificiale il cui potere ha come condizione necessaria l’essere indiviso e assoluto - legibus solutus - e come tale comprendente il monopolio della violenza legittima così come delle fonti del diritto.
La conservazione della pace è la finalità del patto che la moltitudine stringe con il “sovrano”, il cui potere è tuttavia nullo senza la potenza di coloro che lo hanno delegato. Se il patto viene meno, e se il potere divenuto tirannico minaccia la vita stessa dei cittadini e l’ordinata convivenza, la ribellione è un diritto di natura. Il potere del Leviatano è dunque il nostro (per questo, sottolinea Marramao, Hobbes non può dirsi - a dispetto dei numerosi fraintendimenti - un pensatore “di destra”) e il commonwealth, il bene comune, è il suo scopo.
Nel passaggio dalla beluinità dello stato di natura al calcolo e alla razionalità del patto, entra in scena - è lo storico Carlo Ginzburg ad acutamente evidenziarlo - la più forte e incoercibile tra le passioni, la Paura.
A un secolo dalla teoria politica del Machiavelli, in cui solo coraggio e virtù regolano il conflitto e la paura occupa un ruolo marginale nella civitas machiavelliana, è ora il bisogno di protezione - nella svolta antropologica determinata dalle guerre di religione - a giocare il ruolo determinante. Esso è elemento costitutivo anche delle democrazie moderne, ma nell’odierna conflittualità, nella nuova forma di soggettività che Marramao chiama il conflitto-mondo (dove, dirà, abbiamo giovani che si danno la morte pur di provocare il peggior male possibile), la dottrina hobbesiana della conservazione non fornisce risposte e difficilmente si inserisce nella realtà del mondo globale.
La densissima lectio non trascura il riferimento alla prospettiva escatologica (il Leviatano si risolverà quando arriverà il regno di Dio), al rapporto con la religione (paura e soggezione, alla base dell’assolutismo politico, sono gli stessi elementi su cui ha trionfato la religione), e tocca infine ricerca iconica condotta da Carlo Ginzburg (in “Paura reverenza terrore”) sull’ambivalenza dei diversi frontespizi dell’opera.
Sempre più chiaro emerge nel progredire della lectio che il mondo del Leviatano ha importanti elementi di contatto con il nostro, e che disorientamento e terrore appartengono anche al sentire odierno. Per questo, gioverebbe sottrarci talvolta al fragore tecnologico, “al rumore incessante delle notizie che arrivano” e assimilare l’idea che “per capire il presente dobbiamo imparare a guardarlo di sbieco, oppure a distanza, come attraverso un cannocchiale rovesciato” (Ginzburg).  Badate bene

Sara Di Giuseppe

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