11/07/25

“Sono già stato qui”

Foto Festival Spoleto

 
Spoleto  68°Festival dei Due Mondi 
 

Impermanence

Coreografia di 
Rafael Bonachela
 
Sydney Dance Company
 
Musica di
Bryce Dessner

Spoleto - Teatro Romano - 28 e 29 giugno 2025
 
 
       La consapevolezza dell’impermanenza di ogni cosa mi fa sentire che dobbiamo usare ogni momento - che ogni momento conta - e che la natura transitoria della vita ispira un bisogno di energia, urgenza e radiosità.  (Rafael Bonachela)
                        

 

       Bellezza e devastazione: sono i due poli dentro i quali si inscrive, si condensa e si snoda tutta la transitoria e precaria temporaneità - l’impermanenza - dell’esistenza umana e del pianeta.

 

È su questa fragilità che il coreografo riflette, questa ricrea sulla scena, rispecchiandola per antitesi nella cruda vitalistica energia della danza: “passi di danza per la fine del mondo”, è stato scritto, ma anche – o piuttosto – consapevolezza dell’imperfezione, occasione per auspicare una nuova etica dell’umano, che rigetti la muscolarità feroce del nostro tempo e nella riscoperta della precarietà ritrovi un’occasione forse non utopistica di rinascita nell’uguaglianza.

 

      Il messaggio filosofico si trasferisce dunque nella danza e il vocabolario di questa ne disegna l’urgenza e la necessità: accettare la potenza della fragilità, componente essenziale della bellezza, è questo il suo senso. 
Che sia la natura maestosa e materna minacciata dalla devastazione, o il monumento millenario distrutto dal caso o dall’umana follia, che sia la nostra stessa vita - dono mirabile e immeritato - tutti viviamo un eterno ritorno, un incessante ciclo di oscurità e luce: un sono già stato qui al quale la vertiginosa coreografia ci richiama con la fluidità delle sue forme, con la struggente bellezza dell’aggregarsi e abbracciarsi e separarsi dei corpi.
Ci dice, questa danza, che l’esistenza è quell’enorme, misterioso déjà-vu nel quale ciò che proviamo e sentiamo è sempre frutto di esperienza - nostra o di altri - già vissuta e ogni volta nuova e diversa. 

 

      La vertiginosa traiettoria della danza, l’ipnotico tessuto musicale degli archi dal vivo sul palco - quasi componenti essi stessi del movimento coreografico - disegnano quadri tanto di vorticosa fisicità quanto di aerea leggerezza. E il moto degli interpreti nello spazio scenico, ora commovente ed elegiaco ora vorticoso e di potente atletismo, disegna itinerari di emozioni che l’eccellenza non solo tecnica ma anche espressiva dei ballerini enfatizza, in poderosa alchimia con la partitura musicale.
Al centro di tutto questo moto - sussultorio e ondulatorio, si direbbe - fatto di smarrimenti e ritorni, nel vorticoso incedere come nel rallentare del movimento vi è l’uomo, con il suo titanismo dolente e spesso sconfitto.

È in questo, nell’intrecciarsi e sovrapporsi dei corpi in un finale ipnotico ralenti, nel magnetismo che si sprigiona da ciascuno degli straordinari interpreti, che la danza parla il suo linguaggio più umano e diretto: quello della coscienza - oggi offuscata ma forse non per sempre smarrita - della vulnerabilità e impermanenza dell’umano. 

Riconoscerla e riconoscersi in essa è il necessario puntello per fronteggiare la pena, per ritrovare una voce comune e un’utopia che ci salvi: perché “nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso”; e perché tutti…siamo già stati qui
 

“La nostra vita non può sottrarsi alla commedia né alla tragedia. In tal senso affermo che la condizione umana è vulnerabile, perché i volti della finitudine sono ineludibili”.
(Joan-Carles Mèlich, Essere fragili, 2024)


Le immagini presenti nell’articolo appartengono ai rispettivi proprietari e sono utilizzate al solo scopo di corredare il testo. 
Sara Di Giuseppe - 2 luglio 2025

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