17/08/25

NON APRITE QUELLA PORTA

ovvero
Trump e Putin in Alaska

     Servissero conferme - ma non servono - della qualità pietosa dell’informazione, delle vette di scempiaggine su cui cerca di arrampicarsi, riuscendoci benone, gran parte del giornalismo italiota, basterebbe aver guardato la sera del 15 agosto servizi giornalistici e talk televisivi d’accompagno (Rai, La7 e tutto il cucuzzaro della dis-informazione, televisiva e non) la diretta dell’arrivo in Alaska - per il summit sull’Ucraina - dei due soggetti psichiatrici a cui incomprensibilmente una parte altrettanto disturbata dell’umanità ha delegato il governo delle proprie sorti.

     Inquadratura fissa per un tempo in(de)finito sul portellone ostinatamente chiuso dell’Air Force One. E tu, per quanto ti sforzi di non farlo, ti fai venire in mente - non senza un pizzico di speranza - la scena finale di Zabriskie Point del grande Antonioni: immobilità assoluta e silenzio nel lunare paesaggio della Death Valley, la fanciulla guarda la collina desertica su cui posa l’enorme arrogante villona; di colpo un’esplosione enorme, anzi più esplosioni  - sorta di visonaria, palingenetica ecpirosi - e nell’aria volano e volteggiano come in una danza e ricadono giù sulle armonie dei Pink Floyd tutti i simboli del potere consumistico (correvano gli anni Settanta del ‘900, un’era geologica fa, e una disillusione collettiva che, nel rifiuto delle mistificazioni del potere, almeno aveva grandi maestri a rappresentarla).   

 
Passa l’attimo, torni a terra non senza fastidio e vedi i giornalisti in studio che trepidanti commentano quella porta chiusa, quel portellone muto, chissà che succede là dietro (un litigio, un infarto, una sveltina per allentare la tensione… non lo dicono ma lo pensano, proprio come noi) e si avvitano e s’incartano e interrogano gli “esperti”…

Finchè esplode il grido liberatorio: è uscito!

E un altro imperdibile momento cinematografico ci sovviene, quello in cui il servo del Marchese del Grillo grida a tutto il signorile palazzo, fino a quel momento congelato nel silenzio, un sonoro romanesco S’è svejiatooo! e l’operosità di sguatteri e popolino riprende.

 

Ecco quindi i servitori (lapsus, i giornalisti) commentare implacabili, dell’ammerecano, il passo, l’andatura, la cravatta, il gatto morto sul cranio arancione, il tappeto rosso che prima, dice la giornalista, ci hanno passato l’aspirapolvere, l’ho proprio visto io prima d’andare in onda… e capisci che l’acuta anchorwoman è stata a un passo dal chiedere in ginocchio la marca del magico arnese, dovesse averne bisogno... 

 

Poi arriva al ralenti l’aereo di quell’altro, il soggetto psichiatrico numero due, e quelli in studio a descriverli sbavando seriosi, e commentarli come se non li avessimo visti, noi e loro, decine di volte scendere - talvolta inciampare, quasi ruzzolare… - ma anche avventurosamente camminar salutando, un piede dopo l’altro (pensate, camminano perfino, anche se non sulle acque), come fossimo bambini scemi a cui additare il re e la regina e il principino, uhh guarda come sono belli, magri e biondi…

 

 Il resto della serata - il disquisire del nulla, il secondo te era più teso quello o quell’altro, il di sicuro è un momento storico signori miei, ma noi saremo sempre qui per la maratona in diretta - decidiamo di risparmiarcelo perché vogliamo ancora un po’ di bene a noi stessi. (…)

Ci resta addosso l’appiccicaticcio fastidioso di ciò che abbiamo visto e sentito. Ci restano le cronache successive, il giornalismo che con pochissime eccezioni, pur di non smentire i trionfalismi precedenti, le lenzuolate poggiate sul nulla e grondanti pronostici e ottimismi sull’epocale incontro - una boiata pazzesca direbbe Fantozzi, e stavolta La corazzata Potëmkin non c’entrerebbe - continua a cercare senso e contenuto in ciò che è solo un teatro dell’assurdo che gronda sangue e macerie e denaro da oltre tre anni (e non solo).

 

Ci resta la chiarezza del motivo per cui siamo agli ultimi posti nella graduatoria mondiale per qualità e indipendenza dell’informazione.

 

Ci resta, perentoria, la sensazione che ciò che avremmo voluto vedere e sentire è almeno un giornalista, uno solo, che dicesse: 

                           Non aprite quella porta. Lasciateli lì dentro. Per sempre.
 
Sara Di Giuseppe - 17 agosto 2025

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