20/08/25

"Ma solo un punto..."

INFERNA DANCTIS – Orkestra Constriptor

Voce: Vincenzo Di Bonaventura 
Chitarra: Danilo Cognigni
 
Ospitale delle Associazioni
Grottammare Alta 
16 -17 Agosto 2025 
 

" Ma solo un punto…”

 

Per più fiate li occhi ci sospinse 
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
 
(Divina Commedia. Inferno, c.V , vv.130-132)

 
 
È pittura, è scultura, è cinema perfino, la lingua di Dante, il suo endecasillabo contiene la purezza dell’italico suono e tutte le possibilità espressive consentite all’umano.
Muove da qui stasera l’attore-solista: che solista oggi non è, perché la voce della chitarra sciabola lo spazio e graffia, percuote, chiama, in tutt’uno con la voce umana, e insieme - Vincenzo e Danilo - scolpiscono quel loco d’ogne luce muto, Inferno di pena e disperazione che dei dannati stravolge le sembianze, frantuma la voce.
Come quella di  Francesca, che nell’imponente impianto acustico si fa suono scosceso e roco, grumo di dolore nell’espiazione eterna, per divenire poi narrazione dolente, rimpianto di dolcezza assaporata appena e subito perduta  - Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria - e stupore, quasi, per quella forza incoercibile d’amore che perderà gli amanti quando la lettura galeotta di Lancialotto come amor lo strinse, disvelerà a entrambi la reciproca attrazione e impallidirà i volti nell’incontro degli sguardi… Ma solo un punto fu quel che ci vinse 
 
[Rifletterà più avanti col suo pubblico, il nostro attore solista, rendendo con travolgente chiarezza la contemporaneità del poeta: quella sciabolata di luce gettata nella profondità del cuore umano attraversa 700 anni e viene a dirci oggi, nel nostro martoriato presente, che la follia del mondo dovrà trovare sì, anch’essa “solo un punto”: quello che basti non per esserne vinti come i due infelici amanti bensì per convergere e rinsavire, e da un oggi in avaria dell’umano uscire alla piena luce di una ritrovata umanità; dallo stato bruto di pecore matte - nel quale continuiamo a precipitare perché è caduto il respiro che univa l’uomo alla pena / dell’uomo - riemergere alla coscienza di un diverso orizzonte che ci renda degni di salvezza. 
“Solo un punto potrebbe bastare, o non ci resterà che attendere il primate futuro* che torneremo ad essere]. 

 

Ma è iniziato ben prima del quinto Canto, stasera, il viaggio poetico-musicale della “macchina narrante e concertante”: la voce e le percussioni di Vincenzo, le chitarre di Danilo mescolano il tessuto sonoro alla duttilità dell’endecasillabo dantesco, si fanno partitura musicale di un’architettura linguistica che mai fu più alta dal Trecento a noi.
Nel “brivido allucinatorio” che ne deriva, lo spazio intorno a noi si fa altro e ci scaglia nell’oltremondo dantesco, nell’aria sanza tempo tinta, nell’assenza di tempo e di luce che è assenza di speranza.

 

E dallo smarrimento nella selva all’incontro con le tre fiere, all’intervento salvifico di Virgilio, ai dubbi del poeta che Beatrice illumina e dissolve, fino all’impatto brutale con la disperazione dei dannati, è sempre la sostanza umana del poeta che s’interroga, che si dibatte tra la pietà per i dannati e la profonda coscienza morale e religiosa che gli impone di accettare la divina giustizia.

 

Da qui in poi - la porta infernale e la terribile scritta alla sua sommità, le anime che Caronte spinge sulla barca e batte col remo  qualunque s’adagia, le schiere degli ignavi alla cui viltà si rivolge il disprezzo del poeta e del suo maestro, il dolcissimo incontro con Virgilio, le ombre antiche, gli spiriti magni nel Limbo, le creature infernali e mitologiche – l’esperienza extrasensoriale del poeta procede in un trapasso incessante dal particolare all’universale: poiché di continuo la politica e la storia, e l’esperienza viva e terrena del poeta irrompono nell’incontro con le ombre dei dannati. 
Ed è confronto incessante con la propria materia di uomo, è messaggio morale che nell’accorata pietà per l’umanità tragica di Francesca e di Paolo trova uno dei punti più alti: nella fragilità di Francesca il poeta vede rispecchiata la propria, e al tempo stesso cade la fede stilnovistica nell’amore-virtù; la certezza dell’amore come forza che sublima e innalza cede all’impatto con la visione dell’amore che uccide: il poeta ne è sopraffatto, e venni men, sì com’io morisse.
 
Continuerà negli incontri a venire, il viaggio dell’instancabile macchina attoriale - nostra navicella di salvezza - nel verso e nell’oltremondo dantesco: con noi pochi e privilegiati viaggiatori spinti da bisogno di volare, stregati dal moto ondulatorio e sussultorio dei versi e della musica. 
Abbiamo bisogno di quel canto poetico. 
Incapaci di decifrare l’insensato presente, increduli al cospetto della barbarie che ci sovrasta e del silenzio di un mondo arreso, cercheremo ancora ostinatamente quel punto, solo un punto, che ci vinca  e ci possieda.

 

 

*i corsivi sono tratti dalle raccolte poetiche di Giarmando Dimarti
 

Sara Di Giuseppe - 19 agosto 2025

17/08/25

NON APRITE QUELLA PORTA

ovvero
Trump e Putin in Alaska

     Servissero conferme - ma non servono - della qualità pietosa dell’informazione, delle vette di scempiaggine su cui cerca di arrampicarsi, riuscendoci benone, gran parte del giornalismo italiota, basterebbe aver guardato la sera del 15 agosto servizi giornalistici e talk televisivi d’accompagno (Rai, La7 e tutto il cucuzzaro della dis-informazione, televisiva e non) la diretta dell’arrivo in Alaska - per il summit sull’Ucraina - dei due soggetti psichiatrici a cui incomprensibilmente una parte altrettanto disturbata dell’umanità ha delegato il governo delle proprie sorti.

     Inquadratura fissa per un tempo in(de)finito sul portellone ostinatamente chiuso dell’Air Force One. E tu, per quanto ti sforzi di non farlo, ti fai venire in mente - non senza un pizzico di speranza - la scena finale di Zabriskie Point del grande Antonioni: immobilità assoluta e silenzio nel lunare paesaggio della Death Valley, la fanciulla guarda la collina desertica su cui posa l’enorme arrogante villona; di colpo un’esplosione enorme, anzi più esplosioni  - sorta di visonaria, palingenetica ecpirosi - e nell’aria volano e volteggiano come in una danza e ricadono giù sulle armonie dei Pink Floyd tutti i simboli del potere consumistico (correvano gli anni Settanta del ‘900, un’era geologica fa, e una disillusione collettiva che, nel rifiuto delle mistificazioni del potere, almeno aveva grandi maestri a rappresentarla).   

 
Passa l’attimo, torni a terra non senza fastidio e vedi i giornalisti in studio che trepidanti commentano quella porta chiusa, quel portellone muto, chissà che succede là dietro (un litigio, un infarto, una sveltina per allentare la tensione… non lo dicono ma lo pensano, proprio come noi) e si avvitano e s’incartano e interrogano gli “esperti”…

Finchè esplode il grido liberatorio: è uscito!

E un altro imperdibile momento cinematografico ci sovviene, quello in cui il servo del Marchese del Grillo grida a tutto il signorile palazzo, fino a quel momento congelato nel silenzio, un sonoro romanesco S’è svejiatooo! e l’operosità di sguatteri e popolino riprende.

 

Ecco quindi i servitori (lapsus, i giornalisti) commentare implacabili, dell’ammerecano, il passo, l’andatura, la cravatta, il gatto morto sul cranio arancione, il tappeto rosso che prima, dice la giornalista, ci hanno passato l’aspirapolvere, l’ho proprio visto io prima d’andare in onda… e capisci che l’acuta anchorwoman è stata a un passo dal chiedere in ginocchio la marca del magico arnese, dovesse averne bisogno... 

 

Poi arriva al ralenti l’aereo di quell’altro, il soggetto psichiatrico numero due, e quelli in studio a descriverli sbavando seriosi, e commentarli come se non li avessimo visti, noi e loro, decine di volte scendere - talvolta inciampare, quasi ruzzolare… - ma anche avventurosamente camminar salutando, un piede dopo l’altro (pensate, camminano perfino, anche se non sulle acque), come fossimo bambini scemi a cui additare il re e la regina e il principino, uhh guarda come sono belli, magri e biondi…

 

 Il resto della serata - il disquisire del nulla, il secondo te era più teso quello o quell’altro, il di sicuro è un momento storico signori miei, ma noi saremo sempre qui per la maratona in diretta - decidiamo di risparmiarcelo perché vogliamo ancora un po’ di bene a noi stessi. (…)

Ci resta addosso l’appiccicaticcio fastidioso di ciò che abbiamo visto e sentito. Ci restano le cronache successive, il giornalismo che con pochissime eccezioni, pur di non smentire i trionfalismi precedenti, le lenzuolate poggiate sul nulla e grondanti pronostici e ottimismi sull’epocale incontro - una boiata pazzesca direbbe Fantozzi, e stavolta La corazzata Potëmkin non c’entrerebbe - continua a cercare senso e contenuto in ciò che è solo un teatro dell’assurdo che gronda sangue e macerie e denaro da oltre tre anni (e non solo).

 

Ci resta la chiarezza del motivo per cui siamo agli ultimi posti nella graduatoria mondiale per qualità e indipendenza dell’informazione.

 

Ci resta, perentoria, la sensazione che ciò che avremmo voluto vedere e sentire è almeno un giornalista, uno solo, che dicesse: 

                           Non aprite quella porta. Lasciateli lì dentro. Per sempre.
 
Sara Di Giuseppe - 17 agosto 2025

05/08/25

ANGELO e DIABOLIKO


Però, per raccontare e disegnare – da par suo – Diabolik con Grottammare, Angelo (nomen omen) non aveva bisogno di essere diaboliko.

Educazione, riservatezza, eleganza, precisione, generosità, gusto. Come pochi.

 

5 agosto 2025               giorgio