28/10/25

“Omaggio a Stefano Benni”

con Piergiorgio Cinì

fisarmonica Sergio Capoferri


Teatro dell'Olmo 
San Benedetto del Tronto
26 ottobre 2025 h18

 


31° Incontro Nazionale dei TEATRI INVISIBILI
San Benedetto del Tronto  - Grottammare
26-28 Ottobre - 8-9-15 Novembre

 

Direzione artistica
Laboratorio Teatrale Re Nudo

 

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“È momentaneamente vivo” si legge nel sito in cui lui, Stefano Benni, parla di sé. 
La data non c’è e non importa: è noto, parola di monsieur de Lapalisse, che chiunque prima della dipartita è vivo.
Nel caso di Benni riteniamo anzi da fondati indizi che vivo lo sia tuttora: per esempio continua a farci ridere di gusto; per esempio Re Nudo e gli Invisibili gli dedicano un recital teatral-poetico-musicale e la sua satira sociale continua a colpire nel segno senza tregua: roba da vivi, no?

E dunque.

Piergiorgio Cinì e Sergio Capoferri fanno già da soli una compagnia teatrale: Cinì parla, mima, declama, spumeggia; Capoferri risponde a suon di fisarmonica e Piazzolla irrompe dalla lontana Buenos Aires fra i legni affettuosi del Teatro dell'Olmo. 
I testi di Benni strappano risate e meraviglia, sono una festa della parola e del paradosso, sono il trionfo dell’iperbole ma sono anche la verità su di noi e ci mettono a nudo, bizzarre creature davanti a uno specchio deformante.

 

Ecco allora il mercante d’armi rivendicare la propria buona fede e perbacco, se avessi saputo che un cliente / può diventare nemico / della mia patria/ dell’Occidente (…) gli avrei fatto pagare / il cinquanta per cento in più… Quando si dice il rigore etico sposato alla solida morale… Avercene!

 

Ecco l’amore, ecco “Le piccole cose che amo di te”; ecco “Ti amo”, e “Prima o poi l’amore arriva”: già, l’amore. Quello che, comunque lo vedi, declinato dal quotidiano al surreale al grottesco come in Benni, sempre rende imprevedibile e surreale ciò che è ordinario e Benni sa come prendersi gioco di "questo guazzabuglio del cuore umano" . 

 

Ecco l’impareggiabile “Storia di Pronto Soccorso e Beauty Case”: amore anche qui, e tanto, e paradossi e iperboli. Sedici anni lui, passione per i motori ereditata seguendo il padre sul lavoro cioè a rubare le gomme;  quindici lei, figlia di una sarta e di un ladro di Tir, così piccola che la madre le cuce le  minigonne con le vecchie cravatte del babbo. 
S’incontrano, s’innamorano una sera di prima estate, si baciano dalle nove e un quarto alle sei di mattina, e “sono innamorato” confesserà Pronto a quattro scarafaggi che dalle nostre parti parlano piuttosto colorito e rispondono di conseguenza. 
Tra una carambola e l’altra di Pronto Soccorso – nomen omen, in un anno s’imbustò col motorino duecentoquindici volte sempre in modi diversi - alla fine la legge arriva nella persona di Joe Blocchetto, spietato comminatore di multe: per Pronto sarebbe finita, se tutto il quartiere di Manolenza - entri che ce l’hai ed esci senza - non si mobilitasse scatenando il più colossale ingorgo che memoria di vigile ricordi: il quale vigile, va da sé, esce fuori di testa. Ma tutto finisce in gloria: il feroce Joe Blocchetto dopo un periodo in manicomio dirige ora un autoscontro, e Pronto e Beauty si sono sposati, lui trucca le auto, lei le pettina.

Potere dell’amore! Perfino se è quello, mercenario e proibito che - ne “Il porno sabato del cinema Splendor” - sconvolge il paese di Sompazzo il cui cinema (il primo ad essere aperto in paese!) inserisce nella programmazione un film a luce rosse, sconvolgendo codici morali ed equilibri famigliari; e dove per involontario scambio di bobine invece che il secondo tempo del porno viene proiettato l’arrivo di Coppi al Giro d’Italia e l’accaduto viene così commentato: Coppi è bestiale. Pensa, nel primo tempo scopa per un’ora di fila, poi salta in bicicletta e vince” .

 

Il Piazzolla degli intermezzi alla fisarmonica del maestro Capoferri – durante i quali l’umorismo dei testi sembra raccogliersi in momenti di abbandono e riflessione – evoca mondi ben lontani dalla colorita provincia emiliana di Benni: eppure il vitalismo porteño che occhieggia nella melodia struggente di Astor (“negli accordi ci sono antiche cose / l’altro cortile e la nascosta orditura”: così il tango, nei versi di Borges) si coniuga intimamente  col microcosmo “diabolicamente” smascherato da Benni, col caleidoscopio di voci e di volti che ci vengono incontro: stralunati o struggenti, e tutti - grazie all'immaginario di Benni, alla scrittura acuminata, al sorriso in agguato dietro la malinconia e viceversa - sono eroi senza medaglie di quell’avventura che tutti ci accomuna ed è la vita. 
“E a morire non riuscirò mai”, scriveva Benni nella sua Canzone per De André.
 Ed ha avuto ragione: non c’è riuscito.
 

 

 
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Povere genti che ai menestrelli credete
Dimenticarvi di me non potrete
E io di voi scordarmi non posso
Dentro un tramonto feroce e rosso 
Dentro un cielo di sangue e vino
Ascoltate come sembra il primo 
L’ultimo accordo che io imparai
Io non voglio non voglio morire 
E a morire non riuscirò mai.
 
[S.Benni Quello che non voglio  (una canzone per Fabrizio De André ) – 2011]



 

Liliom

Coreografia John Neumeier

Corpo di ballo del Teatro Nazionale di Praga
Musica Michel Legrand
Orchestra dell’Opera di Stato di Praga e Top Big Band

 

Teatro dell’Opera – Praga
première 23 Ottobre 2025 h19


Foto NárodnÍ Divadlo

SULLA GIOSTRA [NON] C’È POSTO PER TUTTI

 

…E se la giostra è quella metaforica della vita, di spazio ce n’è ancor meno, e si fa labile il confine fra il gioco e la tragedia. 

Ben lo aveva rappresentato Ferenc Molnár nel dramma teatrale del 1909, da cui il prestigioso John Neumeier trae la coreografia “Liliom”.

 

Mutata l’ambientazione - dalle periferie dei giostrai ungheresi ai parchi di divertimento dell’America degli anni Trenta e della Grande Depressione - l’umanità che vi si rappresenta, nel dramma di Molnár come nella coreografia di Neumeier, è composta da coloro che il Verga chiamerebbe “i vinti”.
E tuttavia, come è stato scritto, “non si tratta semplicemente di un dramma sociale ma di una riflessione poetica sul teatro del mondo”. Tanto da attirare all’epoca l’interesse di compositori del calibro di Kurt Weill e Puccini.

 

La giostra, dunque: centro simbolico del mondo suburbano, raduna intorno sé un microcosmo proletario e variegato di solitudini e coralità; le relazioni interpersonali, i sentimenti eternamente umani - amore, gelosia, collera, frustrazione – vivono nella cornice di un disagio sociale che relega i vinti ai margini della storia, circoscrive la loro libertà di vivere e amare, ne segna crudelmente i destini. Una realtà che, pur storicamente determinata – il disastro economico e sociale dell’America degli anni Trenta – presenta connessioni drammatiche con il presente e il recente passato.

 

Liliom e Julie - i protagonisti - si attraggono e si respingono, inconsapevolmente presaghi di una felicità che sarà breve: nel dramma di Molnár agisce un determinismo sociale che fa del giovane imbonitore da giostre una vittima predestinata, la cui genuinità di sentimenti annega nella palude malsana del degrado sociale e nella violenza che ne segnerà la fine tragica. 

Diverge qui dal modello teatrale, per approdare ad un finale meno fosco, la versione coreografica di Neumeier. Pur se la miserabilità della giustizia terrena verso gli emarginati e gli esclusi si riproduce  infatti tal quale nell’al di là, la condanna di Liliom e il successivo suo ritorno temporaneo in terra (concessogli per conoscere il figlio ormai 17enne e confessargli le sue colpe) porteranno al riscatto. 
In quello spazio sospeso tra il presente e l’eternità l’intervento amorevole di Julie farà sì, infatti, che Liliom torni tra le ombre senza essere dannato per sempre. 

 

La coreografia di Neumeier sovrappone genialmente i piani narrativi – nel prologo la morte di Liliom è già avvenuta, i quadri successivi sono altrettanti flashback lungo i quali si snoda l’intero dramma – enfatizzando nel vocabolario della danza sia gli interrogativi filosofici ed esistenziali che l’aspetto metafisico della storia. Realtà terrena e oltremondo finiscono per fondersi: la ieratica figura nerovestita, il Balloonmen - l’uomo dei palloncini -  ne è il misterioso inquietante raccordo e la storia  trascende il tempo e i confini culturali per farsi parabola esistenziale “sulla impossibilità di esprimere l’amore, sulla fragilità umana, sulla ricerca di redenzione”.

 

L’originalissimo dialogo musicale – musiche composte da Michel Legrand, suggestiva mescolanza di genere classico e jazzistico – tra l’orchestra nel golfo mistico e la big band collocata in alto sul proscenio, crea un’architettura sonora nella quale, se le variazioni ritmiche e le improvvisazioni del jazz rimandano a disarmonie e conflitti emozionali, gli elementi classici a loro volta ne enfatizzano i moti compresi fra gli opposti poli dell'amore e dell'odio.

 

Tessuto sonoro e alfabeto di movimento su cui l'eccellenza degli interpreti – splendidi protagonisti il “nostro” Giovanni Rotolo, primo ballerino del Teatro Nazionale, e l'intensa Alina Nanu – disegna un affresco di rara energia; nel brulicare delle scene corali come nell’intimismo dei duetti, nello struggimento dell’amore tradito, ostacolato, represso, nella pregnanza del conflitto sociale che ne è sfondo e cornice, percepiamo una realtà senza tempo nella quale prende corpo, prepotente, la riflessione dello stesso Neumeier per il quale il teatro non può cambiare il mondo ma può offrire la visione di un mondo diverso. E da qui il cambiamento può iniziare.

 

“Solo l’osservatore […] ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpassati domani”.

 

(G.Verga Prefazione a I Malavoglia, 1881)
 
 
Sara Di Giuseppe - 26 ottobre 2025

 

15/10/25

TRANSUMANZE*


Muriel, la capra, sapeva leggere un po’ meglio dei cani e talvolta, la sera, leggeva ad alta voce frammenti di giornali che aveva trovato nell’immondizia
(G.Orwell, La fattoria degli animali, 1945)



Settembre, andiamo. È tempo di migrare. (G.D’Annunzio I pastori, in Alcyone, 1903). 
Curioso: nel lontano 1903 il migrare era usato dal genio poetico dannunziano a indicare il passaggio di animali e pastori dalla montagna al mare (e la lingua si faceva manifesto del rispetto amorevole per quel mondo e quelle storie); oggi, a più di un secolo da allora, l’ignoranza caprina (non si offenda, il pacifico animale) di giornalisti e politici definisce transumanza il movimento migratorio del disperato popolo palestinese (quello che ne resta) nel ritorno al deserto di macerie e morte che oggi l’ipocrisia occidentale chiama pace. 
 
Significa che siamo andati avanti, che siamo più belli e più grandi che pria.

  

Non è stato l’unico, il sopravvalutato Mentana delle maratone tivù e del perbenismo finto progressista: precedenti illustri (si fa per dire) sono il Giambruno principe consorte decaduto che definì transumanza le migrazioni in Europa; prima di lui (2015) la stessa fratelladitaglia tuonava fuori dalla grazia di dio un improbabile nomadare (“…Se sei nomade devi nomadare”, sic), seguito appunto - a indicare le migrazioni umane - da uno spettacolare “quando hai nomadato, transumi e vai”. Impagabile. Meno male che Giorgia c’è.

 

Ora che quotidiani e tivù affogano nella retorica a buon mercato e - perfino - dei vaneggiamenti trumpiani davanti alla plaudentissima Knesset israeliana ci viene inflitto l’integrale in diretta tivù (comprensivo di “Netanyahu mi ha chiesto tutti i giorni armi potentissime che non sapevo di avere e gliele ho date”: è questo, che tocca sentire, a meno di rifugiarsi su altro pianeta), è palpabile il sollievo che anima i politici complici (silenti di fronte al genocidio e che ora chiamano, questo silenzio  e questa complicità, “contributo silenzioso alla pace”: ah il potere mistificatorio delle parole!) e un certo giornalismo - nostra vergogna nazionale - di quelli che (alla Paolo Mieli)  “se è vero [se è vero?! n.d.A.] che i palestinesi muoiono di fame, Flotilla poteva consegnare gli aiuti alimentari eccetera…”. 

 

Insomma, ora finalmente ‘sti palestinesi se ne tornano a casetta loro (si chiamano macerie e deserto, risulta?); i buoni hanno fatto i buoni e nella Striscia rasa al suolo affari d’oro e arraffo colonialistico li attendono. Premio bontà 2025. Non è ancora il Nobel per la pace ma lo sarà; nessuno si stupirà, sputtanato com’è il premio visti i soggetti cui viene conferito: come la Machado (esponente della destra venezuelana più reazionaria, golpista nel 2002 contro Chavez, dichiarata nel 2023 ineleggibile per 15 anni per frode fiscale, dal programma politico simile a quello di Milei tra cui l’eliminazione dei programmi sociali, trumpiana col botto, amica del Likud e per la quale Israele è “un genuino alleato della libertà”). 

Transumanza, dunque: la disumanizzazione passa anche per il linguaggio. 

Per quello dell’ignoranza, certo, ma anche per quello del retropensiero farisaico di pennivendoli, politici, pseudo intellettuali, opinionisti e bellagente. Di coloro per i quali è più comodo ignorare la storia recente, quella che dalla metà del secolo scorso vede il popolo palestinese oggetto di negazione costante, da parte di Israele, del diritto all’autodeterminazione. 
Nel silenzio e nella complicità del mondo.

Ignoranza, certo: quella vera, ascrivibile alla desolante mediocrità - anche culturale e linguistica - del nostro ceto politico; e quella voluta, strumentalmente applicata dai media e dagli apparati politici occidentali che li rende di fatto complici della costante, impunita violazione dei diritti del popolo palestinese, fino allo sterminio. 

Finchè le piazze di tutto il mondo non hanno plasticamente e inequivocabilmente dimostrato che i popoli - nonché le creature transumanti - sono migliori di chi li governa. 

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Gaza è imparagonabile a tutte le altre esperienze, per il grado di violenza, per l’intensità dei bombardamenti, di distruzioni (…) Gaza è un concentrato di tutti gli altri teatri di guerra (…) Se devo pensare a un’espressione per Gaza, penso too much, è troppo.

 

(Gennaro Giudetti, operatore umanitario a Gaza, intervista video ad Alessandro Di Battista, 14 ottobre ’25 )
 

*Transumanza: s.f., Trasferimento del bestiame in estate ai pascoli della montagna e in autunno al piano. 

(in: lo Zingarelli - Vocabolario della lingua italiana - 2003)

 
Sara Di Giuseppe - 15 ottobre 2025

01/10/25

"Hic manebimus optime”


È quello che devono essersi detti diplomatici e funzionari rappresentanti dell’Italia all’Assemblea Generale dell’Onu restando ben piantati sui rispettivi scranni mentre più di un centinaio di altri, in rappresentanza di oltre 50 Paesi, abbandonava per protesta la sala all’arrivo di Netanyahu: restarsene ben avvitati alla ghiotta poltrona, il motto, non sia mai qualche malintenzionato ce la sfili di sotto. 

Non si trovano, neanche a cercarli col lanternino, i nomi dei nostri eroici connazionali: esclusa la presidente della delegazione e membro permanente Mariangela Zappia, il resto è un non meglio precisato “team diplomatico”. 

Che il non farsi stanare sia per un tardivo soprassalto di vergogna? Ma no, in fondo nulla hanno di diverso quanto a codardia e opportunismo, dai farisei al governo: di che, dunque, dovrebbero vergognarsi?
Forse di sedere fianco a fianco con la delegazione israeliana che s’è spellata le mani per Netanyahu ad ogni invereconda balla pronunciata? 
Forse di essere delegati di un’Italia che continua a vendere armi ad Israele, ad intrattenere rapporti diplomatici ed economici con un governo responsabile di crimini contro l'umanità? 
Forse di rappresentare un paese che riceve in Vaticano il presidente - Herzog - di uno stato genocidario?

 

Suvvia, per tanto poco, e poi teniamo famiglia.

 

Magari un piccolo balzo sulla famosa poltrona potrebbero averlo fatto nel sentire il macellaio israeliano parlare di aiuti alimentari forniti da Israele a Gaza per una quota di 3.000 calorie al giorno a persona (c’è da invidiarli, ‘sti fortunatoni di palestinesi, con tanta gente nel mondo che patisce la fame…); o vantare come attestazione di umanitarismo l’aver ordinato più volte l’evacuazione preventiva della Striscia (una pratica, peraltro, riconosciuta come parte integrante della fattispecie di genocidio) e non come la Germania nazista che gli ebrei li ammazzava e basta.

Cose così, insomma, completate dall’orgogliosa check list dei leader dei paesi vicini ammazzati e/o tolti di mezzo (Nasrallah andato, Assad affondato, gli scienziati iraniani vaporizzati…: con tanto di mappa e di spunte col pennarello nero). E mica solo Hamas va eliminata, le cose bisogna farle per bene: pure l’ANP va cancellata, ed ecco un Medio Oriente finalmente libero dal terrorismo, che vuoi di più dalla vita.

E poi la spilla sul bavero col QRcode per rivedere i crimini di Hamas; e i camion con sound system e altoparlanti a Gaza (“scena da dittatori in pieno delirio di grandezza”) per far sentire l’edificante discorso ai prigionieri israeliani; e poi che a Gaza c’è “il più basso tasso di vittime civili” (appena l’80% dei 65.000uccisi, una cosuccia n.d.A.) rispetto alle guerre Nato…e via balleggiando.   
Il resto - le accuse a Israele, le prove inconfutabili di genocidio in atto – nient’altroche propaganda anti-israeliana e bugie antisemite.

 

Vedete bene, signori miei, che non c’era alcun motivo per alzarsi e andarsene indignati, che esagerazione...

 

D’altronde non solo noi italioti, si badi: ad abbeverarsi alla limpida sorgente della verità israeliana è rimasta seduta una buona fetta delle diplomazie europee, con l’eclatante eccezione della Spagna. 
Rappresentazione plastica di un occidente pavido, incoerente di fronte alla coerenza del sud del mondo, balbettante davanti alla tragedia umanitaria eppure tronfio di sé, dei cosiddetti valori occidentali e atlantisti che includono il farsi zerbino di logiche belliciste su altri fronti di guerra.
E pronti a plaudire al piano di accordo - strombazzato in pompa magna e raccolto con eccitate dirette dal sistema dell’informazione (si fa per dire) italiota a inginocchiatoi unificati - tra il macellaio israeliano e lo psicopatico d’oltreoceano: per una pacificazione e ricostruzione gestite dal britannico Blair (quell’affidabile soggetto delle false prove su armi di distruzione di massa possedute dall’Iraq, da cui la guerra da un milione di morti e permanente destabilizzazione dell’area).

 

È così che la Striscia vivrà finalmente la sua età dell’oro: con una ricostruzione di stampo prettamente colonialista, gestita da immobiliaristi e affaristi, mascherata da operazione umanitaria e affidata per finta a funzionari internazionali, e con i palestinesi (quelli rimasti vivi) relegati ancora e sempre ai margini.

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Nessun accordo stipulato a migliaia di chilometri di distanza può riflettere la realtà di una tenda, accanto alle macerie, senza acqua pulita e medicine. Per la maggior parte di noi l’accordo è un’altra illusione. 
(…) Ci aggrappiamo alla nostra umanità pensando che un giorno le nostre voci - non l’eco di quelle degli altri -riempiranno di nuovo queste strade. 
(Elina Yazji in Il Fatto Quotidiano – oggi, 30 settembre)

 

*Tito Livio Ab urbe condita, V, 55

 

Sara Di Giuseppe - 30 settembre 2025




 

30/09/25

Per "Vedere oltre una 'realtà' condizionata dall'abitudine": il Collage de 'Pataphysique

 

Tania Sofia Lorandi, “Trascendente Satrapessa” del Collage de ’Pataphisique (CD’P), ci manda l'invito ad abbonarsi o acquistare dei numeri pubblicati dallo stesso Collage nel corso degli anni, per conoscere o approfondire un pensiero 'laterale' rispetto alla quotidianità e alle consuetudini personali e sociali. E noi lo inoltriamo volentieri.

Ricordiamo che Tania, con il suo Collage, è stata una stretta collaboratrice della nostra Rivista d’Arte e fatti Culturali "UT”, rivista che ha dato vita a questo Magazine. Insieme alla Lorandi vi hanno participato, svolgendo con creatività e bravura alcuni dei temi pubblicati da UT, artisti e scrittori come: Mario De Carolis, Stefano Malosso, Mauro Rea, Antonio Castronovo, Tonia Copertino, Marco Maiocchi, Pino Guzzonato, Melania Piumino, Ezia Mitolo, Donato Di Poce, Miriam Ravasio, Nataly Wolf, Luciano Fadini, Carmen Carlotta, Alessio Balduzzi e molti altri con visibilità a carattere nazionale ed europea.

Perciò, e in qualità di amici estimatori della ’patafisica nonché cittadini sambenedettesi, ospitanti forse tra le ultime opere monumentali di Enrico Baj “Ubu re” (personaggio del dramma surrealista di Alfred Jarry, inventore del teatro dell’assurdo e riferimento ideale della “scienza delle soluzioni immaginarie” del CD'P), invitiamo tutti ad aderire, sostenendo e seguendo le numerose pubblicazioni del Collage anche attraverso il web.

https://www.collagedepataphysique.it/

n.d.r. - San Benedetto del Tronto - 30 settembre 2025

21/09/25

La scomparsa dei vigili pistoleri

 

Giuda murì / Patò spirì / Spirì Patò / Cu l’ammazzò? / Quantu patì? / E po’: pirchì / Patò spirò?*

 

Ripatransone.

La cittadinanza è in subbuglio. Da quando s’è notata l’ormai prolungata assenza dei vigili pistoleri dal centro cittadino, sempre più preoccupate si sono fatte le ipotesi sulle ragioni dell’inspiegabile scomparsa e sulle oscure, temibili conseguenze di questa.

Scomparsi come Patò, i vigili pistoleri de noantri.

I ripani sono attoniti, sull’orlo di una crisi di nervi. 
Abituati da tre anni a vederli comparire in piazza davanti alla cattedrale - di domenica e non solo - questi Vigili della “Colonna Mobile Blu” del Consorzio dei Comuni Montani dei Monti Azzurri  - con fata turchina per armocromia e sede a San Ginesio (MC) - con penzoloni la pesante BERETTA semiautomatica calibro 9, cinturone con 2 caricatori e bombola spray di chissaché (in sede hanno anche sciabola e fucile come da loro statuto ma non se li portano, qui a Ripa), i cittadini oggi s’interrogano sgomenti. 

 

C’è un rapimento, dietro tutto questo? Hanno forse litigato col sindaco o col parroco? 
O magari li ha inghiottiti una botola, proprio come - nel romanzo di Camilleri - il ragionier Patò nei panni di Giuda durante la scena dell’impiccagione, nella sacra rappresentazione “Mortorio” sul palco in Piazza Grande presso il palazzo dei marchesi Curtò di Baucina di fronte alla Chiesa Madre?

 

Tutte le ipotesi sono al vaglio, scriverebbero i carabinieri e i giornalisti da riporto.

 

Sia come sia, la città ora non si sente sicura. I negozi abbassano le saracinesche, gli abitanti hanno messo sacchi di sabbia vicino alle finestre, la banca ha esposto in vetrina il cartello “Non c’è denaro contante”, che è come annunciare “Al cimitero non ci sono tombe” (per dire come siano tutti fuori di testa).

 

Insomma è il caos. 
Ma nel silenzio. Nessuno parla, solo mormorii, sguardi in tralice, mai esporsi è il motto della casa.
Intanto, va da sé, bande di gangster armati fino ai denti si aggirano ora indisturbati per le vie cittadine come nella Chicago degli anni venti (qualcuno s’incastra con l’arma nel vicolo più stretto d'Italia e lo tirano fuori a fatica). 
Chi può abbandona la casa di paese per rifugiarsi in campagna ma finisce miseramente vittima delle strade comunali dissestate come a Gaza.

 

Qualche nostalgico (ce n'è sempre di più, di 'sti tempi) rimpiange le fulgide giornate in cui gli intrepidi vigili-Rambo dei Monti Azzurri arrivavano in piazza con le loro pitturazzate macchine o coi bianchi SUV Nissan ruggenti grandi come carrarmati Leopard3, e piazzavano sbarre e divieti e multe, poi andavano al bar a far la pipì…
Sentivi tremar le vene e i polsi, ma ti sentivi al sicuro, diamine!

 

Altri più pragmatici fanno due conti e s’incazzano. 
Ben sanno infatti che gli angeli col pistolone e il macchinone e il cipiglio fiero, col quadernone delle multe appioppate mentula canis su e giù per le strade del contado, non cadevano dal cielo aggratis e con grandi ali bensì erano ingaggiati dal Comune ripano (come da altri Comuni) con contratto a suon di bei dobloni…
 
Ben sanno che questa edificante storia è andata avanti per tre anni: durante i quali risorse pubbliche sono state spese per mandare in giro gente armata fino ai denti nelle strade di una cittadina sonnolenta come una marmotta delle Montagne Rocciose a fine letargo. 
Anni durante i quali la sicurezza dei cittadini è stata messa a rischio, questo sì, dalle tante armi circolanti appese alle pance degli angeli custodi.
 
E s’interrogano allora sulle ragioni oscure di tali scelte, sul fatto che un’amministrazione comunale non sia chiamata a render conto dell’utilizzo dissennato di risorse pubbliche, investite in iniziative dal connotato muscolare e cialtrone, finalizzate ad ingrassar le tasche di pochi e a compiacere le psicotiche logiche securitarie di questo nostro tempo cupo, a mostrare il ghigno truce di un potere e di una politica - fedelmente modellati su quelli nazionali - tanto mascelluti e arroganti quanto inetti.
 
 
*A.Camilleri, La scomparsa di Patò, 2000.
 
Sara Di Giuseppe - 20 settembre 2025
 

17/09/25

“Bei cipressetti, cipressetti miei…” *

 

   L’archistar Canali pensava di inserire anche dei cipressi “alti e schietti” nella ristrutturazione dello stadio Ballarin, ma la Soprintendenza a quest’ennesima canalata pazzesca ha detto NO.

 Quindi gli spaventosi lavori edilizi interrotti non ripartono: l’archistar progettista capato nel mazzo, la Soprintendenza cattiva, il non amato Sindaco con le sue mangiabili pedine comunali, dovranno ancora riunirsi in conclave per decidere cosa diavolo piantare invece dei cipressi (non a caso associati alla morte). Si dice che s’incontreranno davanti San Guido recitando Carducci come somari.

Senza memoria, senza nostalgia né rispetto, nemmeno per il prato del Ballarin che hanno ucciso.
  

 

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
rosso e turchino, non si scomoderà:
  tutto quel chiasso ei non degnerà d’un guardo
e a brucar serio e lento seguiterà. *
 
*(Giosuè Carducci - saccheggiato come il Ballarin)
 
PGC - 17 settembre 2025

11/09/25

GOLD RUSH - Corsa all’oro

ovvero 
Elezioni regionali 2025
 

 
1848-2025, come vola il tempo.
Arrivavano in California da ogni parte d'America seguendo la pista dell'oro, percorrendo ogni possibile rotta, per mare e per terra, con ogni possibile mezzo – navi, canoe, muli – cantavano Oh!Susanna e qualcuno si arricchiva di brutto, altri restavano miserabili e con un pugno di mosche.

 

Oggi non occorre tanta fatica: ci si candida in Regione e - a patto di venir eletti - piovono pepite d’oro, non serve neanche il setaccio, ti arrivano dall’alto. 
E non è necessaria la presidenza: consigliere o assessore andrà benone, congratulazioni, hai svoltato.

 

Cinquecentoventisei (!) i candidati nelle Marche. Per 30 posti di consigliere (!). 

Ohibò, se non è gold rush questo… 

 

Sembra di vederli, ai blocchi di partenza: più affollati, proporzionalmente, della maratona di New York. 
Esaltante, se tanta foga zampilla dal volersi spendere per il bene comune, migliorare la realtà, incidere positivamente  nella condizione di tutti elevando la qualità del vivere, avendo potere e strumenti per farlo. Soprattutto cervello e idee. 
Pulsioni sì nobili e impellenti da spingere una tal pletora di candidati ad offrire il proprio disinteressato aiuto a colui/colei che guiderà la Regione, e a conseguentemente riempire dei loro faccioni sorridenti, rassicuranti, positivi, i muri di vie, piazze, rotatorie… 

 

Ma, ahinoi, è qui che la storia diverge: perché ciò che proprio non si può sperare dai nostrani cercatori d’oro, è che dalle loro imprese possa nascere l’equivalente del sogno californiano come lo si chiamò allora.
Basterà, per convincersene, mettere in fila l’uno dopo l’altro gli slogan che compaiono sul “santino” di ciascun candidato (riempiono tavoli e banconi di bar, caffè, negozi, ristoranti; di altrettanto fastidioso c’è solo l'invasione estiva delle cimici nelle campagne e abitazioni circostanti). 

 

Vero laboratorio di politichese applicato, è tutto un tripudio di Vento che parte dal basso - qualunque cosa voglia dire - di Coerenza e competenza, un'alluvione di Cambiamento, uno tsunami di Futuro, una tempesta di Noi, voi, fino ai più sofisticati Il Piceno protagonista (versione casereccia di America first), o Pace salute lavoro (ma non è l’aspirante missitalia). E via farneticando. 
Cime tempestose di pensiero creativo che ritroviamo poi sui cartelloni che ti guardano da ovunque, come in un incubo orwelliano .

 

Occorre un robusto volo di fantasia per immaginare che un ceto politico o aspirante tale che affida il proprio messaggio a un mucchio di scemenze e slogan che sembrano presi dall’incarto unticcio dei Fonzie’s possa improvvisamente, una volta conquistate le pepite d’oro - pardon il seggio regionale - rivelarsi per colui/colei che cambierà le sorti della Regione spazzando via i miasmi dell’inefficienza e dell’imperizia, degli sprechi e degli inciuci che ammorbano le Regioni, specie dopo la riforma costituzionale del Titolo V nel 2001.
 
Se è vero che non bisogna fermarsi alle parole, queste tuttavia contano se ad esse si affida la fiducia della gente, la spinta a confidare nel nuovo che avanza. 
[Specie se quest'ultimo è rappresentato da vecchie glorie già sperimentate e a cui affideremmo a malapena l'innaffiatura delle piante quando siamo fuori].

E dunque. 
Se è dura reggere il fastidio di questa campagna elettorale over size - arcaica, petulante, invadente, vuota di ogni sensato messaggio e significato - del tutto indigeribile è l’idea di contribuire col proprio voto - quale che sia - al mantenimento di carrozzoni moltiplicatori di parassitismo e clientele, familismo e sperpero di risorse pubbliche, galleggianti sugli irrisolti problemi e sulle infinite contraddizioni del regionalismo italiota, centro di potere anacronistico e pletorico.
 
(A fronte della Francia che dal 2015 ha ridotto drasticamente il numero delle Regioni, l’Italia l’ha aumentato).

 

Impossibile, allora, sottrarsi alla fastidiosa certezza che quelle facce ammiccanti dai “santini” altri non siano che i cercatori d’oro de noantri (nella Marche e non solo, naturalmente), convinti d’aver trovato la loro lucrosa pista per la California: un seggio in Regione.
 
Sara Di Giuseppe - 10 settembre 2025