25/04/25

CAMPIONE DI CONTRABBASSO

BILLY MOHLER  EURO AMERICAN QUARTET

BILLY MOHLER contrabbasso    HERMON MEHARI / tromba    FRANCESCO BIGONI / sax    NATE WOOD batteria 

  

ASCOLI PICENO - Cotton Lab     11 aprile 2025 h21.00

Di BILLY MOHLER già il nome suona bene: è facile, si ricorda, non si confonde, funziona, piace. Oggi, un nome “internazionale” e orecchiabile spesso propizia il successo, lo sanno bene cantanti, attori, scrittori, registi, atleti, pittori, presentatori… (no, politici no, loro bramano voti).

Tanto che chi non ce l’ha, e mentre il suo è davvero pessimo, si auto-ribattezza disinvolto con un paccuto nome d’arte, e via. 


     Ma qua al Cotton Lab, se quell’americano si chiama proprio BILLY MOHLER e fa il musicista jazz e ci sa fare e gli viene in ogni modo riconosciuto, che il suo sia un bel nome è un optional. Anche se suona il contrabbasso e non la chitarra, il piano, la tromba, la batteria, il clarinetto, il sax alto… 

Proprio il contrabbasso classico di legno, invece, quel bestiolone alto 2 metri.  [ Altezza del corpo 2,12, fino al riccio 1,92, lunghezza della corda vibrante un metro e dodici…]

E non fa TUN TUN - TUN TUN come tanti nelle canzonette, quattro note a rimorchio della batteria, sempre quelle che è pure difficile sbagliarle nè devi saper legger musica. 

 

      [Negli anni ’60 - ’70, al tempo dei “complessi”, al basso (elettrico) ci poteva stare chiunque: imparava facile, senza stress, e tomo-tomo cacchio-cacchio si beccava la sua brava quota (di 4, o di 5), come gli altri. Da noi usava “se vuoi suonare con noi mettiti al basso”. Come a pallone “se vuoi giocare mettiti in porta”: toccava al più scarso o al più somaro, guai se gli passava la palla tra le gambe!].

     Fattostà che il contrabbasso è stato quasi sempre considerato uno strumento minore o subalterno. Nelle orchestre di “classica” - che ne hanno anche 4 in fila - lui se ne sta in disparte, o dietro, o là in fondo in solitudine, o sbattuto all’estrema (ala) sinistra dove pare non conti nulla. Mai sotto la luce dei riflettori, quasi mai in evidenza, quasi nessuno che lo guardi, che senta le sue “note profonde e quasi inudibili”. E il direttore che sbava quasi solo per i violini? Quando invece “è inconcepibile un’orchestra senza il contrabbasso. Se si toglie il basso insorge una totale confusione linguistica di tipo babilonese, una Sodoma, all’interno della quale più nessuno sa perché fa della musica.**  A un’orchestra, a una band, toglietegli tutto ma non il contrabbasso (come fosse il suo Breil). 

 

     Se dunque di BILLY MOHLER già il nome suona bene, figurarsi quando “contrabbassa” nell’ EURO AMERICAN QUARTET dove, mancando (stranamente) il pianoforte - ma proprio non ne sentiremo la mancanza - il “motore” deve farlo lui. Musicista pazzesco, per molti il migliore in circolazione. Metamorfico e ipnotico, quando partendo di pancia con colpi secchi e marziali, bellici e minimalisti, continui e trascinatori, riesce a garantire infinita energia vitale all’esecuzione. Lui, il contrabbasso lo artiglia, o lo accarezza. E l’atmosfera, da potente e adrenalinica, torna cauta, striata, levigata nei dettagli. 

     Questo anche per l'affiatamento col suo giovane batterista, che riempie rullando oppure asseconda con fantasia, e come sussurrando ricama, sui grandi piatti, inverosimili momenti sospesi. E dei due diversissimi fiati, sassofono e tromba, che sembrando a volte fratelli a volte pensosi randagi dai passi di gatto, declinano divoranti dissonanze e invenzioni di vera grazia, incrociando tra loro sguardi lieti. 


    E’ jazz controvento, mai jazz antico. E’ jazz euro-americano futuribile, capace di pensiero o impetuoso dalla velocità elettrodomestica. E' jazz utile, economicamente corroborante, mai scontroso, mai "pericoloso": Nate Wood, quando d'improvviso ma in velicità “inchioda” la batteria fiondandosi sui due grandi piatti roventi e li blocca simultaneamente con le (quasi rosse) mani e dita simili a due orgogliose pinze-freno BREMBO, ogni suono si immobilizza, sparisce. Che silenzio...


Un quartetto sicuro.

Con un campione di contrabbasso.   

 

* Patrick Süskind - Il contrabbasso,1980

** ibidem

PGC - 22 aprile 2025

 


13/04/25

CARNEVALE ITALIANO

ovvero

 Carloterzo, Camillareginaconsorte, la servitù italiota

Cerimoniali da ottocento asburgico, quelli che hanno accolto la regal coppia decisa a festeggiare il ventesimo di matrimonio nel paese (il nostro) rimasto forse l’unico – oltre al loro - ad andare in deliquio all’apparir di teste coronate all’orizzonte. 

La Francia per esempio, che le cose le fa(ceva) in grande, se ne sbarazzò già – e non si può dire non sia stato spettacolare – a fine Settecento, e successivamente ne ha mandati a ramengo altri, pur senza rotolamento di teste. 

Noi stessi, che in gran ritardo lo siamo sempre, le abbiamo mandate a quel paese a metà del secolo breve (salvo ritrovarcene i dorati rampolli ad infestare le riviste di gossip e gli show televisivi. Sugli amorazzi tra la svalvolata Beatrice di Savoia e l’attorgiovane povero-ma-bello Maurizio Arena, per dire, hanno campato generazioni di “Oggi” e “Gente” ecc., insomma i giornali - si fa per dire - che più monarchici li trovi solo oltre Manica).

 

Imbarazzante il quadro d’insieme: dalla pompa magna dell’accoglienza istituzionale (la bellastatuina Mattarella, la fratelladitagliamelona, le Forze Armate panciaindentropettoinfuori, le Frecce italiche e quelle britanniche, le divise scozzesi e le cornamuse alla cena di gala con oltre cento invitati: tutto pagato da noi popolo bue), agli aerei caccia che ne hanno scortato il volo, alla “folla festante schierata lungo i percorsi”, alle cronache televisive e giornalistiche a orgasmi unificati per fascinazione da teste coronate.

Sarà che noi italioti coltiviamo nostalgie di variegato e oscuro genere; sarà che, mai del tutto cresciuti, amiamo le fiabe con re e regine, principi e principesse; sarà che non ci siamo mai liberati della scorza colonialista, talchè guardiamo con la puzza al naso quelli che arrivano dal mare che anzi è meglio fermarli prima cioè in mare (Salvini e Meloni docent), i pesci ringraziano, devono pur mangiare; sarà che ci scordiamo le nefandezze dei colonialismi (e quello britannico ne ha fatte di tutti i colori, ma anche il nostro non scherzava per niente) al quale l’altra metà del mondo deve lo stato miserando in cui versa… (e lo sa!)

 

Insomma, è tutto un complesso di cose - canterebbe Paolo Conte - al quale forse non è estraneo un certo richiamo della foresta, considerato che il Regno Unito è il più accanito e infoiato guerrafondaio e fautore del riarmo europeo e dell’armare l’Ucraina fino alla morteE che fu proprio Boris casco-d’oro Johnson a sabotare a Istanbul  l'accordo russo-ucraino nella primavera del ’22.
 
Coincidenze? 
 
Chissà se il sofferente papa gliene ha chiesto conto, visto che tra le istituzioni è l’unico che abbia parlato contro la guerra (beccandosi del putiniano dalle anime belle della politica e del - sedicente - giornalismo).

 

Imbarazzante il leccaculismo di tutto il ceto politico e di sgoverno a camere unificate plaudenti da spellarsi le mani, per lo show in cui il simpaticone ha massacrato la lingua italiana vendicandosi – come dargli torto? – dell’inglese di Renzi e di altri impresentabili prima di lui.

Che ci è successo? Quale paralisi cerebrale ha colpito una nazione che ha tra i principali motivi di orgoglio l’aver cacciato i sovrani (dalle rivoluzioni dell’'800 fino alla monarchia fascista del secolo scorso)? 
Quale regressione mentale e culturale ci fa apparire perfino più imbecilli degli stessi sudditi britannici nel reggere lo strascico a teste coronate sul vacillante trono del loro anacronistico parassitismo?

 

È di certo un problema di (nostro) ceto politico, e parimenti di qualità dell’informazione. 

Se è mortificante assistere alla genuflessione delle più alte cariche istituzionali e dell’intero Parlamento ai rappresentanti di un potere monarchico tanto ridicolmente pomposo quanto fuori dei tempi e della realtà, lo è altrettanto assistere al sedicente giornalismo ridotto a commentare il carnevale italiota durato tre giorni; a prestare entusiastiche voci e riprese televisive alle res gestae italiche dei sovrani; ad esultare per il gelato del Giolitti a Roma, per la visita al Colosseo con Albertoangela incorporato, e via leccando…

Incontinenza di immagini e commenti, servilismo e retorica, epocali scemenze a reti e giornaloni unificati: signori, lo spettacolo è qui. 

Fuori del recinto di questo Carnevale italiano, c’è la vita reale: c’è un paese arreso alla propria irrilevanza - politica, economica e ormai, ahinoi, anche culturale –  mortificato da un ceto politico di rara inettitudine; al quale - col codazzo di un’informazione prezzolata da copiosi finanziamenti statali e per ciò stesso appecoronata - capitano a fagiolo le due patetiche cariatidi (reperti di un mondo che non esiste più e non li vuole più) per distrarre le masse dal volto arcigno di un potere - il proprio - sempre più illiberale e autoritario, inetto e muscolare, corrotto e intollerante del dissenso. 

Purtroppo non è successo - ma poteva succedere e potrebbe, prima o poi - che in mezzo al fragore di Frecce tricolori e di grottesche parate militari, nell’incedere di sovrani bolliti e acclamati come star, nello sventolio di bandierine che compiacenti maestre hanno messo in mano agli ignari bimbetti delle elementari, una vocina fra queste si levasse per gridare ai presenti “Ma il re è nudo!”.

E chissà, forse in quel momento il Carnevale sarebbe franato come una maionese impazzita e tutti, finalmente, avrebbero visto chiaro / d’ una chiarezza allucinante…*

 

*V.Majakovskij, Di Questo.
 
Sara Di Giuseppe - 12 aprile 2025

11/04/25

IL CIELO – della poesia – IN UNA STANZA


foto Federico Del Zompo

Barbara Eramo  Cantando Emily

Barbara Eramo /voce, ukulele, electronics   Andrea D’Apolito /armonium, chitarra acustica   Emanuele Bultrini /chitarra elettrica  
Rassegna Musicale In-Art  [VII EDIZIONE]       S. Benedetto Tr. - TEATRO CONCORDIA  - 25 marzo ’25  h22.00
 
      Sembra che le sue duemila poesie Emily Dickinson le abbia scritte, negli anni, praticamente tutte in una stanza. Chissà se anche, di tanto in tanto, guardando il “cielo” di quella stanza: il soffitto (viola?) e le pareti, magari cantando lei stessa sottovoce alcuni suoi versi, prima di chiuderli (nasconderli?) nei cassetti. 
Stasera mi vengono questi pensieri, ascoltando Barbara Eramo cantare Emily come se anche il nostro teatro fosse scoperchiato e si vedesse il cielo, e non avesse più pareti ma alberi, alberi infiniti. “The Mind lives on the Heart”, la mente vive nel cuore - dice Emily e canta Barbara. Devo dirlo a Gino Paoli.

      Non è un concerto qualsiasi. Ci vado anche un po’ prevenuto: per l’americana Dickinson poco conosciuta benché famosa, per la Eramo mai ascoltata benché molto apprezzata (specie per le sue esclusive e raffinate scelte artistiche fuori dal mucchio), per i suoi due fidi musicisti ovviamente bravi ma sulla stima, per la strana fusione (per me tutta da scoprire) voce-chitarre-armonium-ukulele-electronics e per l’autorevole ma difficile repertorio di poesie “tradotte” in canzoni impegnative nei testi e nelle musiche, mica canzonette…

      A sinistra su un cavalletto, ecco l’armonium questo sconosciuto (almeno in queste forme): una valigetta di legno biondo con gli angoli rinforzati come sulle cassette della frutta, o su quelle magiche dei maghi da dove esce una colomba o la fanciulla segata col trucco. Verso di noi ha l’incorporato ansimante mantice-a-mano e dietro, nascosta, l’invisibile minuscola tastiera (1 o 2 ottave), che fabbrica - anziché robe da maghi - note singole “legate” quasi sempre di basso, ma piene e profonde, avvolgenti, direi mistiche. Più che un’armonica, mi sembra un organo che vibra… per te e per me… nel… ciel... 

Con voce baritonale, Andrea D’Apolito fa anche altre note d’organo e pure il corista, oppure prende la chitarra, non si fa mancare niente. E noi che eravamo rimasti all’armonium della messa, monumentale, severo e buio come un confessionale, i pedali duri e pesanti da spingere peggio che nelle salite per ricavare suoni stirati, sempre affamati d’aria.
      Di là Emanuele Bultrini è il chitarrista che può far tutto e bene, pure l’orchestra, con l’elettronica! Ma per Emily inventa speciali note di poesia, quasi parole. Dipinge silenzi, emozionali pause d’attesa, finzioni teatrali, specchi (sonori) d’epoca: urgenti gioielli, di colore e di canto. Cose simil-jazz, mica ottocentesche...

 

      Barbara Eramo infine è la più bella scoperta della serata, ma è difficile spiegare o solo raccontare, come. Lei lo sa: alla fine ti dà il vinile e il cd, la sua scrittura, e soprattutto ancora parole di passione per il suo lavoro di ricerca su Emily per Emily. Come se il concerto continuasse. (nel teatro che per soffitto ha il cielo…)

PGC - 9 aprile 2025

09/04/25

“…i gialli dei limoni” *

Paola Celi 

“Disarmonia leggera”

Mostra Personale
A cura di Andrea Viozzi

 

23/’03 – 27/’04  
2025
Palazzina Azzurra 
San Benedetto del Tronto

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“… avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia stessa della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia”
(Eugenio Montale)

 

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      Nascono nel suo giardino, quei limoni: Paola li ha portati qui col loro giallo sfrontato perché siano un omaggio a Montale, al suo Ossi di seppia a cent’anni dalla pubblicazione, e al “nostro” aoidos Di Bonaventura che oggi, in questo spazio dedicato alla bellezza e all’arte, ne ripercorre i versi e la biografia poetica. 
Ancora poesia - e della più alta - è quella che affianca, quasi didascalie in versi, le creazioni di Paola Celi: e sono, oltre a versi montaliani, oltre al leopardiano grido di dolore “All'Italia" 
(… dite, dite / Chi la ridusse a tale? ), i versi di Giarmando Dimarti “trovatore dell’ombra”, quelli dello stesso Di Bonaventura, e la “Disarmonia leggera” di Paola Celi con la sua ricerca di approdi sicuri nella Bellezza.

Tanta di quella poesia - pittorica, in versi, e anche in musica - c’è dunque fra le pareti di questa azzurra Palazzina da esserne perfino sopraffatti, sicché dovremmo dire “fermati, sei bello a questo frammento di tempo che ci è dato, nel chiassato silenzio del confuso presente… 
Bello è dunque il naufragare tra le molte suggestioni di una produzione pittorica magistrale, che trascorre dal figurativo al concettuale senza apparente contrasto, essendo l’energia interiore e la forza evocatrice il solido fil rouge che ne raccorda ogni parte.

 

Sceglie “l’agile salto del poeta”, Paola Celi, per oltrepassare disarmonie, disaccordi dell’incedere vivendo.

E il suo voler guardare il mondo con nuovi occhi  è in quei volti femminili che ci chiamano e ci parlano; che reclamano, anzi, e hanno ”voce” perentoria che trattiene e obbliga a fermarsi, a leggere la complessità dentro gli sguardi, l’universo interiore dietro i chiaroscuri. 
Sollecitano risposte, quegli occhi aperti su di noi, e le linee sensuali dei corpi suggeriscono storie, indicano percorsi, additano orizzonti per una femminilità finalmente umana, affrancata dal pregiudizio e dallo stereotipo. 

Dove poi l’ispirazione trapassa dal figurativo al concettuale, si azzerano le coordinate spazio - temporali e l'oggetto, così come nella poesia montaliana, si fa correlativo oggettivo, evocatore di significati, strumento di una ricerca di senso che superi la disarmonia e collochi l'uomo consapevolmente di fronte a sé stesso e "nel mezzo di una verità". 

 

Non poteva che essere l’antieloquenza montaliana, allora, la poesia da collocare in questa cornice. 

 

E la scabra essenzialità degli Ossi di seppia che la voce attoriale scaglia fra noi ci appare un tutt’uno con la forza simbolica - ora surreale ora inquieta ora beffarda - degli oggetti alle pareti sottratti alla normalità del quotidiano perché, come la parola poetica, colgano l’essenza delle cose.
Lo sguardo fruga d’intorno, nel verso montaliano, cerca l’illusione e si ritrae sconfitto, e l’azzurro si mostra / soltanto a pezzi, in alto, fra le cimase: eppure tutto, in Ossi di seppia, “cerca di darsi una voce” (S.Solmi), il disincanto si trasforma in messaggio e norma etica nell’attimo stesso in cui constata, e virilmente accetta, il deserto del vivere.

È per questo afflato titanico che oggi il nostro aoidos ripercorre attraverso le interviste al poeta (l’Intervista immaginaria del 1946 ed altre) la genesi e il senso di quella poetica, la fertilità e l’universalità di un approdo che - così come nel pessimismo leopardiano è l’utopia solidaristica de La Ginestra - in Montale e in Ossi di seppia è la ricerca della smagliatura nella rete, dell’anello che non tiene, del fantasma che può salvare. E che, nell’accettazione del male di vivere, diviene rifiuto di miti e di ottimismi consolatori, poderosa lezione etica capace di tradursi, all’epoca, in azione politica e militante opposizione.

 

Scivola via, e vorremmo trattenerla, l’abbondante ora e mezza di immersione nella poesia montaliana che il vulcanico Di Bonaventura arricchisce di stralci di confidenze e “confessioni” attraverso le interviste: ci rivelano, fra molto altro, il talento musicale del poeta, l’aspirazione a una carriera baritonale (“Un’ambizione più concreta e strana mi occupava, diventare baritono”) fatalmente spezzata dalla morte del suo maestro, Sivori, e accomodatasi più tardi nella lavoro di critico musicale; e perfino, curiosamente, la passione per la pittura (“…tornò con una cassettina piena di gessi colorati e con un cartone in cui si vedeva un paesaggio che ricordava vagamente lo stile di Semeghini…” **).

È dunque nel posto giusto oggi, il poeta: perché Qui delle divertite passioni tace la guerra, perchè qui si sentirebbe in gradita ed ottima compagnia, con Paola Celi, con Vincenzo Di Bonaventura, con Giarmando Antonio Dimarti.

 

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*Quando un giorno da un mal chiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano 
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
 

(E.Montale, I limoni, in Ossi di seppia)
 
** Intervista con Enzo Fabiani, in “IUNCTURAE “ giugno 2023

Sara Di Giuseppe - 8 aprile 2025

 

 

03/04/25

“VOLENTEROSI” a Ripa

 


 Domenica ho trovato questo 6 di coppe caduto in terra, davanti al Duomo.

-          Potrebbe essere caduto dal mazzo di carte del Kit di sopravvivenza del 
Piano UE di Resilienza in caso di guerra”, di un “Volenteroso” di passaggio a Ripa.
Senza il 6 di coppe, come passerà quel guerriero le sue ultime 72 ore di vita, 
senza poter giocare a briscola?

 

-          Oppure fa parte di uno dei mazzi di carte del Comune che il sindaco ha messo 
a disposizione dei dipendenti presuntamente fannulloni, occasionalmente volenterosi?   

(Non sia mai adesso dovessero lavora’…) 

             Tranquilli, il 6 di coppe ce l’ho io e lo restituirò al volenteroso, chiunque esso sia:
             un fuori di testa di una qualsiasi delle 37 nazioni volenterose, o un semplice ripano.
 
PGC - 1 aprile 2025

29/03/25

ENTROPIA & EMPATIA in jazz

 

"IKI  Bellezza Ispiratrice

Francesco Cavestri/piano  Riccardo Oliva/el.bass  Mattia Bassetti/drums  -  feat. Fabrizio Bosso/trumpet

ASCOLI PICENO – Cotton Lab      21 marzo 2025 h21


 
      Filosofia giapponese stasera, con IKI si impara. Senza rischiare di apparire un’enciclopedia, ma navigando sia nei variegati noti “mondi del jazz” che in generi musicali altri, cronologicamente distanti, tecnicamente diversi, forse poco compatibili o sentimentalmente perfino “distaccati” (nel senso della Dolce Vita di Fellini). Con poi Bellezza Ispiratrice nell’accezione più ampia, con caldi rimandi alle suggestioni del cinema d’autore e ad ascolti analitici di categorie musicali improbabili, ibride, estinte o futuribili, ma sempre spiritualmente connesse. E’ il jazz che evolve, bellezza. 

 

      Questo giovanissimo trio sembra applicare il concetto di “distacco” anche al modo di suonare: producono il loro fresco jazz - all’apparenza ripetitivo, ma quando mai! - come se prendessero un tè - meglio una cioccolata - delle cinque, con riposata indipendente indifferenza. Musica agile, educata, senza esotismi: sonorità complesse nelle parti armoniche, fuggevoli ombreggiature classiche nei tempi sospesi, conciliazioni timbriche vigorose nei ritmi sostenuti, architetture intriganti, garbate infiltrazioni elettroniche… come ormai usa. Ma generandosi empatia cresce l’entropia generale del concerto - non propriamente in senso termodinamico, anche se in sala ce n’è di calore, ma in jazz. Stasera siamo in tanti nella “nostra” Cotton Lab Wunderkammer, credo soprattutto perché alla tromba - con la sua intimidatoria bravura - c’è Fabrizio Bosso, e quel Mattia Bassetti a destra è proprio di qui, di Ascoli, il batticuore se lo porta…

 

      Un trio che già vale. A partire da Francesco Cavestri, un raro “speciale ragazzo normale” di quelli che purtroppo oggi ne fabbricano pochi. Impensato pianista (sgobbone?) ma non solo: senza le pose da intellettualino, ma con linguaggio scelto e sorvegliato, chiaro facile e breve, lui parla racconta spiega intrattiene e diverte. Parole mai in combattimento tra loro, sempre nel tono “accordato giusto”, gli viene naturale. Veste prudente: ampi pantaloni scuri classici XL di buona stoffa di negozio di stoffe (con le pinces, la riga ben stirata, i sartoriali risvolti da 4 cm), cinta di cuoiomicacoccodrillo, vissuti mocassini bianco-neri più o meno dolce vita anni ’30, ordinaria maglia scura sottogiacca, monotinta, senza marchio nè scritte. Robusti ma instabili occhiali da vista e da studio avari di design, severi. Ripeto: nessun colore addosso. Suona il piano sicuro e composto come lo suona uno bravo nel tinello marron di casa, non gli serve fare scena. Costruendo gotiche cattedrali di note sa farne preziosi mosaici di paesaggi virtuali, di figure libere, di trasparenze, di suoni in movimento. Sperimenta un jazz suo.

 

      Anzi stasera, chissà come e perché, si butta anche a “cantare” - solo solo al piano - un “suo” Luigi Tenco vagamente in jazz, con l’aria oziosa e indagatrice di francesizzante flânerie che da lui ti aspetti: due sole canzoni per portarci lontano, lontano nel tempo… - quando il jazz era diverso e americano, quando qualche visionario pensava vedrai, vedrai… vedrai che cambierà… un giorno dopo l’altro.

A Francesco, ormai (quasi) tra i grandi, gli piace sempre da matti stare nel vivaio di Fabrizio Bosso.   

      Fondamentali nel trio gli altri due ragazzi Riccardo Oliva e Mattia Bassetti. Totalizzano in tre meno di 70 anni, forse un record a questi livelli. Ti chiedi come hanno fatto, come si sono incontrati, se sono nati tutti e tre insieme… stesso anno-giorno-ora? Si vede, come ognuno contagia bravura all’altro: suonano e si guardano, si guardano  e suonano… spielen. Sì, davvero giocano. 

-          Riccardo - dita lunghissime - imbraccia un lungo basso elettrico 6 corde che pare una chitarra. Lo tratta pure da chitarra quando serve, e fa bene. Però io non m’intendo, non so a chi rassomiglia quando suona così, son passati tanti fantastici bassisti al Cotton, lui neanche può averli visti tutti, eppure… Certo, che se fa parte del vivaio di Fabrizio Bosso… 
-          Mattia guida la batteria come una Ferrari a Montecarlo. Velocità. Precisione. Controllo. Nervi saldi. Pazienza. Resistenza. Sapienti pit stop. Tuoni e silenzi. Morbide carezze, timbri sferzanti dei piatti. Niente tracce di compiacimento sul volto, sogni. Cari e convinti applausi, ascolani.

Infatti, se fa parte del vivaio di Fabrizio Bosso…


E poi la tromba jazz Fabrizio Bosso: un monumento. Niente potrei dire, perciò, che non sia già stato detto. Dirò solo di come sia unica questa sua capacità di “adottare” giovani talenti, e indovinarci sempre, e suonarci insieme. Come “baricentro” stasera è stato perfetto. Ha fatto perfino 2 sorrisi.
 
PGC - 29 marzo 2025


26/03/25

IL MANUALE DI SOPRAVVIVENZA

…Tutto quello che serve è che ci sia lo stato di guerra.
   (G.Orwell, 1984)
 
Ci s’è impegnato, il francese Sécretariat Géneral de la Défence et de la Sécurité Nationale, nel redigere il governativo manuale di sopravvivenza in tempo di crisi (guerra e catastrofi equipollenti, epidemie ecc.). Dormiranno tra due guanciali i cugini d’oltralpe quando, ricevuto a casa il fondamentale opuscolo, potranno approntare il confortevole kit che dovrà comprendere, fra molte altre cose, acqua, scatolame, abiti, documenti, libri (che bizzarria…), giochi da tavolo ecc.
Più, naturalmente, contanti e cellulare perché dove vai se soldi e telefono non ce l’hai.
Hanno “il capo di stato più stupido d’Europa”, i cuginastri, ma andando a fiuto non è che altrove si sia messi meglio.

 

Sono a questo punto chiare la necessità e l’urgenza per noi tutti cittadini – europei  e non – di munirci d’un paccuto contro-manuale di autodifesa: che rechi dettagliate istruzioni per la protezione a oltranza da siffatto ceto politico, quello per intenderci che lautamente manteniamo nelle istituzioni europee e nazionali e la cui chiamata alle armi - dalla Vondertruppen in giù - fa vibrare d’entusiasmo i patrioti d’ogni lingua colore e risma, i trombettieri dell’informazione a gettone, le piazze per l’Europa qualunquecosavogliadire, le anime belle e guerrafondaie in scampagnata ventotenica, i qualunquisti e tutti quelli che è-una-questione-di-sicurezza. 

Le due risoluzioni - ReArm Europe e Aiuti (leggi armi, armi, armi…) all’Ucraina - approvate dal Parlamento Europeo (con anche gli italiani, esclusi i 5Stelle) danno la misura della follia che si è impossessata - e se la ride - dei lugubri dottor Stranamore ben avvitati alle stanze dei bottoni.
Una feroce / Forza il mondo possiede e fa nomarsi / Diritto.*

E dunque: 
- il Mantenimento del pieno sostegno all’Ucraina dopo tre anni di guerra di aggressione della Russia”, tradotto dal paraculese europeo significa - dopo oltre un milione tra morti e feriti in Ucraina e oltre un milione tra morti e feriti in Russia - sostegno al “piano per la vittoria” (sic) di Zelensky; dunque  niente negoziato e continuazione a oltranza della guerra.  
- l' Accoglimento del piano ReArm Europe per una difesa europea” (poi chiamato Readiness 2030 perché è più fico e fa meno impressione) è l’invenzione di una minaccia immediata e di un’impellenza militare per motivare il dispiegamento delle batterie di guerra, con l’obiettivo di  “conseguire la pace attraverso la forza” (sic) secondo il delirante piano della baronessa a sonagli Vonderbomben. 

Il massiccio riarmo spacciato come unico strumento per difendere democrazia e valori-occidentali-qualunque-cosa-eccetera: più che follia, è il ben congegnato piano di leader europei determinati, in una sorta di darwiniano struggle for life, a rimanere in vita sulle macerie dell’Europa mantenendone ruolo e privilegi politici ed economici, e riappropriandosi  del proprio posto nell’ordine mondiale. Costi quel che costi. Specialmente se i costi, appunto, li pagano i cittadini.
 
Il nostro indispensabile Manuale di Sopravvivenza dovrà allora prevedere una difesa a oltranza da tutto questo.

Occorrerà che dal basso, da noi, un’onda di tsunami travolga i sinistri dottor Stranamore stanandoli dagli angoli in cui si annidano: che siano le inutili perniciose cattedrali dei consessi europei e mondiali, che siano le sedi in cui prosperano fascismi di ritorno o mai estinti, che siano i partiti politici pavidamente ignavi, che siano i palchi romani inneggianti a un’ Europa guerrafondaia e grondanti della retorica a buon mercato di artisti, pennivendoli, opinionisti e tromboni assortiti pagati con soldi pubblici a nostra insaputa.

  

Una volta che si sia data aria alle stanze maleodoranti di un potere feroce e dei suoi ciechi servitorelli, della propaganda dell’informazione e dell’opinionisimo embedded, il manuale prescriverà che si abbatta il muro d’indifferenza col quale il nostro satollo fosco Occidente accetta i genocidi e la prevaricazione sugli ultimi della terra, alimenta e sostiene in armi e intreccia relazioni diplomatiche e affaristiche con regimi genocidari e liberticidi, scondizola all'abbaiare di mastini che erigono muri agli invalicabili confini, plaude ai poteri che riempiono i mari di corpi, di povere foglie cadute dall'albero degli uomini.

L’urlo che venga dal basso, dal fondo della nostra sopita umanità, che riempia piazze davvero spontanee, finalmente non accecate e prezzolate, che oltrepassi il silenzio delle chiese, che sovrasti il frastuono delle propagande, che vinca la peste dell’ignoranza: questo solo potrà essere il nostro Manuale di Sopravvivenza, la vera “difesa comune” del disumanato Occidente, l’unica che potrà consentirci - forse - d’essere ancora uomini e non pecore matte

*(A. Manzoni, Adelchi, atto quinto, scena ottava - 1822)
 
Sara Di Giuseppe - 26 marzo 2025