25/07/22

ROSETITUDINE GARIBALDINA

 Narrazione della Storia

IV Edizione

Associazione Culturale Centri Concentrici Promoter


Vincenzo Di Bonaventura – Luca Maggitti (curatore)


“CENT’ANNI DI ROSETITUDINE”


Roseto degli Abruzzi – Lido La Vela

21 luglio 2022


Ho imparato a usare il cuore, come lo usavano i miei campioni ammirati da sempre.
Allora sì che lo spettacolo è un altro.
Unico.
Tenuto al caldo sempre dalla mia rosetitudine
(V.Di Bonaventura, “Cent’anni di rosetitudine”, 2021)
 
      Una serata con Di Bonaventura è sempre un’avventura garibaldina. Che sia la meraviglia sismica di un'Inferna Danctis Orkestra da tirar giù la Cappella Sistina; o una serata russa di poeti giganti e l’evocata ombra di Carmelo Bene con quella voce che “strappava la pelle”; che sia ogni altro Recital della sua “macchina attoriale” capace di sorvolare lo sciame di inezie / che dilaniano il cuore: sempre, quando c’è lui, si attiva quel magnete che ti inchioda alla sedia e ci rimarresti per ore.
 
      Così se oggi di garibaldino ce n’è anche uno storicamente documentato - quel Pietro Baiocchi, rosetano unico e doc che combattè fra i Mille e lasciò lì le spoglie dei suoi romantici irruenti 25 anni - che vive ancora nelle memorie rosetane e negli scritti di appassionati studiosi, la serata rivoluzionaria è servita, completa di sbarco a Marsala e incontro a Teano.
Ma rivoluzionario e forma di resistenza umana fu anche il basket rosetano, e nel ripercorrere col suo pubblico questa “Cronistoria monologante in epicità canestraria” - che celebrò nel 2021 il centenario della pallacanestro rosetana -  Vincenzo, “stuzzicato” da Luca Maggitti curatore dell’opera, dipana anche per noi qui una storia, quella della Roseto basket, che fluisce in parallelo coi percorsi esistenziali propri e del paese, e della gente, e dei cavalieri che fecero l’impresa.
 
E abbiamo l’Iliade e l’Odissea messe insieme che lui, l’aoidos, illustra e canta per noi stasera: per chi ha già letto e rileggerà e per chi non ancora, l’aedo proietta fasci di memoria abbagliante su episodi e figure e storie di un basket che è già mito e per lui, insieme col teatro, religione dell’anima e passione totale, “ricerca costante del momento perfetto, dell’illusione alta, della stupefazione bambina, della bellezza irripetibile”.
 
 E lo scrittore è ancora, per noi qui, attore-testimone: del valore identitario del basket in questa Rosburgo che un giorno divenne morbidamente Roseto; del pubblico “numismaticamente riconoscibile” perché del basket possiede il conio, la competenza che lo rende elegantemente feroce ed esigente; della spavalderia guerriera di quegli eroi da guerra del Peloponneso; del proprio vissuto di spettatore compulsivo (“nessuno al mondo può superarmi in fatto di compulsività spettatoriale”) oltre che praticante devoto di uno sport divenuto “il mio sport protesico oramai”: esattamente come il teatro -“in fondo non ci vedo differenze” - che è per lui costante ricerca di perfezione, “memoria metabolica, possesso dei generi, occupazione tecno-teologica del teatro”; che è soprattutto stupore, “la chiave che apre la porta verso il sogno”.  
Non vedevo differenze con i miei allenamenti in teatro, scrive, con lo “svelamento a tutto tondo”, rito iniziatico che nel teatro si celebra, con il pubblico ad un tempo testimone e partecipe della “macchina scenica”.
 
Così - è inevitabile - gli amici riuniti qui stasera, quelli a cui ha dedicato il libro perché di quelle memorie condivisero ogni momento, e quelli del basket e gli ex atleti protagonisti di quelle glorie, tutti loro gli chiedono un pezzetto di quel teatro.
E l’attore-solista si fa Don Chisciotte, struggente sgangherato hidalgo – il cui cuore ha un peso rispettabile – declamante in trecentesco trobadorico; e si fa anche, malconcio e malmenato, Sancho Panza che parla - poiché è di “rosetitudine” che qui si tratta - in dialetto rosetano doc (quello di Via Mincio, sapete, mica abruzzese e basta!): strepitoso esperimento teatrale voluto dal regista Emiliani e sempre nuovo dopo trent’anni. 
 
Non è guarito dal teatro, Vincenzo, e neppure dal basket, “giacchè la mia malattia è sconosciuta”. E che resti tale, senza vaccini né cura, è ciò che speriamo.
 
Ci ha salutato da poco Di Bonaventura con questa incursione nel suo inimitabile teatro, ma la passione aleggia ancora come un vapore persistente: è nelle parole con cui Ugo Assogna ed Ernesto Piccari, nel presentare la ristampa della pubblicazione di Camillo Pace “Pietro Baiocchi - Un abruzzese tra i Mille di Garibaldi”, rivivono le tappe degli studi dedicati alla vicenda dell’unico abruzzese fra i Mille garibaldini - milleottantanove, anzi - al quale Ugo Assogna ha anche dedicato una scultura in bronzo.
 
Perché è passione anche la Storia, come il Teatro: lo è la sua narrazione, lo è lo slancio generoso di chi la coltiva con devozione perché sa che “La storia siamo noi, siamo noi padri e figli, / siamo noi bella ciao, che partiamo”. Siamo noi, anche, quel garibaldino che arrivò a Palermo ma non arrivò a 26 anni. 
Inseguiva un sogno, e vorremmo averlo anche noi; meglio per lui non aver saputo ciò che siamo diventati poi.
 
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“…Quando si è presi da questa passione / e il cuore ha un peso rispettabile / non c’è niente da fare, Don Chisciotte, / niente da fare / è necessario battersi / contro i mulini a vento
(Nazim Hikmet).

Sara Di Giuseppe - 24 luglio 2022






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