08/05/24

GOTT MIT UNS

“I gruppi dirigenti […] sono allo stesso tempo coscienti e non coscienti di quello che stanno facendo: le loro vite sono dedicate alla conquista del mondo, ma sanno anche che la guerra deve continuare per sempre e senza alcuna vittoria.”

        (G. Orwell, “1984”)

 

     Se la biondocrinita bersagliera di lotta e di governo si fosse informata, al Raduno Nazionale dei Bersaglieri nella leghistissima Ascoli Piceno non si sarebbe piazzata in testa il cappello piumato a mo’ di padella da cucina come fanno le reclute ignare e maldestre, condannate perciò da consolidata regola militare a pagare da bere a tutta la caserma.

Se lo sarebbe ben collocato con inclinazione a 45°, e verso destra (manco a dirlo!) e “in modo da coprire il sopracciglio e appoggiarsi sul lobo”: così dev’essere, le regole sono regole.

 

Improbabile che abbia pagato da bere a tutto il cucuzzaro, lei-non-sa-chi-sono-io eccetera, però ad Ascoli è stata comunque una giornatona, la sua, con corsetta d’ordinanza (quando traffichi con bersaglieri è il minimo che ti capita) fatta passare spiritosamente per inattesa e improvvisata ma se ti presenti già in tuta e scarpe da running non puoi fare la faccina stupita: al saggio finale delle elementari recitano meglio.

 

     E’ il marketing, bellezza, la ragazza lo sa e vince facile, dato il parterre che le sbava intorno: folle festanti, “Ascoli pazza per i bersaglieri” e “L’abbraccio di Ascoli ai Bersaglieri, emozioni e spettacolo…” sono i titoloni più moderati della stampa locale in eccesso di salivazione e somara in italiano; orgasmo collettivo ed estasi di Santa Teresa tra i giornalisti piceni, marchigiani in genere e nazionali, per le sue performance piacione: la corsetta col sindaco al fianco (che ha l'espressione un po' così, diversamente sveglia, ma lui fa le maratone, ci tiene a dirlo) e poi il cappello piumato sulla capoccetta, e poi le carezze al bambino… Com’è umana lei, signora mia.

 

Si potrebbe morire dal ridere, o dalla noia invece, se non fosse che i tre giorni di megaeventi ascolani con sconfinamenti in provincia, lievitati intorno ai “fanti piumati” (scrivono così, che volete farci) - e auguriamoci che le piume siano finte, ma considerato il contesto non ci scommetterei - fanno il paio con le celebrazioni nazionali per il 163° anniversario della fondazione del glorioso Esercito patrio, pochi giorni prima - 3 maggio - all'Ippodromo militare romano di Tor di Quinto, sempre alla presenza della Fratelladitaglia.

 

Niente di nuovo sul fronte occidentale: altri papaveri di governo vi hanno partecipato in passato, solo che stavolta è un filino più sinistro.

 

Perché l’iconografia è più muscolare e pettoruta di sempre; perché la retorica bellicista pervade di sé ogni anfratto dell’informazione e della propaganda politica, esplicita e subliminale, e passa l'idea che dulce et decorum est pro patria mori specie se l’industria delle armi in Italia tira che è una bellezza e imprenditori e politici e politici/imprenditori e politici/ex imprenditori brindano a champagne.

 

     Così l’occhiglauca Fratelladitaglia che in piedi sul veicolo bellico, davanti alla Bandiera di guerra dell’Esercito, criniera al vento e sguardo corrusco, sfila insieme alla santabarbara dei sistemi d’arma (vedere per credere) è il definitivo suggello alla normalizzazione dell’idea stessa di guerra

 

     E' sempre per gradi, d'altronde, che avanza il peggio. 


Già  metabolizzammo il summit europeo di Strasburgo con la folle teorizzazione del passaggio dell'Europa ad una ”economia di guerra” (sic); poi i deliri di Macron-Napoléon - “il capo di stato più stupido d’Europa” - che s’è stufato di giocare coi soldatini finti a casa sua e vuol mandare quelli veri sul fronte ucraino, per vedere l’effetto che fa; poi l'incremento sconsiderato della spesa nazionale per gli armamenti con sottrazione di risorse a tutti i settori fondamentali della vita pubblica (è di oggi il reiterato “ordine” NATO di arrivare subito al 2% del PIL nazionale. Signorsì, signore!).


Non ci resta che assimilare la retorica bellicista condensata nell’orwelliano “La guerra è pace” - del resto sembra che ci piaccia, a giudicare dalle folle festanti - e far nostro il motto, summa della più cupa simbologia bellica nella storia tragica dell’umanità in armi:


 

GOTT MIT UNS

Dio è con noi.

 

                      QUALE Dio?...

 


 

Dal web: 
“Nei giorni 2  e 3 maggio è stato allestito presso l’Ippodromo militare Tor di Quinto il ”Villaggio Esercito”, un’area in cui i cittadini hanno potuto avvicinarsi al mondo “con le stellette” cimentandosi in attività quali il military fitness,l’arrampicata su parete di roccia artificiale […], una stazione di addestramento virtuale e altri sistemi di simulazione di tiro, di volo e di guida […] tutto al ritmo della musica di Radio Esercito” 

 
Sara Di Giuseppe - 8 maggio 2024

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