06/02/22

ROMA, PROVINCIA DI VERSAILLES


L’armamentario simbolico del potere era al completo, baroccheggiante l’esibizione muscolare del Leviatano politico-militar-religioso, il giorno 3 Febbraio dell’Anno del Signore Duemila e Ventidue, per la cerimonia d’insediamento del nuovo - si fa per dire - capo dello stato.
 
Corazzieri a piedi e a cavallo, che sono sempre un bel vedere, alti come il San Carlone di Arona, col cimiero lucente dalla coda più lunga di quella del destriero; carabinieri con pennacchio e carabinieri con colbacco, con mantella azzurra e con mantella rossa; generali e generalissimi con quel tanto di petto in fuori consentito dal peso di mostrine e medaglie e cappelli alti due piani con mansarda condonata; alpini con penna sul cappello e mantella gialla; l'alto prelato (hai visto mai che se ne fa a meno, eh); e banda musicale, stendardi, bandiere, tappeti rossi e auto blu; e Frecce Tricolori che assordano ed emozionano e inquinano come l’Ilva di Taranto; tripudio di colori, potenza di evocazioni simboliche con l’acme tra gli arazzi e gli ori del Palazzo, con madame Casellati Vien dal Mare in mascherina rosso-rivoluzione che ”porge il saluto” e medita forme efferate di morte lenta per quelli che non la votarono.
E poi l’ispirato discorso di BisMattarella, e i 55 applausi (si sono messi a contarli, pensa un po’!) dei parlamentari sovraeccitati che quelli più li schiaffeggi più sono contenti come i masochisti…
E la grande stampa a paginoni unificati a celebrare l’uomo della provvidenza (no, non Draghi; quello era ieri, oggi è Mattarella) e il trionfo della democrazia.
 
Certo che il popolo s’impressiona, anzi s’affezzziona come diceva Petrolini-Nerone, se gli squaderni tutto 'sto po’ po’ d’armamentario.
 
Però.
 
Però tutto questo sbrilluccichio (quanto sarà costato ai contribuenti ‘sto scherzetto di cerimonia? Quanti milioni?) sa tanto di Versailles, artificioso parassitario eden scollato dalla miseria della nazione. Andò come sappiamo, e quelli fecero una finaccia.
Tranquilli, non siamo francesi e rivoluzioni qua non se ne fanno, nessuno perderà la testa e noi fanciulle non lavoreremo all’uncinetto per ingannar l’attesa sotto i palchi della ghigliottina.
 
Prevalgono piuttosto la vergogna e un senso di impotente sconforto. 
In pochi, penso.
 
Non certo nella casta giornalistica - espressione servile dei potentati editoriali - che, intascati milioni di euro statali (con l’eccezione di un paio di testate indipendenti)  ricambia il favore e innalza alto il peana al miracolo di democrazia, efficienza, senso dello Stato e della Storia, generoso sacrificio di sé incarnatosi un anno fa e perpetuantesi da oggi nella diarchia Draghi-Mattarella.
 
Non nella casta parlamentare che non sta nella pelle dalla felicità per lo scampato pericolo del tutti a casa come dopo l’8 settembre e per aver salvato così spropositati stipendi e vitalizi, al prezzo dell’indecente spettacolo appena offerto.
 
Non in quanti esaltano il discorso di Mattarella, dove l’artificio di una bella prosa fa apparire come concreto programma futuro quello che è in realtà penoso elenco di traguardi mancati o mai neppure tentati: superamento delle disuguaglianze, delle morti sul lavoro, delle discriminazioni e del razzismo; giustizia efficiente, diritto allo studio, contrasto alla povertà, diritti delle donne sul lavoro e contrasto alla violenza di genere, stato sociale eccetera (non è menzionata la pace nel mondo, forse una svista o  il ghost writer non voleva rubare la battuta alla prossima missitalia).
 
Il Parlamento ha applaudito il proprio fallimento e quello del paese, l’immobilismo di un intoccabile ceto politico-economico-finanziario saldamente al potere, a cui importa che tutto resti com’è e che - complice la servile grancassa della grande stampa - ha bloccato all’uopo anche quel poco che faticosamente si tentava di fare (v.riforma della giustizia).
 
Ha applaudito la propria rinuncia ad essere fondamentale luogo di confronto tra i partiti, la propria umiliante resa al decisionismo di un esecutivo di inconcludenti perniciosi tecnocrati nato un anno fa con l’investitura di Draghi e di ministri a lui organici, attraverso la procedura meno rispettosa del ruolo parlamentare e della democrazia stessa che fosse dato di immaginare. 
 
Ha applaudito il Mattarella che di quella investitura è stato artefice e protagonista, e che oggi col suo retorico scontato discorso ha scatenato gli scomposti convulsi applausi, dopo aver recitato con insospettate doti attoriali la sceneggiata che pareva vera dell’andirivieni di scatoloni e dei saluti di congedo elargiti urbi et orbi. 
 
Non è un caso che, mentre il parlamento in orgasmo collettivo si spellava le mani e il nuovo capo dello stato parlava di dignità, diritto allo studio e al lavoro, sicurezza, rispetto per la persona umana (pace nel mondo non pervenuta, come si diceva), non molto prima e nella stessa città, davanti agli stessi palazzi istituzionali, la polizia manganellasse pesantemente gli studenti che manifestavano per la morte di Lorenzo e contro l’alternanza scuola-morte su lavoro.
 
Ma state sereni, compatrioti, #andrà tutto bene, Versailles insegna: con questo ceto dirigente, con questa classe politica e con questa libera stampa, se finirà per mancarci il pane, mangeremo brioches.
 
 
Sara Di Giuseppe - 5 Febbraio 2022 

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